Italrugby, una sconfitta che non si butta

A metà Difficile essere contenti per una sconfitta ma come non ricordare il 96-17 di un anno fa a Lione al Mondiale contro gli All Blacks? A metà anche perché sono stati messi in campo cuore, passione e una grande difesa, accompagnati tuttavia da errori, dall’incapacità di sfruttare i momenti favorevoli, per esempio due cartellini gialli neozelandesi con superiorità numerica, e problemi nelle fasi di conquista, mischia chiusa e rimessa laterale. Con una certa ostinazione a costruire i raggruppamenti da touche, maul, senza successo. Rispetto ai 17 precedenti, tutte partite perse dall’Italia, 140 mete subite contro le 14 segnate, quasi 10 a partita contro meno di una fatta, le cose sono andate meglio. Dimentichiamoci però il concetto di onorevole sconfitta, perché una sconfitta resta tale e basta. Rispetto ai 50 punti dell’Argentina suona comunque diversamente. E gli All Blacks restano gli All Blacks. Mito I neozelandesi sono una sicura attrazione, ambasciatori ovali al primo posto per chiunque, al di là di ranking e rugby world cup. La haka nel silenzio dei 40mila all’Allianz Stadium di Torino ha ancora più fascino del solito con TJ Perenara, sangue maori, a condurla per l’ultima volta, anche per onorare Sam Cane, l’ex capitano, che dopo 104 caps, partite in test match, chiude con la maglia nera . Una tradizionale Ka Mate, diventata sempre più rara, eseguita con un senso di appartenenza profondo. Il pubblico è diventato competente, conosce regole e riconosce giocatori, accompagna la partita con consapevolezza e non con lo stupore di trovarsi di fronte qualcosa di esotico. La Kapa O Pango col taglio della gola, costruita apposta per gli All Blacks, messa in scena la prima volta nel 2005, è diventata quasi di routine, un po’ sfruttata. Nella Ka Mate c’è molto di più, c’è la storia. Rivedi Wayne 'Buck' Shelford, terza linea All Black, che l’ha rilanciata negli anni ottanta, rendendola meno folkloristica e più da autentico preludio alla battaglia, o le recenti immagini del Parlamento neozelandese quando è stata utilizzata per una protesta, molto civile, contro la rivisitazione del Trattato di Waitangi, 1840, che da quasi 200 anni definisce le relazioni tra governo e popolazione Maori. Racconto Il rugby ti porta a divagare, a uscire dal terreno dello sport. Stando in campo l’Italia ha fatto venti minuti iniziali alla grande, sprecando pure qualche pallone. Non ha mai deragliato contro degli All Blacks non sempre implacabili. 4 mete subite, 1 segnata, da Tommaso Menoncello, miglior giocatore dell’ultimo Sei Nazioni, uomo che potrebbe entrare nella maglia di qualsiasi nazionale. A Torino ha lavorato nei punti di incontro, ha placcato, si è dato da fare in continuazione. Gli perdoniamo anche l’ultimo pallone un po’ regalato a Beauden Barrett per la meta che ha appesantito il punteggio finale. Ioane, quello azzurro, di nome Monty, non il Rieko omonimo neozelandese, ha messo energia incredibile e assestato placcaggi duri, decisivi. Brex è stato una sicurezza, Paolo Garbisi si è fatto notare per il sacrificio in difesa, terza linea operaia e molto presente, Capuozzo qualche guizzo di quelli che fanno saltare sulla sedia. Dall’altra parte bene Wallace Sititi, che non può perdere il premio di miglior 'scoperta' dell’anno , Beauden Barrett - passa il tempo e non passa di moda - Will Jordan, Man of the Match, tra i vincenti, con la meta numero 38 della carriera che gli fa scavalcare addirittura Jonah Lomu e Ethan de Groot, pilone scomparso nelle ultime tre settimane per motivi disciplinari mai resi noti. Gli All Blacks sono in vacanza, tornano a casa nel caldo australe con qualche prodotto italiano di qualità, pare che i fratelli Barrett abbiano cercato e comprato soprattutto olio extravergine. Per l’Italia, a due mesi dal Sei Nazioni, settimana più settimana meno, siamo nel pieno della stagione e c’è 'roba' da…oliare.

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Italrugby, una sconfitta che non si butta

Francesco Pierantozzi