'Zombie' e l'Irlanda del rugby: il dolore di una canzone per trovare l'unità

Un’isola, una palla ovale. Due stati, due inni. L’Irlanda vive tra unità e divisione. Tutto quello che la rappresenta è fortemente identitario. Un senso comune che può riguardare tutti i suoi abitanti. A volte riguarda solo una parte dell’isola, divisa tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord, tra repubblicani nazionalisti e unionisti lealisti, tra cattolici e protestanti. Anche lo sport ha vissuto questa contraddizione. Anche la musica, le canzoni. Il rugby è da sempre lo sport irlandese che annulla i confini. Non li può ignorare, ma si identifica con i valori che entrano in gioco per condividere, non per distinguere. Il calcio è diviso. Due stati, due federazioni. La separazione è avvenuta nel 1921, nei precedenti 40 anni tutto era gestito dall’Irish Football Association . Il 1921 è l’anno in cui la guerra d’indipendenza irlandese contro il Regno Unito portò alla firma del trattato anglo-irlandese e in seguito al riconoscimento dello Stato Libero d’Irlanda . Il 1921 è stato l’anno della divisione politica, dunque, ma il calcio era uno sport già diviso, la politica è venuta dopo, ha solo aumentato le distanze. L’IFA aveva sede a Belfast, finanziava e favoriva i club del Nord , le partite internazionali si giocavano a Belfast e quasi mai a Dublino, venivano convocati in nazionale quasi esclusivamente giocatori del Nord. Abbastanza per convincere la provinciale Leinster Football Association a fondare la Football Association of Ireland e a staccarsi. Per sempre, nonostante tentativi di pacificazione e fusione mai riusciti. Il rugby ha fatto il contrario. Le federazioni erano due, nel 1879 si unirono per fondare la Irish Rugby Football Union . Dopo la separazione politica, l’IRFU decise che non c’erano ragioni per dividere le forze e continuò ad organizzare l’attività sulla base delle 32 contee irlandesi e delle 4 grandi province: Leinster, Ulster, Munster e Connacht . La squadra nazionale di rugby irlandese è un caso particolare nel mondo dello sport: una selezione formata da giocatori che provengono da due Stati politicamente distinti, da due diversi territori nazionali. Il 1921 non ha avuto ripercussioni sul rugby. Era uno sport ben distribuito sull’isola da oltre cinquant’anni, giocato da cattolici e protestanti da generazioni, radicato in tutte le contee. Senza una prevalenza precostituita di una delle due parti nei ruoli di vertice. Stare insieme non è stato semplice. Giocare a livello internazionale vuol dire usare i simboli che ti fanno riconoscere, in cui ti riconosci. Una maglia, una bandiera, un inno nazionale. Lo sport diventa rituale di identità, esplora le connessioni storiche e sociali con la sua comunità. Gli inni nazionali durante le premiazioni ai Giochi Olimpici sono stati introdotti per la prima volta nell’edizione di Parigi del 1924. È stato il rugby a creare una tradizione. Nel 1905 ci fu la prima tournée degli All Blacks in Gran Bretagna. Grandi vittorie contro le rappresentative inglesi, scozzesi e irlandesi, vittorie preannunciate dalla Haka, che la squadra neozelandese eseguiva già allora creando un grande impatto emotivo. Il Galles, ultimo avversario degli All Blacks, aveva visto l’effetto di quella danza maori. Pensò a come opporre una propria identità nazionale, in una partita che fu definita come il ‘Match del Secolo’, tra gli imbattuti neozelandesi e i gallesi vincitori della Triple Crown. A Cardiff i gallesi guardarono la Haka e poi risposero con ‘Hen Wlad Fy Nhadau’ , il loro inno. In realtà l’inno ufficiale era ‘God Bless the Prince of Wales’ , ma a partire dalle competizioni sportive fu sostituito da questa canzone decisamente più autentica e sentita, che celebra una terra di poeti e cantanti, guerrieri coraggiosi e ottimi patrioti. Inno cantato dall’ala Teddy Morgan, seguito dalla squadra e poi da tutto il pubblico in quel 16 dicembre 1905. Fu vissuto come un evento straordinario, anche perché il Galles vinse il match con una meta vincente proprio di Morgan. Cantare l’inno si trasformò presto in un’abitudine in Gran Bretagna, nel resto d’Europa, per diventare ufficialmente parte del cerimoniale sportivo con l’Olimpiade del 1924. La prima a cui partecipò l’Irlanda come paese indipendente. Vinse anche due medaglie, nelle gare artistiche, inserite nel programma olimpico fino al 1948. Un argento nella pittura con John Butler Yeats, pittore e fratello del grande poeta William Butler Yeats, premio Nobel nel 1923. E un bronzo in letteratura con una poesia di Oliver St. John Gogarty sui Tailteann Games, un festival sportivo su tradizioni che risalivano all’invasione anglo-normanna dell’isola. La questione dei simboli è sempre stata complessa per l’Irlanda. Dopo l’indipendenza sono stati adottati quelli rivoluzionari, la bandiera verde-bianco-arancione e l’inno ‘Amhrán na bhFiann’ . Nelle gare internazionali, il rugby irlandese non impose alcun simbolo fino agli anni 30, finché le pressioni dei club dello Stato Libero d’Irlanda furono accolte. La soluzione fu comunque un compromesso. La bandiera fu quella della IRFU, la federazione irlandese di rugby, il famoso scudetto con il trifoglio e i simboli delle 4 province su uno sfondo verde. Nei match giocati nello Stato Libero e poi nella Repubblica veniva cantato ‘Amhrán na bhFiann’, in quelli giocati in Irlanda del Nord veniva eseguito ‘God Save the King/Queen’ . In trasferta nulla. L’impossibilità di scegliere aveva fatto scegliere il silenzio. I momenti di imbarazzo, di disagio, continuarono. Inevitabilmente. I giocatori del Nord non erano tenuti a cantare l’inno nelle partite giocate a Dublino, stavano in piedi senza aprire bocca. In una gara del 1954 a Ravenhill, lo stadio di Belfast, i giocatori della Repubblica si rifiutarono di scendere in campo fino a quando non finì ‘God Save the Queen’. Al Nord non capivano perché loro stavano accanto ai compagni durante l’inno della Repubblica e quelli della Repubblica non volevano fare la stessa cosa. Furono negoziati altri compromessi, uno sforzo continuo di conciliazione a cui il rugby non si è mai sottratto. Problema risolto anche grazie alla maggiore capienza dello stadio di Lansdowne Road di Dublino. Un motivo per rendere accettabile a tutti che da quel 1954 e fino 2007 l’Irlanda giocasse solo a Dublino. Non si giocarono partite internazionali a livello senior in Irlanda del Nord fino al 2007. IL RUGBY DURANTE IL CONFLITTO NORD-IRLANDESE Il 1987 è stato un anno fondamentale per testare quanto fosse solida questa volontà del rugby irlandese di resistere alle tensioni politiche e separatiste. La nazionale era in ritiro a Merrion Road, Dublino, campo di uno dei club più antichi dell’isola, il Wanderers F.C. Si stava preparando alla prima edizione della Coppa del Mondo di rugby in Nuova Zelanda e Australia . I giocatori convocati arrivavano da tutte le 4 grandi province d’Irlanda. Ben dieci venivano dall’Ulster, la provincia che comprende anche le contee che fanno parte dell’Irlanda del Nord. Due erano agenti del RUC , il corpo di polizia nord-irlandese, uno dei principali obiettivi dell’IRA. Erano gli anni dei ‘Troubles’, il conflitto nord-irlandese che insanguinò l’isola e la Gran Bretagna per circa 30 anni. Più di 3.500 vittime e circa 50 mila feriti tra la fine degli anni 60 e il 1998, quando l’Accordo del Venerdì Santo ha concluso un lungo e sofferto processo di pace. L’IRA, Irish Republican Army, era una forza paramilitare filo repubblicana che combatteva con l’obiettivo di unificare tutta l’Irlanda. Si considerava una diretta emanazione dell’esercito che aveva combattuto per l’indipendenza, operava nelle aree cattoliche dell’Irlanda del Nord, ma durante il conflitto ha condotto attentati e azioni terroristiche in tutta l’isola e in Gran Bretagna. Si contrapponeva all’esercito britannico, alla polizia del RUC e agli unionisti dell’Ulster. Era considerata un’organizzazione terroristica dal Regno Unito e illegale dalla Repubblica d’Irlanda. In questo clima fortemente divisivo, la nazionale irlandese di rugby cercava di mantenere la sua struttura e i suoi valori. Il 25 aprile del 1987, Sir Maurice Gibson, giudice dell’Alta Corte dell’Irlanda del Nord, e la moglie Cecily furono uccisi da una bomba da 220 chili. Era piazzata su un’auto parcheggiata e fu fatta esplodere al loro passaggio vicino a Killeen, poche miglia dal confine tra Nord e Sud. Procedevano in auto in direzione nord, dall’altra parte procedevano verso sud tre giocatori che dovevano raggiungere il ritiro dell’Irlanda del rugby a Dublino: David Irwin, Nigel Carr e Philip Rainey. Furono investiti dall’esplosione. Sono sopravvissuti. Lo definirono un miracolo, perché non ti potevano venire spiegazioni terrene di fronte ad una devastazione che non aveva fatto altre vittime. Nigel Carr non giocò mai più a rugby a causa delle ferite riportate. È stato uno dei migliori talenti di sempre a vestire la maglia della nazionale. Aveva una mentalità da professionista in un mondo ancora amatoriale, una grande cura dei dettagli e una grande velocità. Ha chiuso la carriera a 27 anni. La tragedia ha messo ancora più in evidenza l’anomalia irlandese, una squadra con giocatori di due paesi diversi, alcuni costantemente minacciati dal terrorismo, che scendevano in campo con la stessa maglia, sopportando dissidi e polemiche su ogni cosa li riguardasse. IL PRIMO INNO ALTERNATIVO: THE ROSE OF TRALEE Anche per questo l’assenza di un inno, di qualcosa che rappresentasse il senso di vestire quella maglia, era diventato insopportabile alla vigilia della Coppa del Mondo del 1987. I giocatori si resero conto che non potevano rimanere musicalmente inermi e nudi dopo che gli avversari avevano cantato la loro canzone. La ricca tradizione musicale irlandese non aveva nessuna canzone adatta ad attraversare il confine tra Nord e Sud? Possibile? Il capitano Donal Lenihan cercò in pochi minuti una soluzione mai trovata in decenni di storia, appena prima della gara di esordio contro il Galles. Si consultò con i giocatori e il pilone sinistro Phill Orr tirò fuori una cassetta di James Last che conteneva di ‘The Rose of Tralee’ . La decisione d’istinto fu di battezzarla inno sul posto. ‘The Rose of Tralee’ è una ballata irlandese scritta nell’800, una canzone popolare che descrive l’innamoramento per Mary, una donna bellissima, la rosa di Tralee, appunto. Tralee è nella contea di Kerry, uno dei paesaggi più belli di tutta l’isola. Quella versione della canzone non rendeva giustizia a tanta bellezza. James Last era un compositore tedesco che con la sua orchestra ha prodotto più o meno 200 dischi in studio . Arrangiamenti per orchestra di tutto il patrimonio musicale mondiale, compreso il disco uscito nel 1983 dedicato alle canzoni tradizionali irlandesi, che si intitolava proprio ‘The Rose of Tralee’ . Diciamolo, era mielosa musica orchestrale con sviolinamenti vari. James Last ci perdoni e si consoli con il fatto che ha venduto 200 milioni di dischi nel mondo, bravo lui. L’effetto di quell’inno improvvisato prima di Irlanda-Galles del 25 maggio 1987 fu terribile. I giocatori ascoltarono sull’attenti, non cantarono perché non conoscevano le parole e la versione di James Last era ovviamente solo orchestrale. Il peggio fu che la registrazione era talmente rovinata che dagli altoparlanti uscì un rumore molesto e gracchiante. Una scena pietosa, un’umiliazione. Confermata sul campo . Nelle partite successive tornò l’impossibilità di scegliere e si scelse nuovamente il silenzio. La federazione irlandese ci ha messo un po’ di anni per riprendersi e cercare una soluzione. Nella Coppa del Mondo del 1991 ospitata in tutte le isole britanniche e in Francia, l’Irlanda giocò una sola partita lontano da Dublino, dove poteva cantare ‘Amhrán na bhFiann’ . Nella partita giocata a Edimburgo contro la Scozia, nessun inno, nessun canto. ‘Amhrán na bhFiann’ è il titolo in gaelico di ‘The Soldier’s Song’, una canzone scritta intorno al 1909 da Peadar Kearny e Patrick Heeney, che ha composto la melodia del ritornello con il suo melodeon, una piccola fisarmonica a bottoni. Canzone simbolo della ribellione e della lotta per l’indipendenza, cantata dai volontari dell’esercito irlandese. Una canzone militare e militante, percepita all’inizio della sua storia anche come l’inno del Sinn Féin, il partito repubblicano e indipendentista, in parte associato all’IRA nel suo passato, poi un partito social-democratico irlandese nazionalista. Una canzone che inizia dicendo ‘Soldati noi siamo’, una canzone per la battaglia. È diventato l’inno dello Stato Libero d’Irlanda nel 1926. Quindi ai Giochi Olimpici di Parigi del 1924, al debutto ufficiale degli inni nazionali, l’Irlanda si presentò senza un inno ufficiale. Gli atleti irlandesi erano accompagnati da ‘Let Erin Remember’ , una canzone tradizionale. È stato sempre difficile per lo sport irlandese trovare la cosa giusta in un contesto storico e culturale dove diverse identità e tradizioni vogliono essere capite, espresse, sentite e rispettate. Se la canzone giusta non c’era, bisognava inventarla. IRELAND’S CALL, UN INNO PER TUTTI L’Irlanda non poteva presentarsi alla Coppa del Mondo di rugby del 1995 ancora senza un inno. Serviva qualcosa di totalmente nuovo. La federazione allora affidò il compito di trovare testo e musica a Philip Coulter, un musicista che conosceva bene le profonde tradizioni folk irlandesi, ma che sapeva muoversi nei territori sonori del rock e del pop. Coulter aveva una storia personale che sembrava un ponte tra Nord e Sud. Era di Derry, Irlanda del Nord. La madre era di Belfast, il padre era un poliziotto del RUC, ma di religione cattolica, una forte minoranza nel corpo di polizia nord-irlandese a maggioranza protestante. Genitori appassionati di musica, il padre suonava il fiddle, il violino che si suona in libertà per la musica popolare, la madre suonava il pianoforte di casa. Una delle canzoni più conosciute di Coulter era ‘The Town I Loved So Well’ , il racconto della sua infanzia a Derry, la vita semplice sconvolta dai ‘Troubles’ che avevano fatto diventare questa cittadina un luogo militarizzato. Una canzone che finiva con un messaggio di speranza per un giorno nuovo , un giorno di pace. ‘They will not forget but their hearts are set on tomorrow and peace once again’. Cuori che non dimenticano ma che vogliono guardare al futuro. Ecco, Coulter era il profilo che poteva comporre qualcosa di rappresentativo per tutta l’isola, era anche un produttore affermato che aveva lavorato con i Dubliners e Sinéad O’Connor. Ha pensato di utilizzare una combinazione di dialetti irlandesi, diversi accenti che cantavano insieme. Così è nata ‘Ireland’s Call’ , con un notevole sforzo per evitare qualsiasi riferimento politico, qualsiasi immagine, luogo, parola che potesse essere contestata da una parte o dall’altra. Inclusiva, ma non troppo diretta, una musica facile e immediata, da cantare in uno stadio. …From the four proud provinces of Ireland Ireland, Ireland Together standing tall Shoulder to shoulder We'll answer Ireland's call Dalle quattro orgogliose province d’Irlanda Irlanda, Irlanda, insieme a testa alta spalla a spalla risponderemo alla chiamata dell’Irlanda Nel 1995 la nazionale di rugby irlandese ha avuto finalmente la sua canzone da cantare. Da allora, nelle partite giocate nella Repubblica d’Irlanda vengono eseguiti due inni, ‘Amhrán na bhFiann’ e ‘Ireland’s Call’. Nelle partite in trasferta, dove c’è stato per anni solo silenzio, ora c’è ‘Ireland’s Call’. La canzone è stata adottata anche da altri sport. Adottata non vuol dire accettata. Non subito. C’è voluto tempo. Molti non si alzavano in piedi quando veniva cantata a Lansdowne Road, molti la consideravano un tentativo di usurpare ‘Amhrán na bhFiann’, di sostituirla. E poi, se qualcosa veniva percepito dagli irlandesi come imposto, non poteva che ottenere il loro orgoglioso rifiuto. Inoltre, se lo vogliamo proprio dire, ecco, musica e testo sono mediocri. Lo pensavano anche alcuni giocatori, come Neil Francis, seconda linea che insieme a Michael Bradley, Terry Kingston e Brendan Mullin ha partecipato alle tre prime edizioni della Coppa del Mondo e quindi ha giocato preceduto da tre inni diversi, da ‘The Rose of Tralee’ a ‘Ireland’s Call’. ‘Se ci avessero dato un pezzo di carta, qualche ora di tempo e un bel po’ di birra, avremmo scritto qualcosa di meglio’. Abbastanza chiaro. Philip Coulter ha composto e prodotto di meglio nella sua carriera. ‘Ireland’s Call’ è il risultato di una serie di circostanze e di equilibrismi, chi la canta ne è consapevole e sa che non si può tornare indietro. Bisogna continuare a cantarla. La cantano i giocatori del Nord e della Repubblica. Non serve altro, non serve che sia anche bella. Qualcosa, comunque, è cambiato. La sedimentazione ha avuto effetto. 24 febbraio del 2007, Irlanda-Inghilterra, match del 6 Nazioni a Croke Park, Dublino. Croke Park è il più grande stadio irlandese , sede della Gaelic Athletic Association , la più grande organizzazione sportiva irlandese che valorizza e promuove in tutte le 32 contee gli sport tradizionali e dilettantistici come calcio gaelico, hurling, camogie e rounders. Il suo stadio è sempre stato vietato agli altri sport , non poteva essere contaminato. Negli anni 2000 queste regole protezionistiche sono cadute, prima con gli U2, eroi irlandesi moderni, che hanno tenuto un grande concerto il 24 giugno del 2005. Poi grazie ai lavori di ristrutturazione di Lansdowne Road, con la costruzione del nuovo Aviva Stadium, 51 mila posti, inaugurato nel 2010. Croke Park nel 2007 si è prestato al rugby: ospitare l’Inghilterra è stato un momento carico di significato. Nessuno ha mai dimenticato la Bloody Sunday, la domenica di sangue. Il 21 novembre del 1920 le forze armate britanniche e la polizia ausiliaria entrarono a Croke Park durante una partita di calcio gaelico e spararono su giocatori e spettatori, uccidendo 14 persone e ferendone altre 16. Un massacro, una ritorsione per l’uccisione di alcuni ufficiali e agenti dello spionaggio inglese che vivevano a Dublino. Prima di Irlanda-Inghilterra, il pubblico di Croke Park ha ascoltato ‘God Save The Queen’, in piedi, con rispetto, con applauso finale. Poi ha seguito l’inno irlandese ‘Amhrán na bhFiann’ urlando tutto il suo orgoglio, un’onda d’urto sonora. Quando è partita ‘Ireland’s Call’, l’onda sonora ha continuato con la stessa intensità. Nessuna voce è rimasta indietro. Il 24 febbraio 2007 è stato il giorno in cui la canzone di Philip Coulter è diventata un patrimonio comune. L’Irlanda sconfisse l’Inghilterra 43 a 13. Sì, qualcosa era definitivamente cambiato. Sempre nel 2007 l’Irlanda è tornata a giocare a Ravenhill, Belfast. Non accadeva dal 1954. L’avversaria era l’Italia. Il quel 24 agosto 2007 la IRFU, la federazione irlandese, decise di rinunciare a ‘God Save the Queen’ prima del match. Cantarono l’inno ideologicamente unificatorio delle 4 province, ‘Ireland’s Call’. Un modo per affermare la sua importanza. Ne seguirono altre polemiche, come sempre. Nel Nord molti non capivano perché a Dublino ci fosse sempre l’inno nazionale prima delle partite e a Belfast, a quanto pare, non più. IN MEMORIA DI DOLORES O’RIORDAN Il Limerick Country Hurling Team è lo storico e glorioso club di hurling di Limerick. Antico insediamento vichingo vicino alla foce del fiume Shannon, Limerick è una cittadina di oltre 100 mila abitanti, capoluogo dell’omonima contea, nella provincia di Munster. Irlanda sud-occidentale. I giocatori di hurling usano una mazza di legno di frassino , colpiscono una palla chiamata sliotar, con regole che richiamano quelle del calcio gaelico devono indirizzarla tra i pali avversari, sia sopra la traversa sia sotto dove c’è una rete protetta da un portiere . È uno degli sport tradizionali gaelici, un’enorme passione in tutte le 32 contee irlandesi. La versione femminile si chiama camogie. Il Limerick stava attraversato una lunga crisi dopo la sua ultima vittoria del 1973 nell’All-Ireland Senior Hurling Championship, la competizione più importante. Riuscì a qualificarsi per la finale del 2018 che si giocò il 19 agosto a Croke Park, ovviamente. Affrontò i campioni in carica di Galway. Non vinceva il titolo da 45 anni. Una partita tiratissima, il Limerick riuscì a costruire un vantaggio e a difenderlo fino alla fine. Il capitano Declan Hannon sollevò finalmente la Liam McCarthy Cup, il trofeo dei vincitori che ricorda la forma di un calice medievale. La squadra fu accolta da 90 mila persone all’arrivo alla Colbert Rail Station e accompagnata verso il Gaelic Grounds, lo stadio di Limerick. Festeggiamenti folli, con una colonna sonora obbligata. ‘Dreams’, e poi ‘Linger’, la prima canzone scritta dalla cantante Dolores O’Riordan con i Cranberries e ‘Zombie’, il loro più grande successo. Pochi giorni dopo quella storica vittoria, il Limerick Country Hurling Team ha portato il trofeo a Ballybricken, un paesino di campagna a 18 chilometri dalla città e lo ha consegnato alla signora Eileen e alla sua famiglia. La famiglia di Dolores O’Riordan. La cantante dei Cranberries era nata e cresciuta a Ballybricken. Dolores è sempre stata una grandissima tifosa di hurling, anche una buona giocatrice. Giocava con e contro i maschi, non si tirava indietro. ‘Era tosta’, diceva sempre la signora Eileen, la mamma di Dolores. Eileen era stata a Croke Park e aveva visto la finale. Era la prima volta che entrava in uno stadio senza Dolores. Nella piccola casa della famiglia O’Riordan si erano radunati familiari, amici e vicini. Insieme hanno cantato ‘Limerick, You’re A Lady’, l’inno ufficiale del Limerick, poi sostituito di fatto da ‘Zombie’ che nel 2018 era diventato il coro più frequente durante le partite. ‘Peccato che Dolores non sia qui’, ha detto la signora Eileen. ‘Ci avrebbe cantato qualcosa’. Dolores non ha mai visto il suo Limerick vincere la coppa. È stata trovata senza vita il 15 gennaio del 2018, nella vasca da bagno di una camera dell’Hilton Hotel di Park Lane, una magnifica vista su Hyde Park, Londra. Annegamento accidentale. Così ha stabilito l’inchiesta della procura di Westminster. E intossicazione da alcol, anche questo ha stabilito. Era a Londra per seguire nuovi lavori. La cover di ‘Zombie’ dei Bad Wolves . La collaborazione con il suo nuovo compagno Olé Koretsky e Andy Rourke, bassista degli Smith, per il progetto D.A.R.K., per comporre il nuovo album dei Cranberries. Sembrava che gli anni della sua instabilità mentale, degli alti e bassi dovuti al disturbo bipolare, della fragilità estrema, fossero il passato. Invece stavano preparando la svolta. Definitiva. Uno shock per la famiglia O’Riordan, per la comunità di Limerick, per l’Irlanda, per il mondo della musica e non solo. Il 15 gennaio un’immagine di Dolores O’Riordan apparve sullo schermo del Madison Square Garden a New York prima di una partita dei Rangers. Ai funerali molti colleghi musicisti e amici, il presidente della Repubblica d’Irlanda Michael D. Higgins, Ronan O’Gara, leggenda del rugby nel Munster e nella nazionale irlandese. Nel gennaio 2019 una delegazione del Limerick Country Hurling Team è tornata a Ballybricken, una visita commossa alla famiglia O’Riordan nel primo anniversario della morte di Dolores. ‘ZOMBIE’, UN INNO PER LO SPORT ‘Zombie’ era diventata un’abitudine per le squadre di Limerick e del Munster. Il suo ritornello chiamava il canto collettivo e liberatorio, nutriva il fabbisogno spirituale delle radici locali. Ma una magnifica canzone come ‘Zombie’ non poteva avere limiti. Il 7 giugno del 2022 il Munster Rugby ha giocato all’Aviva Stadium di Dublino il quarto di finale di Champions Cup contro il Tolosa campione in carica . Partita entusiasmante, finita 24 pari e decisa con i penalty shooting. Ai calci decisivi ha prevalso la precisione di due fenomeni come Dupont e Ramos . Prima della seconda metà del supplementare, dagli altoparlanti sono arrivare le note di ‘Zombie’ e i 40 mila tifosi del Munster in maglia rossa hanno dato tutto quello che avevano con le loro voci. Un momento da brividi, la forza di ‘Zombie’ si è manifestata in un evento internazionale, come avveniva in precedenza solo ai concerti dei Cranberries. Il 10 novembre del 2022 il Munster Rugby ha affrontato a Cork il Sud Africa, l’unica grande selezione con cui non aveva mai vinto . Il Munster era riuscito a battere tre volte l’Australia e aveva ancora vivissimo il ricordo del successo sugli All Blacks del 1978, il primo in assoluto di una squadra irlandese di club. A Cork è arrivato il primo storico successo sul Sud Africa e ‘Zombie’ lo ha accompagnato sulle tribune, ormai una canzone celebrativa per momenti come questo. O come la finale di URC del 27 maggio 2023 contro gli Stormers, la squadra sudafricana di Cape Town. Il Munster ha trionfato sul campo e i giocatori si sono scatenati nello spogliatoio con una vibrante versione corale di ‘Zombie’. La storia di tutto quello che è diventato per l’Irlanda un inno, anche solo alternativo e popolare, è passato sempre dalla Coppa del Mondo di rugby, come abbiamo visto. Così è stato anche questa volta. Nell’ultima edizione del 2023 in Francia ‘Zombie’ ha avuto una visibilità planetaria collegata all’evento sportivo. È stata inserita nella playlist che veniva diffusa prima e dopo le partite dell’Irlanda, una decisione concordata tra gli organizzatori e la federazione irlandese. È stata la canzone cantata con maggiore slancio dai tifosi. Negli stadi di Bordeaux e Nantes e soprattutto dopo le vittorie dell’Irlanda contro Sud Africa e Scozia allo Stade de France di Saint-Denis , ‘Zombie’ veniva accolta da un’ovazione appena partivano le note della chitarra carica di distorsione che rendeva riconoscibilissimo il brano. Migliaia di telefonini erano pronti a godersi il rito e a diffonderlo. Il coro si esaltava quando veniva tolta la musica per il ritornello… In your head, in your head, Zombie, Zombie, Zombie. What's in your head, in your head? Zombie, Zombie, Zombie. Un momento di pura gioia, una felicità condivisa. Così sembrava. Non in tutta l’Irlanda. Perché Zombie non è affatto una canzone gioiosa, è un urlo di dolore, è un atto d’accusa contro l’insensata strage di bambini innocenti negli attentati dell’IRA durante il conflitto nordirlandese. Poteva piacere a tutti in un paese dove le divisioni continuano ad avere un profondo impatto sulla società, sulle idee politiche, sul flusso delle informazioni che circolano sui media vecchi e nuovi? Il confine eretto nei cuori e nelle menti non si supera così facilmente come quello fisico tra Nord e Sud, attraversato ogni giorno da migliaia di persone. DOLORES O’RIORDAN, UN ANGELO RIBELLE Dolores Mary Eileen O’Riordan è nata a Ballybricken il 6 settembre 1971. La più piccola di una famiglia numerosa della working-class irlandese, un legame viscerale con la terra, profonde tradizioni religiose e culturali. Mamma Eileen ha garantito la sussistenza ai sette figli, il padre Terry non poteva più lavorare come operaio e contadino dopo un incidente in moto avvenuto nel 1968. Dolores ha iniziato a cantare prima di parlare, seguendo le melodie delle canzoni tradizionali che mamma Eileen cantava sempre durante le faccende domestiche. In casa O’Riordan c’era pane e musica. La chiesa del piccolo villaggio era tutto quello che serviva alla sua formazione. A Ballybricken non c’erano altri posti dove andare. A 5 anni si esibiva già, in chiesa ha imparato a suonare l’organo e a esercitarsi nella magnificenza dei canti gregoriani. A 10 anni cantava nei pub locali. Non è sempre andato tutto bene. Una sorella provocò accidentalmente un incendio che distrusse la loro casa e la comunità raccolse i fondi per comperare alla famiglia una nuova abitazione. Non era circondata solo dai buoni e dai giusti. Un amico di famiglia la violò sessualmente da quando aveva 8 anni. Fino ai 12 anni. Quando incontrò nuovamente quell’uomo ai funerali del padre nel 2011, ne fu sconvolta. Non ha mai avuto dubbi sulla sua necessità di dedicarsi all’arte della musica. Il primo giorno nella scuola secondaria di Lauren Hill a Limerick si presentò ai compagni così: ‘Mi chiamo Dolores O’Riordan e diventerò una rock star’. Mamma Eileen voleva invece che diventasse suora o che continuasse a studiare al college per diventare insegnante, magari un’insegnante di musica. Dolores era una ragazza vivace e ribelle, che cresceva in un ambiente vivace e ribelle attraversato da un forte risveglio culturale irlandese, una chiara identità che si esprimeva attraverso le tradizioni celtiche e la lingua gaelica. Un ambiente capace di contaminazioni, aperto alla musica del momento. I fratelli maggiori ascoltavano The Smiths, The Cure, i gruppi New Age e del rock alternativo. Progetti musicali come Clannad, The Pogues, e la star emergente Sinéad O’Connor dimostravano che si potevano fondere le tradizioni folk e celtiche con i suoni e gli strumenti del rock. A 18 anni Dolores lascia casa e famiglia. Costringendosi per qualche anno a una vita stentata, ma l’urgenza di fare musica non era rimandabile. IL SUCCESSO CON I CRANBERRIES All’inizio degli anni 90 girava per Limerick una band formata dai fratelli Mike e Noel Hogan e dal batterista Fergal Lawler. C’era anche un cantante, un ragazzo che si chiamava Niall Quinn. Se ne andò dopo un anno, facendo però la cosa più importante nella storia dei Cranberry Saw Us, come si chiamavano allora. ‘Conosco una tipa che canta e cerca una band’. Era un’amica della sorella della sua fidanzata. L’ha accompagnata personalmente ad un provino. Dolores O’Riordan non ha spiaccicato una parola, ha cantato un paio di canzoni composte da lei e poi ‘Troy’, il singolo che ha fatto scoprire Sinéad O’Connor al mondo . Ok. Interessante. I ragazzi della band le hanno dato una cassetta con alcune basi registrate. ‘Prova a lavorarci un po’ su’. Dopo qualche giorno, Dolores è tornata con la prima versione di ‘Linger’. Ok. Presa. Con una cantante come Dolores era nata una nuova band, con un nome quasi nuovo: The Cranberries. L’album di debutto con la Island Records è stato ‘Everybody Else Is Doing It, So Why Can’t We?’ , uscito nel 1993 dopo aver testato il mercato discografico con quattro EP. È stato un successo, lento ma costante, partito forse prima negli Usa e poi, di ritorno, in Europa. C’era ‘Linger’ ovviamente, c’era ‘Dreams’, c’era ‘Sunday’. C’era il suono che ha reso riconoscibili i Cranberries da qual momento in poi. Le chitarre così caratteristiche nell’accompagnamento del rock alternativo e dell’indie rock, sull’esempio di band come The Smiths, The Cure, R.E.M. o Echo & The Bunnymen. Gli arpeggi che spesso introducono i brani con richiami al pop-rock anni ‘60. Atmosfere spesso sognanti e malinconiche e un piacevole gusto melodico, leggero e delicato, nei ritornelli. Un mix di freschezza ed energia. Qualche influenza post-punk. Su tutto la presenza pervasiva del folk irlandese, la base da cui partire sempre, il rock celtico era un nuovo genere ben accolto dal pubblico. Ma quello che rendeva unici i Cranberries era la voce di Dolores O’Riordan, un canto che era una denominazione di origine garantita. All’inizio può esserci stata qualche ispirazione presa da Sinéad O’Connor o Siouxsie Sioux, poi Dolores è andata per universi sonori tutti suoi. Dentro quella voce, tutta la sua vita, la vita e la storia di un popolo. I canti gregoriani della chiesa di Saint Albie a Ballybricken, lo yodel imparato dal padre, le canzoni popolari imparate dalla madre, il vibrato e il falsetto. Il lilting, una tecnica dei canti di tradizione celtica in cui la voce sale e scende ritmicamente con la ripetizione di sillabe o parole non di senso compiuto, imitando le frasi suonate da uno strumento musicale. Il keening, il canto in gaelico che veniva eseguito durante i riti funebri. Tecniche complesse, che Dolores gestiva per dare una grande forza evocativa ai suoi testi, creando momenti di estrema dolcezza e tristezza oppure espressioni di rabbia e dolore. Con un forte accento irlandese di Limerick, un dichiarato legame con la sua terra. La voce serviva a esprimere tutto lo spettro delle emozioni contenute nei suoi testi. Testi brevi, una struttura poetica semplice. Dolores ha sempre cantato quello che le accadeva, quello che sentiva. In tutta la sua carriera non è riuscita a scrivere e a cantare niente che non fosse una sua esperienza diretta. ‘ZOMBIE’, L’URLO CONTRO LA GUERRA Il secondo album dei Cranberries è uscito nel 1994 e si intitolava ‘No Need To Argue’ , il disco della popolarità, milioni di copie vendute . Un disco più dark e duro dell’album di esordio, volumi più alti e chitarre distorte, testi più intimi e profondi, dolorosi. C’erano ballate intense come ‘Dreaming My Dreams’ e ‘Yeat’s Grave’ , ‘Everything I Said’. C’era la struggente ‘Ode To My Family’, sulla nostalgia degli anni dell’infanzia di Dolores a Ballybricken, anni dove non esisteva l’infelicità, ‘perché si viveva la vita come un divertimento prendendo quello che ti poteva dare’. ‘Quello che sono diventata non era nei miei piani’, dice Dolores, che ha sempre sofferto le conseguenze della fama e già rivelava i suoi problemi al secondo disco. Certo, dietro alla nostalgia, dietro ai ricordi degli abbracci della madre e dell’amore del padre ci sono sempre stati anche gli episodi più sofferti, gli abusi, dove la famiglia era incolpevole ma forse colpevolmente inconsapevole. Dopo la morte del padre, Dolores non riuscirà più a cantare dal vivo questa canzone per diversi anni. ‘No Need To Argue’ conteneva altri pezzi storici del gruppo come ‘I Can’t Be With You’, ‘Twenty One’, ‘Ridicoulus Thought’. ‘Daffodil Lament’ è stato uno dei migliori pezzi di atmosfera celtica dei Cranberries. Il grande elemento distintivo di questo disco è stato soprattutto il coraggio di affrontare argomenti tragici e scomodi, le notizie più orribili di quei tempi. Raccontando l’effetto che fanno ad un’anima che è un’antenna, raccoglie e restituisce emozioni. ‘The Icicle Melts’ fu scritta dopo il rapimento e l’uccisione di un James Bulger, un bambino di due anni del Merseyside, da parte di due ragazzini di appena 10 anni. E poi ‘Zombie’. La canzone trascinante del disco, il capolavoro dei Cranberries e di Dolores O’Riordan. Il 20 marzo 1993 due bombe posizionate dall’IRA in due cestini dei rifiuti furono fatte esplodere a Warrington, Cheshire, Inghilterra. I ‘Troubles’, le tante vittime dei ‘Troubles’. Il luogo scelto per l’attentato era Bridge Street, un’affollata strada commerciale. Morirono due bambini. Johnathan Ball, 3 anni, immediatamente. Stava cercando un biglietto di auguri per la Festa della Mamma. Tim Parry, 12 anni, morì dopo 5 giorni di agonia. Ci furono 56 feriti e una donna di 32 anni a cui era stata amputata una gamba è poi morta di cancro un anno dopo. I Cranberries erano in tournée in Inghilterra in quei giorni, erano sul loro bus in una zona non molto distante da quella dell’attentato. La notizia colpì Dolores profondamente, non riusciva a smettere di pensare a quei due bambini trascinati nel conflitto, alla disperazione delle loro famiglie. Durante il tour sono nati gli accordi, un’attività subcosciente che attraverso le sue mani e la sua chitarra acustica ha composto la sequenza Mi minore, Do7+, Sol6 e Re/Fa#. La struttura della canzone. La sequenza di accordi si ripete per tutto il brano. Tornata a Limerick ha cominciato a costruire il testo. Le parole che sono venute per prime sono state quelle del ritornello, poi il resto. Dolores voleva dire chiaramente che, anche se era irlandese, questa cosa non le apparteneva, non la riconosceva. È la solita vecchia storia fin dalla Rivolta di Pasqua del 1916 . La violenza causava la sofferenza di una madre, non poteva che essere sbagliata. L’artista che voleva dire queste cose era una ragazza di 23 anni. Che non scriveva di politica ma scriveva quello che pensava. E voleva che il mondo riflettesse su cosa stava diventando. In Irlanda c’erano timori per le reazioni. La Island Records arrivò ad offrire l’assegno di un milione per non fare uscire il brano, almeno come singolo. ‘Troppo controverso’, dicevano. ‘Le radio non lo trasmetteranno mai’. Meglio un nuovo ‘Dreams’ o un altro ‘Linger’. ‘Zombie’ è diventata una n.1 in diversi paesi, ha venduto un milione e 800 mila copie solo nel Regno Unito, ha passato il miliardo di ascolti in streaming . Il video ha fatto la storia di MTV ed ha un miliardo e 650 milioni di visualizzazioni su Youtube. Il coraggio ha pagato. ANALISI DI UN CAPOLAVORO È una pietra miliare della musica alternativa. Una esecuzione ispirata e complessa di Dolores O’Riordan. La voce raggiunge il punto più alto della sua vicenda artistica. Il primo giro di accordi che apre il brano offre già un’ambientazione cupa, poi partono la batteria, il giro di basso e la chitarra con un effetto di distorsione carichissimo. Un suono potente. Un suono grunge. Insolito per i Cranberries. Poi alcune note della chitarra di Dolores creano una sospensione e preparano l’inizio del canto. Another head hangs lowly Child is slowly taken And the violence caused such silence Who are we mistaken? Un’altra testa ciondola lentamente Il bambino viene lentamente preso e La violenza ha causato un tale silenzio Chi si sta sbagliando? I primi versi sono quieti e intensi allo stesso tempo, il canto è pacato ma rivela tensione. Sta mettendo in scena una tragedia. Una grande qualità delle interpretazioni di Dolores, davvero unica in questo. But you see, it’s not me It’s not my family In your head, in your head, they are fightin’ With their tanks, and their bombs And their bombs, and their guns In your head, in your head, they are cryin’ Ma vedi, non sono io Non è la mia famiglia Nella tua testa, nella tua testa, stanno lottando Con i loro carri armati e le loro bombe e le loro bombe e le loro pistole Nella tua testa, nella tua testa, stanno piangendo La tensione comincia a salire. Esce tutta la tecnica di Dolores, con quel modo di rallentare, velocizzare o prolungare alcune vocali preso dalla tradizione folk. La voce va su un registro più alto alla fine di ogni parola, si spezza enfatizzando ogni passaggio, una nota che diventa un gemito, un lamento, l’inizio di un pianto. A volte respira dopo ogni parola, dando ancor più drammaticità. Ripete due volte…e le loro bombe…una violenza senza fine, le bombe a Warrington furono due, ma qui ci sono tutte le bombe di decenni di crudeltà. In your head, in your head Zombie, zombie, zombie-ie-ie What’s in your head, in your head? Zombie, zombie, zombie-ie-ie, oh Nella tua testa, nella tua testa Zombie, zombie, zombie-ie-ie Cos’hai nella testa, nella tua testa? Zombie, zombie, zombie-ie-ie Il ritornello ha una fortissima carica emotiva, è l’onda d’urto di un terremoto dei sensi. Arriva l’indignazione. Anzi, è proprio rabbia. Sulla parola ‘zombie’ la voce cambia, diventa meravigliosamente rauca e profonda, solo su quella parola. La voce angelica di Dolores è finita all’inferno. Riesce a fare tutto questo senza urlare andando fuori giri, fateci caso. La potenza che arriva è enorme ma la voce resta sotto controllo. Another mother’s breakin’ Heart is takin’ over When the violence causes silence We must be mistaken Il cuore di un’altra madre affranta è sopraffatto Quando la violenza causa silenzio Stiamo sbagliando per forza It’s the same old theme since nineteen-sixteen In your head, in your head, they’re still fightin’ With their tanks, and their bombs And their bombs, and their guns In your head, in your head, they are dyin’ È la stessa vecchia storia fin dal 1916 Nella tua testa, nella tua testa, stanno lottando Con i loro carri armati e le loro bombe e le loro bombe e le loro pistole Nella tua testa, nella tua testa, stanno morendo In your head, in your head Zombie, zombie, zombie-ie-ie What’s in your head, in your head? Zombie, zombie, zombie-ie-ie Nella tua testa, nella tua testa Zombie, zombie, zombie-ie-ie Cos’hai nella testa, nella tua testa? Zombie, zombie, zombie-ie-ie Dopo il primo ritornello torna la quiete, ma rimane alta l’intensità. Ci sono due strofe prima del secondo ritornello. La rabbia esplosa in precedenza è rimasta in sottofondo, le sottolineature sulle parole sono più forti, sono quasi furiose. Dopo il secondo ritornello ci sono i vocalizzi che hanno reso ancor più celebre questa canzone e lo stile interpretativo di Dolores. Segue una coda musicale magnifica, un suono dark e doloroso efficacissimo, un tema gotico. Il finale è affidato ad alcuni giri di basso. Tutto di spegne, tutto tace progressivamente, ma quel basso porta la tensione del brano fino in fondo. ‘Zombie’ è una canzone contro il terrorismo, non deve essere strumentalizzata per quello che non è. Gli irlandesi in realtà le devono molto. Dolores li ha messi di fronte al loro eterno dilemma. Basta continuare a dire o a pensare che opporsi alla brutalità dell’IRA voleva dire sostenere o giustificare la brutalità della Gran Bretagna. E viceversa. Erano entrambe da condannare. Non c’era un meglio e un peggio. Le canzoni divisive ci sono state e ci sono. ‘Celtic Symphony’ dei Wolfe Tones, ad esempio. Con quella strofa che fa: ‘Ooh, ah, up the ‘RA’. Un sostegno diretto all’IRA. La squadra irlandese di calcio femminile che festeggiò negli spogliatoi la vittoria ai Mondiali contro la Scozia cantando il ritornello di ‘Celtic Symphony’, fu costretta a scusarsi. ‘Zombie’ è altro da tutto ciò. Usarla per dividere è stato ed è profondamente ingiusto. Un errore. Alla fine, viene cantata perché è una canzone perfetta per uno stadio, per un coro di persone. E perché è bellissima. Sarebbe bello che la gente la cantasse anche per quello che significa. IN THE END ‘Zombie’ è stato il vertice artistico ed emotivo dei Cranberries e di Dolores O’Riordan, certi capolavori forse sono esemplari unici. Ci sono stati altre canzoni di discreto successo come ‘Salvation’, ‘When You’re Gone’, ‘Animal Instinct’, ‘Promises’, ‘Just My Immagination’, ‘Tomorrow’. Dolores ha fatto anche due dischi da sola. Ha sposato il canadese Don Burton, il tour manager dei Duran Duran con cui i Cranberries hanno fatto alcune tournée in America. Ha avuto tre figli. Ha combattuto con la depressione, con risultati alterni. Si è separata. Il 15 gennaio del 2018 i tre membri dei Cranberries hanno ricevuto le parti vocali registrate da Dolores per il nuovo disco che era in preparazione. Avete notato la data? Lo stesso giorno in cui è stata trovata senza vita nel bagno della sua stanza all’Hilton Hotel. Dopo alcuni mesi, i Cranberries hanno completato ‘In The End’, l’ottavo disco in studio della band . Ascoltarlo mette i brividi. Canzoni come ’Lost’ in cui la voce di Dolores tocca nuovamente le sue vette più alte e ci dice ‘I’m lost with you, I’m lost without you. Bring in the night’ . Nella potente e quasi zombiana ‘Wake Me When It’s Over’ ci dice ‘Fighting is not the cure, it’s killing you for sure, wake me when it’s over’ . Sembrano profezie, è una sensazione inquietante. La title track è appunto ‘In The End’, dove dice ‘Take my house, take the car, take the clothes, but you can’t take the spirit’ . In ‘All Over Now’, che forse merita di essere considerato uno dei pezzi più belli del repertorio, Dolores arriva a dirci ‘Remember the place, in a hotel in London’, prima di ripetere più volte ‘It’s all over now’. È tutto finito ora. In un albergo di Londra. Caspita. Parla sicuramente di qualcosa che non c’entra niente con quello che è successo, anche perché è successo dopo. Non so se riuscirete a ingoiare le emozioni e a non farvi travolgere ascoltando ‘In The End’. O riascoltando ‘Zombie’. Potete anche commuovervi, se volete. Siamo umani. Dolores è stata una cantante meravigliosa. La sua voce ci porta la dolce nostalgia che soffia leggera sulle colline di Limerick. La morte di Dolores O’Riordan è stata la fine dei Cranberries. L’impossibilità di scegliere un’altra cantante ha fatto scegliere il silenzio.

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'Zombie' e l'Irlanda del rugby: il dolore di una canzone per trovare l'unità

Danilo Freri