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Gregg Popovich: "Gli USA sono motivo d'imbarazzo per il mondo, il comportamento di Trump è stato disgustoso e comico"

Sport USA
Gregg Popovich, 68 anni (foto Getty)

L'allenatore dei San Antonio Spurs ha parlato a lungo della situazione legata a Donald Trump, alle sue dichiarazioni e a ciò che sta succedendo negli Stati Uniti d'America, toccando anche la questione razziale che definisce come "l'elefante nella stanza di questo paese"

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C’era talmente tanta attesa per le parole di Gregg Popovich su Donald Trump che Steve Kerr, suo grande amico e collega, ha dichiarato di aver preso in considerazione l’idea di saltare l’allenamento dei Golden State Warriors pur di godersi il Media Day dei San Antonio Spurs. E in effetti “Coach Pop” – che in tempi non sospetti aveva già criticato il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America – non ha tradito le attese, definendo il comportamento di Trump nei confronti di Stephen Curry e dei Golden State Warriors come “disgustoso e comico” e aggiungendo che “è divertente che abbia tolto loro l’invito quando non sarebbero comunque andati: è stato come un bambino di sette anni che toglie l’invito a qualcuno quando scopre che non sarebbe andato alla sua festa”. Il tema del comportamento di Trump anche al di là di quanto successo nello specifico con i campioni NBA è stato toccato a più riprese da Popovich, tanto da arrivare a definire gli Stati Uniti d’America come “un imbarazzo per il mondo”. “Mi chiedo anche cosa ne pensi la gente che lo ha votato, dove sta il loro limite, quanto ancora possono sopportare. Quand’è che subentreranno la moralità e l’educazione? Capisco che economicamente non avessero una scelta di loro gradimento, e che molte persone abbiano grossi problemi ora come ora. Lui era l’uomo giusto al momento giusto per sfruttare quel malumore. Ma la gente ha trascurato un sacco di cose pur di votare in quella direzione, anche se capisco che volessero un cambiamento, che si sentivano ignorati, che davvero pensavano che sarebbe successo qualcosa che li aiutasse. Ma la domanda è: a quale prezzo?”.

La NASCAR, Charlottesville e gli USA

Successivamente, il cinque volte campione NBA ha commentato a lungo quanto successo nel campionato NASCAR, che si è schierato dalla parte di Trump sia con il suo pilota più rappresentativo, Richard Petty (“Chiunque non rimanga in piedi per l’inno nazionale dovrebbe essere cacciato dal paese, perché si trovano lì solo grazie agli Stati Uniti d’America”) che con uno dei proprietari, Richard Childress (“Vi compro io il biglietto per il bus: chiunque lavori per me deve rispettare il paese in cui viviamo”).“Ti fa chiedere in che tipo di posto stai vivendo” ha continuato Popovich. “I commenti del signor Petty mi hanno mandato fuori di testa. Non avevo alcuna idea di vivere in un paese dove la gente può dire quel tipo di parole. Non sono totalmente ingenuo, ma penso che quelle persone siano state legittimate da un esempio che abbiamo davanti agli occhi [Trump, ndr]. Lo avete visto a Charlottesville e in tantissimi altri posti, non è una sorpresa. Ma capire come farla finita, andare alle radici e non permettere che succeda di nuovo. Il nostro paese è motivo d'imbarazzo per il mondo: questo individuo davvero pensa che quando le persone si tengono per le braccia durante una partita sia per onorare la bandiera. È delirante. […] Noi abbiamo una scelta: possiamo continuare a sbattere la testa contro il muro con questa condotta, oppure possiamo decidere che le istituzioni del nostro paese siano più importanti, che le persone siano più importante, che avere l’America decente che noi tutti pensavamo di avere sia importante, e scendere alla base facendo quello che bisogna fare”.

La questione razziale: “Chi è bianco parte con un vantaggio di 50 metri in una gara da 100”

Popovich infine ha toccato argomenti molto importanti come la libertà di espressione e la questione razziale. “Io non sto utilizzando la piattaforma a mia disposizione: io sono un individuo e vivo in questo paese, perciò ho il diritto di dire e pensare quello che voglio. Non ha niente a che fare con la posizione che occupo: se aiuta qualcuno a pensarla in qualsiasi maniera, benissimo. Ma la discussione deve esserci. Ovviamente la questione razziale è l’elefante nella stanza e tutti lo capiamo. Ma a meno che non se ne parli costantemente, nulla migliorerà. [La gente dice:] ‘Oh, ne stanno parlando di nuovo, ma perché dobbiamo sempre tirare fuori la questione razziale?’. Beh, perché è scomoda. Ci deve essere un elemento scomodo nel discorso affinché qualsiasi cosa possa cambiare, che sia il movimento LGBT, o il suffragio delle donne, la razza, non importa. Le persone devono sentirsi a disagio, specialmente i bianchi, perché in questo momento siamo in una posizione agiata. Non abbiamo ancora la minima idea di cosa voglia dire essere nati bianchi. […] È difficile realizzare che si parte con un vantaggio di 50 metri in una gara da 100. E che si ha quel tipo di vantaggio solo perché si è nati bianchi – un vantaggio sistematicamente, culturalmente e psicologicamente raro, e che è stato costruito e cementificato per centinaia di anni. Ma molti non la riescono a vedere in quel modo perché è troppo difficile, non è qualcosa che è davanti ai loro occhi ogni singolo giorno. La gente vuole mantenere la propria posizione e il proprio status quo. Ma finché non se ne farà una ragione, nulla verrà risolto”.