All'inferno e ritorno: storie di tre uomini speciali
Sport USAJames Conner, running back di Pittsburgh, da ragazzo ha battuto un tumore; Josh Jacobs, da senzatetto a prima scelta del Draft 2019; DeAndre Hopkins e la mamma, resa cieca da un’aggressione con l’acido. Le loro storie sono un inno alla forza e alla vita
Lo sport è fatto di tempi scanditi da un cronometro, risultati determinati da gol o punti. Agenti, contratti, televisioni, sponsorizzazioni e milioni di dollari o di qualsiasi altra valuta certo. Vediamo le maglie, la maestosità degli stadi, gli stemmi delle squadre. Una ricezione, un assist, un passante di rovescio, un gol. Lo sport offre però anche storie straordinarie di perseveranza che nella loro meravigliosa drammaticità ci offrono un volto umano che andava scoperto o anche semplicemente la ragione di successi o fallimenti. Perché molto spesso, in questo caso sotto un casco NFL, c’è tanto di più. Tre storie diverse, drammatiche e di successo che rendono l’NFL un mondo più affascinante e mettono in evidenza la forza della volontà umana come una spaventosa arma positiva. Una forza inarrestabile che esce da una sorta di huddle comune e che va oltre lo sport, ma nella quale l’amore, compreso quello per il Football, è determinante.
A una settimana dalla morte
Come nel caso di James Conner. Un ragazzo spensierato che si godeva, lui nato a Erie (Pennsylvania), lo status di star come running back della squadra di football dell’Università sempre sognata: i Pittsburgh Panthers. Settembre 2015, prima partita della stagione contro un avversario abbordabilissimo gli Youngstown Star. Vittoria come da pronostico e per lui 2 TD in 8 corse per 77 yards con un problema però al ginocchio da valutare. Il verdetto medico purtroppo durissimo: crociato, ma quello che gli avrebbe comunicato un mesetto dopo, poco prima della festa del Thanksgiving, in una visita di controllo il dottor Michael Seander terrificante. Gli avevano riscontrato un secondo stadio dell’Hodgkin’s Lynphoma con metastasi al petto e al collo. Se non lo avessero asportato immediatamente non avrebbe avuto più di una settimana di vita. Una settimana! Non c’è quasi neanche il tempo di pensare a quanti sogni andranno in fumo. Una settimana! L’operazione poi 6 mesi di durissima chemio visto però come il primo avversario da superare in attesa di farlo poi nuovamente contro safeties, cornerbacks e linebackers. Così è stato. La voglia di tornare sul campo, oltre a quella di vivere, l’hanno aiutato a sconfiggere il male e nel maggio del 2016 è tornato in campo con Pitts per una stagione da 1092 yards corse, altre 302 dopo la ricezione e 20 TD. Nel Draft del 2017 lo ha scelto al terzo giro un’altra franchigia di casa, ancor più prestigiosa e ancor più sognata da un ragazzo di Erie di quella dei Pitts Panthers; i Pittsburgh Steelers. Subito la responsabilità di prendere il posto di Le’Veon Bell. Uno scherzo paragonato all’anno prima e sullo slancio della voglia di football sono arrivate 1470 yards e 13 TD con la convocazione al Pro Bowl.
La rabbia delle notti in strada
Partita delle stelle che ancora sogna il numero 24 dei Raiders perché è solo nel suo anno da rookie, ma gli altri sogni, dopo aver vissuto una realtà così brutta da piccolo, li ha già realizzati tutti grazie al Football. Il mondo sportivo americano è pieno di atleti chiamati JJ. Iniziali molto comuni, se non fosse che nel caso dei Raiders identificano un giocatore dalla storia tutt’altro che banale. Quasi unica. Un percorso difficile, umanamente tutto in salita che lo ha portato fino alla ribalta. Josh Jacobs è cresciuto a Tulsa in Oklahoma, ma la gioventù non può ricordarsela perché praticamente non l’ha vissuta. I genitori si sono separati quando era al fourth grade, l’equivalente della nostra 5° elementare, e lui è finito col padre. Per l’esempio che ha saputo dargli, oltre che per l’amore, la sua fortuna. Inizi duri però perché visto che l’appartamento dichiarato al giudice al momento dell’affidamento non era “ancora pronto” hanno dormito sul divano di amici e più spesso in macchina, per strada. Il papà per proteggere il piccolo Josh con un occhio aperto e soprattutto con una pistola carica sul petto per difenderlo. La doccia? Solo dopo gli allenamenti. Poi finalmente una stanza in periferia si è materializzata e con quella anche il resto dei fratelli, tre, più la sorellina. Nel momento in cui le cose sembravano andare meglio il padre ha perso il lavoro e la famiglia nuovamente un tetto sulla testa. Ancora, macchina, ancora strada. Due anni disoccupato e per mesi la cena era un piatto di riso, a volte noodles riscaldati. Qualche motel e un grande rifiuto, quello di spacciare droga e fare il corriere come gli era stato offerto “Non è l’esempio che voglio dare ai miei figli anche nella difficoltà e se mi avessero arrestato poi chi avrebbe badato a loro”. Intanto il piccolo Josh si stava facendo un nome al livello di High School correndo con la forza della rabbia e di chi vuole riuscire, mettere le testa sopra il livello dell’acqua della disperazione. Numeri talmente straordinari che ai più sembravano incredibili, 455 yards e 6 TD quasi come media a partita, a tal punto che anche i giornali locali non li pubblicavano pensando ad un errore o ad uno scherzo. Numeri che, chi sa come, sono arrivati però in Texas e da lì è giunta una telefonata che ha cambiato per sempre la sua vita. Dall’altra parte della cornetta un certo G. Smith. Un nome che sembrava una presentazione in incognito ad invece solo tanta sostanza. Ha creduto in lui e ha fatto arrivare un video amatoriale delle sue giocate assieme a quei famosi numeri sul tavolo di Nick Saban, coach che non vincerà mai nessun premio di simpatia, ma tutti gli altri a livello di College li ha già fatti suoi al plurale. In 3 anni con i Crimson Tide + di 2000 yards corse, 21 TD e il Titolo nazionale vinto. Scelto lo scorso aprile al primo giro del Draft dai Raiders ha già segnato 4 TD nella NFL. Quella che non poteva vedere da bimbo perché dormiva in una macchina, ma che ha sognato fortemente in quei giorni lì e gli hanno dato la forza di rompere qualsiasi placcaggio.
Il pallone del figlio da “sentire”
Più drammatica ancora la storia di DeAndre Hopkins. Quando aveva 10 anni sua mamma, che lo ha allevato senza una figura paterna, ha avuto una forte discussione fuori dalla casa di un suo ex compagno. Casa dalla quale è uscita una donna che le ha lanciato sul volto un bicchiere. Non di acqua, ma di un acido terribile che le ha sfigurato la faccia. Ricovero immediato al reparto dei grandi ustionati in South Carolina, un mese di coma dal quale è uscita con il “disegno” del volto ricostruito dalle operazioni plastiche, ma completamente cieca. Buio per sempre. Una ferita che il piccolo De Andre ha cercato di lenire sul campo da football. Numeri ed imprese di cui la mamma potesse essere orgogliosa con ricezioni e touchdowns che lui gli ha sempre raccontato a casa nei particolari tutte le sere. Oggi mamma Sabrina incredibilmente sorride sempre. La forza e la gioia gliel’ha data suo figlio, scelto nel 2013 al primo giro dai Texans, che ha assommato quasi 8000 yards tra i Pro con 3 apparizioni al Pro Bowl. Non la lascia mai da sola e ogni TD che realizza corre da lei, che non manca una partita in prima fila (spesso anche in trasferta) e le consegna in mano il pallone perché possa “sentire”, vivere la meta che non ha potuto vedere. La donna che l’ha aggredita sta scontando 20 anni in un penitenziario di alta sicurezza, lei si gode la serenità di un figlio campione con cui si è unita ancora di più.
Storie drammaticamente vere. Di football e di vita. Scoprirle è bello, dà forza, ma mai così forte come quella che ha reso le carriere di questi campioni ancora più ricche. Più belle.