Lo chiamavano Johnny 'Hockey': chi era Gaudreau, un nome, uno sport

Lo chiamavano Johnny ‘Hockey’. Un nome, uno sport. Un ruolo impegnativo per Johnny Gaudreau, scomparso tragicamente a 31 anni lo scorso 29 agosto. Travolto mentre stava facendo un giro in bici con il fratello Matthew, anche lui deceduto nell’impatto provocato da un automobilista che si era fatto “cinque o sei birre”, come ha dichiarato alla polizia. Nella storia dell’hochey ghiaccio e della NHL ci sono soprannomi famosi. ‘The Great One’, cioè Wayne Gretzky, semplicemente il più grande di tutti i tempi. Mario Lemieux ‘Super Mario’, ovviamente, uno dei realizzatori più terrificanti di sempre. Maurice ‘Rocket’ Richard, il più forte giocatore degli anni 40 e 50, 8 Stanley Cup vinte con Montreal, uno che volava sul ghiaccio spinto da una propulsione speciale. Due dei portieri più grandi erano ‘The King’, Henrik Lundqvist, e ‘Dominator’, Dominik Hasek. E poi c’era ‘Mr. Hockey’, Gordie Howe, una carriera agonistica iniziata negli anni 40 e finita nel 1980 a oltre 50 anni, un giocatore semplicemente infinito. L’unico ad avere come soprannome il suo stesso sport, uno sport dove sapeva fare tutto come nessun altro prima di Gretzky e per così tanti anni come nessun altro. Poi, però, è arrivato Johnny ‘Hockey’. Anche lui un nome, uno sport. Con una grande differenza, se guardiamo ai numeri della carriera. I soprannomi dei più grandi di sempre erano un attestato. Certificavano una grandezza. Stabilivano uno status ormai raggiunto. Il soprannome di Johnny Gaudreau era una speranza, una previsione forse, una promessa, un’emozione. Hanno incominciato a chiamarlo così i tifosi di Boston College, l’università con cui giocò dal 2011 al 2014, con cui vinse il titolo nel 2012 in una stagione da 21 gol e 30 assist. Decisamente il più forte giocatore di college della sua epoca. Un soprannome accettato sia da lui che dalla sua famiglia, al punto da volerlo proteggere nel 2015 depositando il marchio, in modo che nessuno potesse sfruttarlo commercialmente o abusarne. Non una scelta per guadagnarci sopra. Mai guadagnato un cent. Almeno così sostiene il padre Guy, buon giocatore di hockey a livello universitario con Norwich, un college militare del Vermont. Guy era direttore del programma di hockey della Hollydall Ice Arena a Sewell, New Jersey, quando ha messo sui pattini il piccolo Johnny. Johnny ha imparato a fare le prime pattinate inseguendo una traccia sul ghiaccio fatta con le caramelle di una marca molto conosciuta dai bimbi di tutti gli States. Pattinare è stato subito un divertimento, un premio, un’attività golosa. E questo è rimasto nella parte sentimentale del suo DNA. Gaudreau ha aumentato le previsioni e cominciato a mantenere le promesse trascinando la nazionale americana alla vittoria nei Mondiali Junior 2013. Il piccolo Johnny era già una stella, pronto alla carriera tra i professionisti. Dove c’era meno entusiasmo, tra gli addetti ai lavori. Scelto con il numero 104 dai Calgary Flames, al quarto giro del draft. Ma come…numero 104! D’accordo, era il draft 2011 e la carriera universitaria non l’aveva ancora fatto entrare in un’altra dimensione. E il piccolo Johnny, poi, era veramente piccolo. Neanche 170 cm quando è stato scelto, qualcuno di più quando ha giocato in NHL. 70 kg, qualcuno di più quando ha giocato a Calgary e Columbus. Dove pensi di arrivare in uno sport fatto da atleti di almeno 180-185 cm e di almeno 90-95 kg. Atleti moderni. Con queste caratteristiche fisiche imponenti 30 o 40 anni fa giocavi ad hockey, facevi soprattutto il difensore, prendevi e davi tante botte, ma stavi piantato sul ghiaccio e quelli bravi ti giravano intorno. Oggi nella NHL sono quasi tutti grandi, grossi, veloci, tecnici. Un altro mondo, un altro sport. Eppure, un certo impatto Johnny ‘Hockey’ l’ha avuto, anche nei pro. Ha portato a Calgary un entusiasmo speciale. Ha segnato il suo primo gol, con il primo tiro, nella prima partita. È stato uno dei migliori rookie della stagione 2014-15. Ha sempre migliorato costantemente, riportando ai playoff una squadra come i Flames, che si erano allontanati dal vertice NHL da diversi anni. Nel 2022 ha segnato per la prima volta 40 gol, superando finalmente i 100 punti . 40 gol e 100 punti, sono numeri che ti definiscono stella di prima grandezza, ormai. Nei playoff del 2022 ha segnato il gol vincente nell’overtime di gara 7 nella serie del primo turno contra Dallas. È il momento più alto della storia recente dei Flames. Per tutto questo, è stata sorprendente la decisione di Gaudreau di lasciare Calgary, dove era già diventato il quinto realizzatore nella storia della franchigia, e firmare un contratto di sette anni per oltre 68 milioni di dollari con Columbus. Una squadra in ricostruzione. Non una scelta per vincere, finalmente, un titolo. Nemmeno per soldi, probabilmente. Bisogna tornare alla famiglia, per capire. Quando lui e il fratello Matthew sono stati uccisi, si trovavano in New Jersey, vicino al posto dove sono cresciuti. Il giorno dopo avrebbero dovuto fare da testimoni al matrimonio della sorella Katie. Un legame forte, quello con la famiglia. Possibile che Johnny abbia scelto Columbus, Ohio, per permettere ai suoi genitori, ai familiari e amici, di venire a vedere le sue partite. Più facile rispetto a Calgary, Alberta, Canada. La sua scomparsa è stata un’onda emotiva che può essere paragonata a quella vissuta dal mondo del basket per Kobe Bryant. Un dolore devastante, un sincero dispiacere per ogni appassionato di hockey. Commentatori muti che non sanno più dire, il conduttore di NHL Network, Tony Luftman, con la voce rotta che legge i comunicati ufficiali e le reazioni, quasi incapace di arrivare fino in fondo. Ma perché? Non ha vinto nulla Gaudreau. Sì, il Mondiale Junior del 2013. Sì, anche il premio di cui era probabilmente orgoglioso, il Lady Bing Memorial Trophy che va al giocatore che si è più distinto per sportività e comportamento da gentleman, tra quelli che hanno un alto standard di abilità tecniche. È stato amato, Johnny ‘Hockey’ Gaudreau. Ecco perché. È stato ed è amato come accade a pochi. Era meraviglioso da vedere. Sul ghiaccio era stilisticamente meraviglioso, aveva due mani che potevano inventare qualsiasi cosa. Andavi a vederlo e aspettavi una sua magia, magari l’aspettavi a lungo, ma arrivava. In tante partite la sua presenza sembrava misteriosa, lo dovevi cercare tra i cambi vorticosi, cercavi con fatica la sua traccia sul ghiaccio e aspettavi la magia. Bello ma non vincente? Pensatelo pure, se volete. Nella NHL lo hanno pensato in tanti. Aveva un carisma diverso. Emanava lo spirito del gioco, una gioia che lasciava il ghiaccio e invadeva la tribuna, toccava il cuore degli spettatori. Giocava con passione. È stato ed è per tanti ragazzi la dimostrazione che si poteva fare, si può giocare ad hockey ad alto livello con 170 cm, poco più, 70 kg e poco più. Chiunque l’abbia conosciuto, incontrato, chiunque abbia giocato con o contro di lui, chiunque l’abbia semplicemente visto in una arena o in tv, lo ha amato perché era autentico nella sua passione per l’hockey. Era ‘cool’ o ‘likeable’, come hanno detto in Canada e in America in questi giorni. Noi diremmo “una bella persona”. Uno a posto, sempre piacevole, disponibile, gentile. Un ragazzo semplice, niente look stravagante, niente vestiti alla moda, la stessa t-shirt da anni. Uno che si è sempre divertito a giocare e che trasmetteva quel desiderio di divertirsi. Ecco, era per questo che Gaudreau meritava il soprannome di Johnny ‘Hockey’. Il suo sport lo ha rappresentato per il motivo più puro. Lo amava. Lo ha amato follemente. Non ci sono titoli da esibire, statistiche inarrivabili. C’era la dimostrazione reale di quanto fosse entusiasmante, pattinare, stare sul ghiaccio, colpire un disco, fare gol o un assist, passare del tempo insieme giocando ad hockey. Questo lo ha fatto meglio di tanti campioni che stanno sul libro dei record davanti a lui, anche di qualche pagina davanti a lui. È rimasto il piccolo Johnny che cercava di seguire sulla pista la traccia di caramelle seminate dal papà per imparare a pattinare. Si può essere campioni anche per una questione d’amore. Anzi, pensando ad un giocatore e un ragazzo come Johnny ‘Hockey’, si è campioni soprattutto per una questione d’amore.