"Da grande voglio fare il kicker": la nuova generazione di idoli in NFL

Alla fine del Super Bowl XLIV, quello giocato a Miami il 7 febbraio 2010 e vinto dai New Orleans Saints sugli Indianapolis Colts, l’autore di questo articolo scese in campo e si piazzò nel punto dal quale Garrett Hartley aveva calciato il più lungo dei suoi field goal , 47 yard. Ovvero, sulla linea delle 37 yard, dato che le 10 aggiuntive sono quelle della zona di meta, la end zone. Nemmeno una posizione esagerata, le 37, considerando che il record NFL è di 66 yard, calciato dunque da 56, quattro al di qua della metà campo. Ebbene, persino da quelle 37 i due pali della porta parevano lontanissimi e soprattutto la distanza che li separa pareva esigua. Figuriamoci spostandoci 19 yard più indietro. Un esempio concreto, materiale, empirico e non teorico, della difficoltà di calciare un field goal, a cui le immagini televisive non rendono giustizia. Un oggetto di forma irregolarmente regolare da spedire in mezzo a due stecchini lontani. Un gesto difficile, che richiede allenamento e sincronia tra almeno tre persone, ma che viene dato per scontato dal pubblico e spesso anche dagli addetti ai lavori. A meno che non sia il calcio da tre punti che fa vincere la partita, o un Super Bowl come è successo quattro volte in 58 edizioni, rappresenta per chi è a casa o allo stadio una caduta di tensione e attenzione: perché in genere calci da tre solo quando non sei riuscito a segnare un touchdown, che vale il doppio. Eppure, l’importanza dei kicker è in crescita, e un recente articolo del Wall Street Journal lo ha evidenziato. Aggiornando il dato fornito dal quotidiano, dopo sei giornate è stato trasformato l’85,8% dei calci tentati, ma se si guarda solo a quelli da oltre 50 yard la percentuale è del 59,5%, cioè 77% per quelli tra le 50 e le 59 e 42% per quelli di oltre 60, con l’exploit di Brandon Aubrey, dei Dallas Cowboys, che ha 2/2, uno da 60 e l’altro da 65 yard. E il suo coach, Mike McCarthy, a un certo punto lo ha mandato in campo per provarne uno da 71, salvo cambiare idea durante un timeout. Curioso, perché per parecchi anni quello di chiamare un minuto di sospensione un attimo prima di un calcio impegnativo era stato un espediente utilizzato dagli allenatori: costringere cioè il kicker, in quel momento già in campo, a pensare, riflettere, diluire la concentrazione che stava per esplodere in un calcio. Ma quello che colpisce di questo andamento, peraltro non ancora sfociato in aumenti dell’entità dei contratti , è che siamo in un momento storico in cui un numero crescente di allenatori sceglie di giocare il quarto tentativo, quarto down secondo la dizione americana: sceglie cioè di cercare di guadagnarsi il diritto a mantenere vivo il possesso palla conquistando le yard mancanti, invece di abdicare e provare il calcio da tre punti o, se la distanza è eccessiva, il punt, calcio di allontanamento che dà sì il possesso agli avversari, ma più lontano possibile. Una miscela che varia di partita in partita e che, in un inizio stagione NFL con un minor numero di lanci lunghi o azioni di grande guadagno di terreno, può portare a ribaltare e vincere partite, contribuendo così ancora di più alla rilevanza di chi calcia e chi decide. L’evoluzione dei kicker è tra i tanti fenomeni di trasformazione del football, inevitabile. I kicker di oggi sono spesso ottimi atleti che a un certo punto del loro percorso sportivo hanno scelto di specializzarsi, puntando magari sulla specialità che più di altre avrebbe permesso loro di guadagnarsi un contratto, ma sono molto diversi da quelli di un tempo, distinguibili spesso a vista d’occhio dai compagni di squadra, come vedremo in seguito. Hanno a disposizione coach di reparto più preparati e cominciano presto, da ragazzini, a frequentare corsi specialistici e usufruire di attenzioni maggiori di un tempo, aspetto che permette loro di crescere tecnicamente e atleticamente, magari con importanti esperienze precedenti. Aubrey, ad esempio, 29 anni, è un ex calciatore professionista: era stato preso dal Toronto FC come difensore centrale e dato in prestito alla squadra B nella seconda lega, la USL, e anche se la sua carriera calcistica si era interrotta era evidente che si parlava di un atleta con caratteristiche specifiche e non di un miracolato con una sola dote. Curioso che fosse stata la moglie, vedendo un kicker NFL sbagliare un calcio, a dirgli “guarda che tu lo avresti saputo segnare”, e da quel giorno nel 2019 Aubrey cominciò a dedicarsi al nuovo sport e al nuovo approccio. Perché non basta saper calciare, bisogna saper colpire una palla da football in circostanze particolari. Ecco perché, dopo aver provato, da solo, e con il pallone su un supporto, a infilare tra i pali da 60 yard, in un campetto vicino a casa, Aubrey si affidò a un coach specifico e lavorò sulla tecnica in ogni momento che la sua nuova attività come programmatore di software gli lasciava libero. Contattato nel 2022 dai Birmingham Stallions della USFL, la lega primaverile, decise di rischiare: firmando il contratto da professionista avrebbe preso la metà rispetto al lavoro normale, ma era troppo forte la tentazione di provare e sconfiggere paure antiche a recenti. Aubrey infatti ammise che l’esperienza di Toronto era stata negativa anche perché si era sentito in soggezione ad allenarsi con gente che fino ad allora aveva visto solo in tv, come Sebastian Giovinco. Dalla USFL alla NFL con il provino per Dallas e ora uno status di affidabilità assoluta. Ma di fatto serve essere stati calciatori, per effettuare dei buoni field goal? La risposta tende più al no che al sì, ma il tema si presta a molte interpretazioni. Fino agli anni Ottanta, infatti, quasi tutti i kicker a tutti i livelli del football calciavano di punta, come gli omini dei giochi da tavolo: un metodo che permetteva di scaricare tutta la potenza in maniera diretta ma che si prestava ad errori, considerando che con il pallone in posizione eretta, verticale, il margine di precisione era ridotto: e infatti la percentuale di realizzazioni era in genere poco superiore al 50%, ma si trattava di una situazione che nessuno pensava di poter sistemare. Non per nulla il record NFL, 63 yard, durato 51 anni e battuto da Justin Tucker nel 2021, fu stabilito da Tom Dempsey, un ragazzo che, nato con una malformazione al piede, utilizzava una scarpa speciale con la punta piatta, quindi con una maggiore superficie di impatto e minore possibilità di deviazione nel volo. A importare una diversa tipologia di calcio furono, non sorprendentemente, europei come Jan Stenerud, il norvegese iscrittosi alla Montana State University grazie a una borsa di studio per praticare… salto con gli sci ma che un giorno, per puro caso, calciò un pallone, fu visto dall’allenatore di… basket che lo consigliò a quello di football e dopo un po’ di adattamento intraprese una carriera NFL durata ben 19 anni e coronata dal Super Bowl IV del gennaio 1970, vinto dai suoi Kansas City Chiefs contro i Minnesota Vikings. Il bello è che Stenerud stesso, nonostante l’indubbia bravura, ammise di avere avuto un pizzico di fortuna nel 1965 nel calciare, al college, un field goal da 59 yard, all’epoca record universitario, perché aveva alle spalle un vento molto forte, circostanza abituale in quella zona. Stenerud calciava di interno collo, non di punta, e come lui facevano i fratelli Gogolak, figli di un ungherese scappato alla repressione sovietica del 1956 e stabilitosi in America. Era il decennio della grande Ungheria, e Peter e Karl Gogolak, per imitare i Puskas e gli Hidegkuti di cui avevano fatto in tempo ad apprezzare le doti, calciavano pure loro di interno collo, modalità che per l’appunto consentiva, a parità di potenza, una maggiore precisione. Peter, detto Pete, giocò nei Buffalo Bills dal 1964 e nei New York Giants dal 1966, divenendone il maggior realizzatore e contribuendo così con Stenerud a formare una nuova generazione di kicker, con caratteristiche diverse: fino a quel momento, infatti, a calciare da tre e un punto erano stati giocatori di altri ruoli, dunque spesso di corporatura massiccia, ma dal piede pesante, mentre l’emergere del kicker come ruolo a sé permise l’utilizzo di atleti diversi, magari meno imponenti o… atleti ma abili a calciare. Un lungo periodo nel quale, va detto, si vide di tutto, in tutti i sensi: Mark Moseley durò 16 anni nella NFL pur continuando, ultimo, a calciare di punta, e vinse anche il Super Bowl XVII della stagione 1982, nella quale fu addirittura votato come miglior giocatore dell’intera NFL, mentre Tony Franklin e Rich Karlis calciavano… scalzi, per avere, a loro dire, maggior sensazione del contatto con la palla. Nessuno di loro pareva un atleta vero, nel senso tradizionale del termine e soprattutto a paragone dei compagni di squadra dei ruoli storici. E lo stesso si poteva dire di un altro personaggio storico, Garo Yepremian, l’armeno di passaporto cipriota fuggito per il conflitto greco-turco, passato per Londra dove ebbe una bancarella e, dopo un giro tortuoso, bloccato dai Miami Dolphins con cui vinse due Super Bowl, nonostante una iniziale ignoranza delle regole base del football americano. Il calciatore-kicker più illustre però è Anton ‘Toni’ Fritsch, austriaco, autore di un percorso da film. Classe 1945, attaccante, cresciuto nelle giovanili del Rapid Vienna, aveva debuttato a 19 anni, aveva vinto due campionati e, il 20 ottobre 1965, addirittura segnato due gol all’Inghilterra, a Wembley, in un memorabile successo per 3-2 degli austriaci. Persosi un po’ per strada, a rischio di posto in squadra per l’emergere di un giovane e già incisivo Hans Krankl, un giorno del 1971 fu chiamato al telefono dall’allenatore slovacco della nazionale austriaca, Leopold Šťastný, che lo invitò ad andare il giorno dopo allo stadio Hohe Warte, leggendario impianto viennese, ricavato dal fianco di una collina, che negli anni Venti era stato il più grande dell’Europa continentale e aveva ospitato anche 82.000 spettatori per un’amichevole tra Austria e Italia. Requisito dalle forze alleate dopo la Seconda Guerra Mondiale, era rimasto un punto di riferimento per i praticanti di sport americani e per i soldati rimasti in città, e fu lì che i dirigenti dei… Dallas Cowboys, in tournée europea alla ricerca di un kicker, lo misero alla prova. Fritsch non sapeva neppure cosa fosse il football americano, ma quando gli chiesero di calciare attraverso i pali lo fece e pochi minuti dopo firmò un contratto che gli aprì le porte di un nuovo mondo, migliore tra i quasi 400 personaggi che i Cowboys avevano messo alla prova in giro per il mondo, alcuni dei quali al limite del caso umano, come l’autista di un bus che, vedendo gente che calciava, aveva fermato la vettura, l’aveva parcheggiata e si era sottoposto al provino con indosso la divisa di lavoro. Fritsch in realtà divenne il kicker titolare dei Cowboys solo dopo l’infortunio del suo predecessore e dopo tanti dubbi sulla strada intrapresa, ma potè fregiarsi pure lui di un anello del Super Bowl, in… contumacia, dato che un infortunio muscolare gli impedì di scendere in campo per la partita. Autore anche di una rabona durante un kickoff, l’azione con cui dopo una segnatura si calcia la palla agli avversari, Fritsch, scomparso nel 2005 a soli 60 anni, fu raggiunto nella NFL da un altro ex calciatore austriaco, Florian Kempf , mentre dopo di lui Dallas ebbe per un po’ solo kicker che provenivano dal calcio e dal Messico: Efrèn Herrera, Rafael Septién, ex giocatore delle giovanili del Club America e figlio di Carlos nazionale messicano ai Mondiali 1950 e 1954 e Luis Zendejas. Per non parlare, tornando in Europa, del tedesco Horst Mulhmann, ex portiere dello Schalke 04 che poi giocò con i Kansas City Chiefs, i Cincinnati Bengals e i Philadelphia Eagles, e di un altro austriaco, Ray Wersching, cresciuto in America e addirittura due volte campione NFL con San Francisco, famoso perché dal momento in cui entrava in campo a quello in cui calciava teneva la testa bassa, senza guardare la porta. E poi ancora Toni Linhart, per sei partite compagno di squadra in nazionale di Fritsch poi kicker dei New Orleans Saints, Baltimore Colts e New York Jets. Nella World league of American football, lega degli anni Novanta creata in Europa dalla NFL, giocò invece con grande successo Manny Burgsmuller, che aveva alle spalle oltre 400 partite e 200 gol in Bundesliga con Borussia Dortmund e Werder Brema. E prima o poi potrebbe toccare, per suo espresso desiderio, a Harry Kane, la cui passione per il football americano è nota da tempo.

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