MLB, Ichiro Suzuki: la Hall of Fame ha il suo primo giapponese

“Suzuki è il secondo cognome più diffuso in Giappone. Tu non sei come tutti gli altri, tu sei speciale. Tu devi essere Ichirō”. Parola di Hiromasa Arai, allenatore della battuta degli Orix Buffaloes. Di fronte a lui c’è un ragazzo di ventuno anni dal volto squadrato, più piccolo di molti compagni di squadra, ma dagli occhi vispi e con un talento smisurato. Quel giovane è alla prima stagione completa tra i professionisti dopo un paio d’anni di gavetta e ostracismo da parte del vecchio allenatore che ora, per sua fortuna, ha abbandonato la squadra. Quello che ancora nessuno sa, tranne forse lui stesso, è che quello sarebbe stato il reale punto di partenza di ventisei stagioni di carriera leggendaria, culminata nella notte del 21 gennaio 2025 con l’ingresso nella National Baseball Hall of Fame. Ichirō Suzuki, o semplicemente Ichirō, è il primo atleta giapponese a entrare nel Valhalla degli Eroi del ‘National Pastime’ a stelle e strisce. La fatica da vero e proprio eroe dei due mondi può ritenersi conclusa. Ichirō Suzuki nasce a Toyoyama, periferia di Nagoya, nel 1973. La città di Nagoya, per dare un paio di indicazioni a chi non conosce la geografia nipponica, si trova idealmente a metà strada tra Tokyo e Osaka, ma è molto più di un crocevia tra le due identità più forti del Giappone contemporaneo. È la quarta città per popolazione, ma soprattutto il luogo in cui Oda Nobunaga, un piccolo signore della guerra nel periodo degli Stati Belligeranti che cosparse di sangue l’arcipelago nel corso del XVI secolo , diede il via a una campagna militare che portò all’unificazione del Giappone sotto le figure dei suoi delfini Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. L’embrione del Giappone moderno nasce da quelle terre calpestate qualche secolo dopo da Ichirō. Educazione militaresca Ichirō cresce con il sogno di giocare a baseball, magari nei Chunichi Dragons, la squadra di Nagoya di cui è grande tifoso. Per aiutarlo nel suo sogno il padre Noboyuki gli regala il primo guantone all’età di tre anni, poi, quando il pargolo ha sette anni ed entra in una squadra locale, comincia con lui una routine tanto intensa da diventare quasi militaresca: ogni giorno, alle 15.30 in punto i due si trovano al campetto locale per una massacrante routine che comprende 200 battute, 50 lanci, 100 palline gestite in difesa. Terminato tutto ciò, Ichirō può tornare a casa a fare i compiti, mangiare, per poi andare nella locale gabbia di battuta e completare la giornata con ulteriori 300 giri di mazza su lanci effettuati da una macchina spara palline. Giorno dopo giorno, con qualsiasi condizione meteo. L’intento del padre è quello di insegnare al figlio i quattro principi della propria filosofia di vita: sforzo , spirito combattivo , pazienza e armonia . Una realtà che appare stralunata per i nostri canoni occidentali, ma in Giappone, dove il baseball prese piede per volere imperiale durante i primi anni del ‘900 per forgiare i soldati mandati a combattere in Cina, all’epoca appariva esagerato, ma non certo un atteggiamento da condannare. Che il viaggio cominci Il talento cristallino di Ichirō, sommato ai costanti allenamenti, non passa inosservato e, dopo essere entrato in uno dei licei più prestigiosi di Nagoya noto per la propria squadra di baseball, il passaggio al professionismo è immediato. Il ragazzo desta però alcune preoccupazioni al draft del 1991: alto meno di 1 metro e 80 per meno di 60 chilogrammi la prima impressione è quella di un giovane lontano dall’immaginario dei poderosi bicipiti delle stelle della Major League Baseball americana. Per questo motivo, oltre che per una posizione di battuta molto particolare, Ichirō non verrà scelto fino al quarto giro di quel draft da parte degli Orix Blue Wave, una squadra che aveva vissuto la propria epoca d’oro a metà degli anni ‘70 grazie ai soldi di una delle più grandi compagnie ferroviarie del Paese per poi calare pian piano di rendimento e che proprio in quell’anno si era trasferita a Kobe, città a pochi chilometri da Osaka. Arriva Okira Ogi L’impatto con il professionismo è complicato: il manager della squadra, Shozo Doi, mal digerisce il particolare stile ‘a pendolo’ del giro di mazza di Ichiro e lo relega nelle squadre minori per correggere quello che, a suo dire, è un terribile difetto. Dopo due anni di purgatorio la notizia che cambia la carriera della stella di Toyoyama è quella del cambio di allenatore nei Blue Wave. Al termine di un opaco 1992 il posto di Doi viene occupato da Akira Ogi che, a differenza del predecessore, si dimostra molto più aperto alla novità e al particolare stile di Ichiro, il quale non perde tempo per esplodere come una supernova nel firmamento del baseball del Sol Levante. Fu proprio durante questa rivoluzione manageriale che Suzuki divenne per tutti solo Ichirō e svoltò la propria carriera. E anche i primi successi Nella sua prima stagione completa impose il suo nome nei libri di storia riuscendo a essere il primo giocatore nella storia del campionato giapponese a superare le 200 battute valide. Nel giro di un paio d’anni riportò i Blue Wave prima a giocare una finale finale e poi, nel 1996, a conquistare il titolo a diciannove anni dall’ultima volta. Le due finali del biennio 1995-95 ebbero un sapore ancor più particolare: il 17 gennaio 1995, infatti, la città di Kobe fu scossa da un terremoto devastante che provocò oltre seimila vittime. La cavalcata della squadra guidata tecnicamente ed emotivamente da Ichirō contribuì a risollevare una comunità intera mentre faceva i conti con il dramma della natura. L'esempio di Hideo Nomo Era ormai chiaro a tutti che Ichirō fosse diventato più grande dello stesso campionato in cui giocava, ma all’epoca il passaggio dei giocatori dal campionato giapponese alla Major League Baseball statunitense era precluso da particolari obblighi contrattuali che solo in quegli anni stavano crollando per merito del lavoro congiunto dei vertici dei due campionati di baseball più prestigiosi al mondo e di alcune lungimiranti figure come quella di Hideo Nomo, stella del monte di lancio giapponese che forzò la mano annunciando il proprio ritiro per trasferirsi ai Los Angeles Dodgers. Nel novembre del 2000 si compì quindi il sodalizio: Ichirō divenne il primo non lanciatore giapponese a firmare un contratto con una squadra di MLB, i Seattle Mariners che all’epoca erano di proprietà della Nintendo. La nascita di "The Throw" Accolto con lo scetticismo tipico dei pionieri, Ichirō impiegò solamente otto partite nella stagione 2001 per mettersi in mostra e non uscire più dal gotha delle stelle del gioco: con un’assistenza potente e precisa dall’esterno destro – la posizione che occupò per la maggior parte delle partite nei successivi diciotto anni di carriera – eliminò il giocatore di Oakland Terrence Gore con quello che diventerà noto come ‘The Throw’, semplicemente. Quello fu il fulmine che anticipò la trasferta, le prestazioni di Ichirō furono stellari arrivando a quota 242 battute valide e quell’anno i Mariners vinsero 116 partite , mentre il nipponico fu eletto MVP della lega, Rookie dell’anno oltre a una serie di infiniti altri riconoscimenti. Strada in discesa Superato brillantemente il primo anno la strada per Ichirō si mise in discesa; nell’epoca della esasperata potenza e ricerca del fuoricampo lui – che di potenza, a dispetto delle apparenze, era dotato, parola di Barry Bonds, suo contemporaneo e giocatore con il maggior numero di home run nella storia della MLB – scelse di stagliarsi riscoprendo l’arte della battuta valida. Singolo, contatto in campo opposto, palla nel buco tra gli interni. Nel primo decennio di Major League venne sempre convocato per l’All-Star Game, e in quel lasso di tempo riuscì, nel 2004, a stabilire il record per valide battute in una singola stagione , rompendo un record che resisteva dal 1920 a simboleggiare la straordinarietà del traguardo raggiunto. Addio e ritorno a Seattle A partire dal 2011, superati i 37 anni, le sue prestazioni iniziarono a calare e arrivò anche l’addio da Seattle: New York Yankees prima e Miami Marlins poi. Proprio in Florida nel 2016 mise le ultime due ciliegine sulla torta d’alta pasticceria da lui cucinata: a giugno batté la valida numero 4257 tra Giappone e Stati Uniti, diventando il giocatore con il maggior numero di battute valide nel baseball professionistico, mentre un paio di mesi più tardi collezionò la valida numero 3000 nella sola Major League Baseball, iscrivendosi a un club esclusivo in cui nessuno degli altri membri aveva esordito così anziano quanto lui. L’ultima missione prima del ritiro fu quella di tornare a Seattle, nella città che sarà per sempre la sua casa lontano da casa. Nel 2018 firmò un nuovo contratto con i Mariners e nel 2019 giocò gli ultimi due matche della sua carriera, le prime due partite della stagione che per un gioco del destino si disputarono proprio in Giappone, a Tokyo. Il modo migliore per chiudere il cerchio, con gli spalti gremiti per il vecchio leone che, con l’eleganza e la compostezza che contraddistingue il popolo nipponico, salutò la sua gente e il suo mondo. Il primo, il pioniere, che poté finalmente definire concluse le proprie fatiche. A fine carriera il suo unico titolo con un club rimarrà quello conquistato in patria nel 1996, ma a fare da contraltare al mancato anello negli Stati Uniti ci sono i due titoli al World Baseball Classic – diventato il Mondiale non ufficiale nel mondo del baseball – conquistati con il Giappone nel 2006 e 2009, quest’ultimo arrivato dopo una finale al cardiopalma contro i rivali storici della Corea del Sud decisa proprio dalla specialità di casa Ichirō, un singolo ben piazzato in mezzo agli interni. In fondo è tutta qui la grandezza del personaggio, un uomo caparbio capace di rompere le apparenze di chi lo voleva troppo piccolo per sfondare nel mondo del baseball, dotato di un giro di mazza sgraziato, non pronto per imporsi dall’altra parte dell’oceano Pacifico. Una dopo l’altra Ichirō ha rotto tutte queste credenze mettendo gli scettici di fronte alla realtà, una sua realtà fatta piegando uno sport che andava verso l’esaltazione della potenza più pura secondo le sue regole e riscoprendo un gioco che sembrava ormai dimenticato. Ichirō oltre a scrivere pagine di storia e farsi ben volere da tutti aprì definitivamente le porte del campionato più ricco del mondo a tanti connazionali che oggi stanno illuminando il palcoscenico, dall’uomo da 700 milioni di dollari Shohei Ohtani fino alla nuova stellina Roki Sasaki, fresco di firma con i Dodgers campioni. Tutti figli di Ichirō.

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Nicolò Gatti