Shohei Ohtani ha giocato la miglior partita della storia

Mercoledì pomeriggio il cielo è terso sopra Los Angeles quando un suono sordo squarcia il leggero brusio di una musica in filodiffusione. I Dodgers, l’orgoglio dei milioni di appassionati di baseball che vivono nella città degli Angeli, sono tornati a casa dopo le due partite in trasferta a Milwaukee della Championship Series, la finale della National League che vale la vittoria della lega e soprattutto l’accesso alla World Series, la serie finale in cui in palio c’è il titolo contro la vincitrice dell’American League. Dei tredici anni consecutivi in cui i Los Angeles Dodgers arrivano regolarmente ai playoff, per otto volte la squadra guidata dal 2016 da Dave Roberts è arrivata fino alla Championship Series. Mai però era arrivata a giocare gara-3 in casa dopo aver vinto le prime due gare in trasferta. Un 2-0 nella serie al meglio delle sette partite che trasmette grande serenità. Gli avversari, i Milwaukee Brewers, hanno vinto 97 partite in stagione e hanno sconfitto sei volte su sei tentativi i Dodgers, ma i playoff sono un altro sport e nel Wisconsin i biancoblù di Los Angeles lo hanno dimostrato: Blake Snell e Yoshinobu Yamamoto, i due lanciatori partenti con contratti da oltre mezzo miliardo di dollari combinati , hanno guidato la difesa concedendo un solo punto in 17 inning d’attacco ai Brewers e mettendo insieme numeri leggendari. Snell è diventato il primo giocatore dalla partita perfetta di Don Larsen nella World Series del 1956 ad affrontare il numero minimo di battitori avversari in almeno otto riprese lanciate, Yamamoto il primo a lanciare una partita completa in una Championship Series di National League dal 2003. In questo clima di festa c’è però una nota stonata, una macchia d’inchiostro sullo spartito del Notturno in Mi bemolle maggiore di Chopin, tale sembra essere la perfezione di questa squadra. Nelle ultime sei partite giocate, a partire dalla Division Series contro i temibili Philadelphia Phillies, la stella più brillante del firmamento del baseball sta vivendo un momento di crisi. Shohei Ohtani ha battuto 2 valide su 25 turni in battuta, nessun fuoricampo, due punti portati a casa, 5 basi su ball guadagnate e ben 12 strikeout subiti. L’ultimo in ordine temporale, in particolare, ha il sapore di un’umiliazione: con le basi piene e due out il rilievo di Milwaukee Robert Gasser ha lanciato una palla esterna a effetto, Ohtani ci è cascato in pieno e ha girato la mazza a vuoto, perdendo la postura e anche il caschetto. Poco male, i Los Angeles Dodgers hanno vinto la partita 5-1, portandosi sul 2-0 nella serie, ma nel classico carosello di storie Instagram che il fuoriclasse giapponese fa al termine di ogni partita decide, oltre ai complimenti per la squadra e il connazionale Yamamoto, di aggiungere un’altra foto, quella di quell’ultimo strikeout subito. Un messaggio lanciato, o per meglio dire lasciato, silenziosamente. Arriviamo a quel mercoledì. È il giorno di pausa prima di gara-3 e sul campo ci sono i Dodgers ad allenarsi. C’è anche Ohtani, sembrerebbe una cosa banale e invece così non è: l’ultima volta che la stella giapponese si era presentato in campo per l’allenamento di battuta era la prima partita stagionale, a Tokyo, quando era impossibile per lui sottrarsi ai flash e gli occhi di un Paese intero. Da quel giorno in poi l’allenamento prepartita il fuoriclasse giapponese l’ha sempre svolto nel segreto della pancia dello stadio, dove ci sono molti più modi per analizzare in tempo reale il giro di mazza. Oggi però non conta studiare l’angolo d’uscita, il barrel, lo sweet spot e la velocità, importa solamente lasciare quel messaggio in modo che sia chiaro a chiunque. Il suono sordo è quello della sua mazza, pochi secondi dopo ne arriva un altro: la palla ha colpito il tetto che ripara dal sole i bar in fondo all’esterno destro ed è uscita dallo stadio. 140 metri di fuoricampo. È pur sempre allenamento, nulla di più. In gara-3 il primo turno di battuta della sua partita è un triplo, spinto poi a casa dal doppio di Mookie Betts, una bella scimmia dalla spalla tolta e sembra il preludio di una classica giornata alla Shohei Ohtani, un giocatore capace di vincere tre titoli di MVP negli ultimi quattro anni, battere oltre 100 fuoricampo nelle ultime due stagioni ed essere tornato anche a lanciare con ottimi numeri. Invece la propulsione offensiva si spegne dopo quel triplo del primo inning: nei successivi tre turni di battuta arrivano tre eliminazioni, due delle quali tramite strikeout. Poco male nuovamente, i Dodgers vincono 3-1 grazie ancora una volta al loro monte di lancio e si portano in vantaggio 3-0 nella serie con quattro match point da gestire. Solo una volta, nella storia della Major League Baseball, una squadra ha rimontato una serie da 0-3 . La quarta partita, quella di venerdì sera, sembra essere un banchetto apparecchiato per la tanto preannunciata festa. I Dodgers in battuta non hanno mostrato il loro miglior gioco, ma gli appena tre punti segnati in tre partite di Milwaukee sono numeri ben peggiori. Per la quarta partenza sul monte di lancio il nome, già annunciato da tempo, è quello di Shohei Ohtani. Lanciatore e primo battitore, un costrutto che manda in tilt la certosina precisione e schematicità dei tabellini delle partite di baseball tanto che per lui, capace di fare un qualcosa che nel professionismo a questi livelli non si vedeva da prima della Guerra, hanno dovuto creare una regola apposta, la ‘Ohtani rule’. Le difficoltà dei giorni precedenti non sono passate, ma quel triplo e soprattutto il 3-0 di vantaggio hanno tolto un po’ di pressione. Nel prepartita Dave Roberts si presenta davanti alla stampa e la prima domanda su Ohtani arriva solamente al tredicesimo passaggio di microfono: “Hai imparato a conoscere il Shohei Ohtani lanciatore quest’anno, quanto sei fiducioso possa essere l’uomo per chiudere la serie?” La riposta suona quasi come una premonizione. “Credo sia la sua occasione per mettere il suo marchio sulla serie, ci farà vedere tutto ciò di cui è capace”. La partita inizia, con Ohtani sul monte di lancio. Il primo battitore conquista una base su ball, qualche problema di controllo che riportano alla mente quando, nel 2020, lanciò due partite tragiche: otto basi su ball, sette punti subiti e appena cinque avversari eliminati in totale. Sembrava il fallimento di un esperimento su un ragazzo troppo ambizioso i cui sogni potevano andare bene per le lega giapponese, ma non certo per la Major League Baseball. Un altro infortunio, un altro stop, i dubbi che ormai non erano più tali ma diventati certezze per molti. Non può esistere un two-way player nella Major League Baseball del 2025. Troppo specializzato il gioco, i tempi di Babe Ruth sono alle spalle. Eppure, nel 2021 eccolo tornare, lavorando in silenzio come solito fare il ragazzo che già dai tempi delle scuole medie nel Giappone rurale del nord fece parlare di sé tutto un Paese che respira baseball. Gli ultimi quattro anni sono un accumulo di successi: dal fallimento annunciato è diventato tre volte MVP , ha vinto il World Baseball Classic con la sua Nazionale, ha firmato un contratto da 700 milioni di dollari in dieci anni con i Los Angeles Dodgers e al primo anno con la nuova squadra, nel 2024, ha vinto il titolo dopo essere diventato il primo giocatore nella storia a battere 50 fuoricampo e rubare 50 basi nella stessa stagione. È indiscutibilmente il giocatore più forte al mondo, forse il più talentuoso della storia, ma soprattutto ha un senso dell’impresa unica come pochi altri nella storia dello sport, come Tom Brady al Super Bowl della rimonta contro gli Atlanta Falcons o Michael Jordan quella sera di giugno al Delta Center di Salt Lake City. Quando c’è da fare qualcosa di grande, lui è il più grande. Strikeout sul secondo battitore, sul terzo e sul quarto. Inning concluso e i fantasmi del 2020 servono ormai solamente a far sorridere chi, in quei giorni di difficoltà, gli appiccicò l’etichetta di ‘bust’ sopra la testa. Ohtani non rientra nemmeno all’interno del dugout, la panchina leggermente interrata dei campi da baseball, non c’è tempo: si ferma poco davanti per togliere il guantone e mettere i guantini, il caschetto, il para-gomito e prendere in mano la mazza. Tocca a lui aprire l’inning in attacco. Nel 2025 Ohtani ha battuto .222 nei giorni in cui ha lanciato, 12 valide su 54 turni di battuta, tre fuoricampo. Un paio di volte gli è già capitato di cambiarsi come Clark Kent in una cabina del telefono e presentarsi subito in battuta diventando Superman: erano lenti giorni d’estate a Los Angeles, temperature alte, pubblico caldo ma distante dalla trepidazione dei playoff. Oggi è un giorno diverso e soprattutto Ohtani per otto partite consecutive non ha battuto fuoricampo, un periodo infinito per chi di palline nel 2025 ne ha schiantate fuori 55, nuovo record per una franchigia storica come quella dei Dodgers superando…Shohei Ohtani, nel 2024. Presto detto, sul conto pieno il lancio di José Quintana si nebulizza nel tramonto di Los Angeles, fuoricampo. 1-0 che presto diventerà 3-0 grazie ai suoi compagni di squadra. Ohtani torna sul monte e lancia sempre meglio, altro inning veloce. Torna a battere e questa volta arrivano quattro ball, va in base. Poi di nuovo sul monte di lancio, di nuovo eliminazioni rapide. Nel quarto inning Jackson Chourio, talento venezuelano dei Brewers classe 2004 di cui tanto sentiremo parlare in futuro, batte la prima valida della partita contro il gigante giapponese che sembra farsi sempre più grosso, ma la sua squadra non ne approfitta. Altri strikeout, siamo ora a sei. Nel quarto inning c’è un nuovo lanciatore per Milwaukee ad affrontare Ohtani. Il lancio è interno, ma a lui importa poco: bilancia il corpo con una velocità straordinaria e spedisce la pallina al centro. Non è solo un fuoricampo, la sfera bianca vola fuori dallo stadio. Lui getta la mazza, le telecamere riprendono la panchina dei Dodgers nella quale Freddie Freeman, nove volte All-Star, una volta MVP, due volte vincitore della World Series e autore di 382 home run in carriera tra stagione regolare e playoff, è completamente a bocca aperta. Rapidamente torna sul monte di lancio: altri due inning, altri quattro strikeout. Nella settima ripresa vive il primo momento di difficoltà. Una base su ball e un singolo avversari, al raggiungimento dei 100 lanci, spingono Roberts a toglierlo dal monte di lancio. Alex Vesia, che entra a sostituirlo, è impeccabile e non macchia il tabellino di Shohei Ohtani lanciatore: 6 inning lanciati, 2 valide concesse, 0 punti, 3 basi su ball e 10 strikeout. ‘Ohtani rule’ Ricordate quando prima abbiamo citato la ‘Ohtani rule’, una regola ad personam creata per ovviare a un problema che nessuno si era mai nemmeno posto in precedenza? Ebbene, questa stabilisce che – anche una volta tolto dal monte di lancio – lui possa continuare a rimanere in campo come battitore designato, in pratica presentandosi solo in battuta senza avere più compiti difensivi sul diamante. Nel settimo inning eccolo dunque, nuovamente in battuta, contro l’ennesimo nuovo lanciatore messo in campo per sfidarlo. Un ball, due strike. Poi un lancio sbagliato che rimane in mezzo al piatto. Ohtani gira la mazza e la manda dall’altra parte dello stadio. È il terzo fuoricampo in tre turni di battuta . È la ciliegina sulla partita dei Dodgers che vincono 5-1 e ottengono il ventiseiesimo pennant della loro storia. Per la prima volta dal 2009 alla World Series parteciperà la squadra campione in carica pronta a difendere il titolo per un back-to-back che in Major League non riesce invece dal 2000. Ma è, soprattutto, la partita di Shohei Ohtani. Non esistono discussioni sul fatto che questa sia stata la singola prestazione più grande nella storia dei playoff MLB: solo 12 giocatori avevano battuto tre fuoricampo in una partita di postseason, solo 26 lanciatori ottenuto almeno 10 strikeout con sole due valide e zero punti concessi. Nessuno aveva anche solo lontanamente potuto immaginare che un singolo individuo potesse essere in grado di fare le due cose insieme. Un paio di lanci hanno viaggiato oltre le 100 miglia orarie di velocità, oltre 160 km/h, mentre stime hanno calcolato che i tre fuoricampo hanno volato per un totale di 1342 piedi, alla conversione 409 metri. Ci è stato chiesto di provare a descrivere in termini calcistici ciò che ha fatto Shohei Ohtani, provare a rendere comprensibile a tutti la portata di questa prestazione. L’esempio migliore che ci è venuto in mente è Manuel Neuer che in semifinale di Champions League fa un clean sheet con una decina di parate, magari aggiungendoci anche un paio di rigori salvati, e realizza una tripletta. Sembra fantascienza, ma non è diverso dallo stupore che qualunque appassionato di baseball potesse provare prima che il figlio di Toru, ex giocatore semi-professionista in Giappone, e Kayoko, che invece giocava a badminton, decidesse di stravolgere le consuetudini del gioco. Singole performance come quella di Ohtani sono più immaginabili nelle categorie inferiori, tra i ragazzini, e anche in quel caso risultano qualcosa che rimane negli occhi e nella memoria degli spettatori. Nel 2008 alla Little League World Series, il massimo torneo dedicato agli under 12 che negli Stati Uniti va in onda su ESPN, il messicano Jesus Sauceda contro la prima selezione italiana di sempre a prendere parte alla fase finale lanciò 12 strikeout per eliminare 12 battitori e batté un fuoricampo con le basi piene. Williamsburg in Pennsylvania, la casa di questo torneo, è un altro conto rispetto alla massima espressione agonistica di questo sport, ma i traguardi raggiunti da Shohei Ohtani scomodano paragoni al limite del ridicolo per la loro paradossalità. Negli Stati Uniti come più grande prestazione individuale nella storia dello sport è convenzionalmente riconosciuta la partita da 100 punti e 25 rimbalzi di Wilt Chamberlain del 2 marzo 1962 alla Hersheypark Arena di Philadelphia. Una partita leggendaria, entrata nell’immaginario comune per la celebre foto di Chamberlain con il foglietto ‘100’ in mano, unica prova videofotografica di quell’impresa. Shohei Ohtani, davanti a riprese televisive ad alta definizione, in un venerdì sera d’ottobre ha provato a scalfire – probabilmente con successo – questo pilastro della cultura sportiva a stelle e strisce. Non spetta fare una classica su quale sia la più grande prestazione individuale nella storia dello sport di squadra, così come non è compito nostro dire se Shohei Ohtani sia il giocatore di baseball più forte della storia, oppure il più grande. Il fatto di essere entrato a pieno titolo in questa discussione rende lustro all’atleta e fa percepire il livello raggiunto, ma sono discussioni fini a sé stesse. Ohtani è stato premiato come miglior giocatore delle Championship Series, un riconoscimento che sembrava inimmaginabile dopo le prestazioni nelle prime tre gare. È bastata una partita per far cambiare idea a chiunque, per dare una mano di bianco su tutti i giorni precedenti. Il più tranquillo nel corso di tutta la serata era lui, l’unico essere umano sul pianeta forse realmente conscio delle sue possibilità. “Four more wins” le sue poche parole. Servono ancora quattro vittorie per il titolo. Il resto, come se fosse ordinaria amministrazione, è di poco conto.

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Shohei Ohtani ha giocato la miglior partita della storia

Nicolò Gatti