La connessione delle menti: così Errani e Vavassori hanno conquistato New York

Il doppio è una questione di connessione. È per questo che Errani e Vavassori hanno vinto New York. Un filo che non si vede ma unisce lei a lui e permette la trasmissione dei dati, cioè di schemi e sensazioni, in maniera istantanea e sicura. Amicizia, sì, ma soprattutto compatibilità totale. I chip metaforicamente installati nelle loro teste, dialogano a meraviglia. Trovando, uno nell’altro, un riscontro costantemente positivo. In termini di carica e grinta, scelte e movimenti. E quando si mettono fronte contro fronte, con gli occhi di una a fissare gli occhi dell’altro, lo fanno per rinnovare l’intensità del segnale. Nella finale dello Us Open gli è successo, per dire, verso la fine del primo set. Un modo di esultare che è molto di più, e nasconde il loro segreto. Serve a rinforzare la loro rete, anche a partita in corso. Una volta si chiamava intesa, adesso parlare di bluetooth rende meglio l’idea. Succede solamente tra tennisti abilitati che conoscono le reciproche password d’accesso. E finché il segnale regge, qualche decina di metri di solito non mette in discussione la connessione, la coppia si muove in maniera pressoché sincronizzata. È così che le letture di gioco di Errani passano a Vavassori, che ci mette un attimo a farle sue. È così che la tensione positiva transita dalla destra alla sinistra del campo, e viceversa, trasformandosi in energia creativa. Quando il punto pesa lo fanno loro, e il merito è del fluido magico. Succede così nelle fasi calde del primo parziale ma anche quando scappano via nel secondo set. Succede così quando interrompono la rimonta dei giocatori di casa, sospinti dal pubblico dello stadio di tennis più imponente del mondo, prima di strappare definitivamente. La coppia che funziona è basata sulla chimica, che c’è, e sulle reciproche diversità. Errani piccolina, Vavassori gigante. Lei che il servizio lo appoggia, lui che lo usa per fare i buchi. Sara che certe partite le conosce meglio, Andrea che comincia a frequentarle con più abitudine. Le volée da maestra e quelle da gatto. Un mix, anzi misto, meravigliosamente imperfetto, che permette ai ragazzi gialloneri, coordinati anche nella scelta dell’outfit, di aggiungere un tassello al nostro tennis: mai una coppia tutta italiana era riuscita a vincere un titolo Major in questa specialità. La stessa coppa l’ha alzata Raffaella Reggi nell’86, però dividendo il campo con lo spagnolo Sergio Casal. Anche quello esempio di connessione ottima, molto prima dell’avvento del bluetooth. Punti di contatto non mancano: romagnola Reggi come Errani, per dire, una grande mela a fare da sfondo, un’altra coppia tutta statunitense battuta sul più bello. Dai cognomi nobili cancellati nell’86, Navratilova e Fleming, a quelli comunque insidiosi superati dai nostri nuovi eroi: Townsend e Young. Soprattutto lei: già numero uno del mondo juniores e recente campionessa di Wimbledon in doppio. La prima a suonare la carica nei momenti di difficoltà e l’ultima ad arrendersi di fronte al frullato di sapienza più esplosività della nuova coppia più bella del mondo. C’era una volta Little Italy, e adesso non c’è più. Per Sara, fresca di oro olimpico centrato con Paolini, è la vittoria Slam numero sei. Per Andrea il primo Major. Con questa vittoria sono sedici i titoli italiani conquistati in questa stagione. Azzurri, anzi blue…tooth. Una tendenza positiva che conferma la connessione sempre più stabile tra l’Italia e il tennis. Anche per merito di Sara e Andrea, che a Flushing Meadows su questa storia ci hanno messo il doppio nodo. Perché i sogni realizzati non devono slacciarsi più.

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