La vittoria di Tathiana

Quel nome con la h in mezzo la rende già un po’ diversa da tutti. Ma in fin dei conti Tathiana è sempre stata così: capace di stupire. Penso che questo articolo non possa che partire da lei, che da capitana del tennis ha saputo fare quello in cui pochi altri sarebbero riusciti. Quindi lo dico subito: brava Garbin! Lo eri da giocatrice, lo sei da leader. Ancora mi ricordo di lei in quella che si chiamava la Federation Cup nel 1999: la capitana ero io, e l’avevo selezionata. Ad Ancona giocammo contro gli Stati Uniti delle Williams e a guidarle c’era proprio Billie Jean King. Ma non divaghiamo: Tathiana era quella che in squadra faceva di certo più casino di tutte. Si era portata un bongo, batteva il ritmo per gestire la clacque dei tifosi. Era così allora, ve lo dicevo, è così anche oggi: una che ci mette la faccia, che affronta le cose in prima persona, anche andando fuori dagli schemi; che sa essere disponibile senza tirarsi indietro. In due concetti: sapeva fare squadra; era sfrontata, nel senso più positivo del termine. Tutte doti che le sono sempre servite. Perché ci vuole coraggio a saper ribaltare tutto, dopo la delusione cocente del 2019, quando siamo retrocesse in Serie C. È arrivata Tathiana nel 2016, ha vissuto anni molto difficili dal punto di vista sportivo , ma ci ha sempre creduto. Sempre. E per farlo era necessario instaurare un rapporto speciale con le ‘sue’ ragazze, che non ha cambiato nemmeno dopo la retrocessione. Come se avesse detto loro: “Siamo scese giù insieme e ora risaliamo insieme”. Riuscirci è stata una vera impresa e, credetemi, gestire un gruppo femminile sa essere molto complicato. E quindi sono colpita, non sorpresa, nel vedere la crescita di Trevisan, che è sempre stato un cruccio di Tathiana e che ha saputo aiutare anche fuori dal campo. E parecchio. Oppure vedere Errani disputare quella che di fatto è una seconda carriera: il doppio con Paolini è stato qualcosa di straordinario. E che dire di Cocciaretto, che viene mandata in panchina senza vederle battere ciglio, con Bronzetti che entra e riesce a battere la Polonia? Quella vittoria lì, secondo me, è stata decisiva: la Slovacchia ai numeri non era così competitiva come le polacche. E bisognava essere squadra per fare tutto questo, senza dimenticare il grande paradosso del tennis, che è uno sport prettamente individuale. Ci speravo, sì, ma non me l’aspettavo. Nessuno, probabilmente. Ma avere la disponibilità delle ragazze è stato il vero X Factor che ci ha resi diversi dalle altre Nazionali. È stato dato un valore alla maglia azzurra, come nelle alle Olimpiadi: non c’è niente da fare, riusciamo a dare quel quid in più in questi casi. È merito di Tathiana. Che ha avuto la ‘sfrontatezza’ di metterci sempre la faccia: per lei questa è la chiusura di un cerchio dopo quello che ha vissuto. Ha affrontato la malattia, rarissima, con una forza encomiabile: ci ha messo la faccia , l’ha raccontata, è stata sincera. E quei giorni se li porta sempre dietro, con quella foto che la ritrae insieme alle ‘sue’ ragazze in ospedale, quando andavano a trovarla. Questo va oltre il campo o l’essere capitana, questo è un rapporto di fiducia che si crea, è saper essere punto di riferimento. Si vince così, non soltanto con le intuizioni tecniche. Vorrei chiudere con questo. A Tathiana ancora non ho scritto, lo farò presto. Ma le voglio dire che ha regalato all’Italia del tennis, di fatto, il primato assoluto insieme a Sinner. Siamo fortissimi, sono fortissime. Se avessi un bongo qui, per guidare un applauso, lo suonerei.