I grandi della terra (battuta)

Visto che i grandi della terra, intesa come mondo, ci danno un bel po’ di grattacapi in questo periodo, nell’ultima di Sky Tennis Club ci siamo concentrati sui protagonisti del tennis sul rosso. Dovevamo farlo, perché la terra battuta è un organismo vivo. Respira sotto i piedi dei giocatori, si solleva in polvere sottile, si appiccia ai calzettoni e si compatta sotto il peso di scambi infiniti. La si può amare o odiare, ma mai ignorare. È la superficie delle battaglie di resistenza, dei duelli senza tempo, delle cadute spettacolari e delle risalite eroiche. Per cui, non potevamo che partire dal primo dominatore, Bjorn Borg. Col quale Renzo Furlan - grande ritorno al Club - si è addirittura allenato in gioventù! Renzo ci racconta di come lo svedese fosse uno dei più grandi eroi del nostro sport. Borg, con il suo silenzio monastico e il passo felpato, dominò sei volte Parigi con una forza che sfiorava la perfezione. Citazione obbligatoria anche per Mats Wilander, che prima di diventare un filosofo del tennis, ne intuì la profondità strategica, vincendo tre volte a Roland Garros, non ancora ventiquattrenne. Gustavo Kuerten brasiliano dal sorriso sghembo, capace di disegnare traiettorie e cuori sulla terra, con la leggerezza di un pittore impressionista. Ma la terra non si accontentò mai di essere il regno degli uomini. Flavia Pennetta, residente di classe al Club, cita Chris Evert, con la sua calma imperturbabile, sette volte campionessa a Parigi, lasciando dietro di sé una scia di avversarie frustrate, incapaci di scalfire il suo gioco da fondocampo. E oggi Iga Swiatek, con il suo tennis biomeccanico e vagamente alieno, sta tracciando nuovi confini. L’Italia, anche. Noi siamo figli della terra, più che del cemento o dell’erba e abbiamo un rapporto viscerale coi tappeti rossicci. Domenico Procacci, produttore cinematografico e da poco editore della rivista ‘Il Tennis Italiano’, ha mirabilmente raccontato nella docuserie ‘Una Squadra’ i trionfi italiani degli anni ‘70. Per cui a Tennis Club ci sta benissimo, anche per raccontare i gesti ispirati ed eleganti di Adriano Panatta, l’unico capace di piegare il monumento Borg al Roland Garros in quel suo 1976 magico. Senza tralasciare il successo romantico di Francesca Schiavone, che nel 2010 scrive una delle pagine più poetiche della storia del tennis azzurro. Oggi, mentre Jannik Sinner sta per tornare e Lorenzo Musetti cerca di riscrivere la sua narrazione, la sensazione è che la terra battuta rimanga il teatro perfetto per i sogni italiani. Tipo, Berrettini che arriva in fondo nella sua Roma? Difficile, ma non impossibile. Perché la terra è lenta, pensante, capricciosa. Richiede intelligenza. Lo dice Riccardo Piatti, lo conferma Holger Rune, ospiti speciali esterni. Assieme al nostro pilastro Ivan Ljubicic, che ci racconta di quella volta che su terra ha giocato ad Amburgo sotto una… nevicata! Ecco spiegato perché per dominare questa superficie non bastano il talento o la forza bruta: servono pazienza, adattamento, una sorta di dialogo interiore con la superficie stessa. Qui non esistono punti facili, non ci sono scorciatoie. Si vince con la testa, con il cuore, con la capacità di soffrire e di esultare solo quando l’ultimo granello di polvere si è posato sul campo. È il futuro. La terra resterà la stessa, immutabile e meravigliosamente ostica. Non ci sarà mai più un altro Rafa Nadal, per i prossimi 200 anni. O forse arriverà un nuovo Borg. O forse, semplicemente, il rosso continuerà a essere il palcoscenico dove il tennis si fa battaglia, poesia e resistenza.

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