Le montagne russe di Jelena Ostapenko: storia di un talento sottovalutato

Cronaca di un giro su una montagna lettone. Se Jelena Ostapenko prima o poi dovesse decidere di scrivere una biografia, probabile che questo possa essere il titolo giusto per lei. Giri vorticosi a velocità supersonica, con picchi alti, che più alti non si può e bassi apparentemente impronosticabili, ma che, alla fine, ormai non stupiscono neanche più. L’ultimo neanche una settimana fa: prima il titolo a Stoccarda, sconfiggendo in finale la numero 1 al mondo Aryna Sabalenka, dopo aver regolato per la sesta volta su sei confronti diretti la regina della terra rossa Iga Swiatek, poi, neanche cinque giorni dopo, il tonfo al debutto nel WTA 1000 di Madrid contro la connazionale Anastasia Sevastova, 35 anni, che tra maternità e il rientro in campo dopo essersi rotta il legamento crociato un anno fa, non sembrava propriamente una rivale da temere. Jelena Ostapenko è così: fiera e motivata contro le più forti, vittima di sé stessa e della voglia di ‘spaccare’ se gioca a favore di pronostico. Un po’ come un dottor Jekyll e Mr.Hyde, ma con la racchetta in mano: ‘Ajlona’, come preferisce essere chiamata, nei giorni migliori; ‘Jelena’, come il nome che mantiene a livello WTA per non incastrarsi in problemi di burocrazia, nei giorni peggiori. Una carriera come un balletto, meglio se forsennato. Un volteggio, una danza, come lo sport che da bambina ha praticato in parallelo con il tennis, tanto da competere nei campionati nazionali di Lettonia a 12 anni, due anni prima di vincere Les Petits As, forse il primo campionato mondiale per le stelle di domani che stringono la racchetta come fosse una bacchetta magica. Ballare non ammette errori o sbavature: tutto deve essere perfetto. Il tennis di Ostapenko, invece, non sempre sa essere perfetto, ma nei giorni in cui tutto si incastra, guai a spostare i tasselli dalla propria collocazione. Una danza... nel tennis E di tasselli da collocare negli anni la lettone ne ha trovati tanti, tantissimi. Il primo ‘passo’, di tennis, non di danza, avviene sul palcoscenico più importante di tutti: Wimbledon, il torneo che tutti sognano, che Ajlona/Jelena vince nel 2014, a 17 anni. Tre anni dopo, la gloria Slam arriva anche a livello WTA, ma nel torneo forse più diverso dai Championships per condizioni, ambiente e superficie. Nel 2017 Ostapenko, da numero 47 al mondo, diventa la prima lettone a vincere un Major al Roland Garros, in una finale surreale contro una Simona Halep ai tempi incompiuta. Sotto di un set e di un break, con il rischio concreto di finire sotto 0-4, la terribile lettone reagisce a modo suo: tirando ancora più forte. “See ball, hit winner”, per dirlo in inglese. Il valore di una impresa che vale una vita si riassume con un numero, 54. Gli errori non forzati, ma anche i vincenti. Disfare prima, fare poi. Fino alla risposta vincente con cui Ostapenko diventa la prima nata negli anni ‘90 a vincere uno Slam. Stessa risposta vincente che ripeterà in finale a Stoccarda contro Sabalenka, per portarsi a casa non soltanto la Porsche arancione regalata dagli organizzatori del torneo, ma anche il secondo titolo in carriera sulla terra rossa. Terra rossa, sia indoor che outdoor; erba, da juniores, ma anche da adulta con la finale in doppio misto a Wimbledon nel 2019, insieme a Robert Lindstedt, sconfitti dalla più navigata coppia Chan e Dodig. E poi il cemento, anche qui, sia outdoor, soprattutto con la finale vinta in doppio agli US Open insieme a Lyudmila Kichenok contro Mladenovic e Zhang, che indoor, per un totale di 12 titoli su questa superficie, sia da sola che con una compagna dallo stesso lato della rete. Se a ogni tipo di campo corrisponde una casella da spuntare, quindi, Ostapenko può vantare di averle spuntate tutte. Incluse la terra verde di Charleston, dominata in doppio e con una finale in singolare, e persino il sintetico, una superficie su cui ormai non si gioca più a livello WTA, ma sulla quale la lettone ha raggiunto la prima finale in carriera nel circuito maggiore, in Quebec nel 2015, venendo sconfitta dalla tedesca Annika Beck. Il gioco di spuntare le caselle per i traguardi raggiunti funziona anche in termini di migliori risultati nei tornei importanti: Ostapenko è arrivata almeno nei quarti di finale in tutti gli Slam in singolare e almeno in semifinale in tutti i Major in doppio. E anche il best ranking è stato riflesso di questa versatilità: la lettone è stata in top five sia in singolare, a marzo 2018, che in doppio, salendo fino al quarto posto nella classifica di specialità a ottobre 2024. Creativa anche fuori dal campo Versatilità in campo, creatività nella quotidianità: in cucina, con il profilo dedicato jelena.ostapenko_baking , nella cura del corpo, con le numerose sponsorizzazioni al centro estetico Riga Nails nelle proprie Instagram Stories, e con l’interesse per la moda, tanto da essere testimonial del colorato brand lettone DK ONE nel triennio 2022-2024. Dolci, manicure e fit-check nella vita lontano dal campo. Come una normale ragazza di 28 anni. Poi, però, la trasformazione in furia di fronte alle big. Iga Swiatek spera sempre di non trovarsela davanti: sei partite, sei sconfitte, su tutte le superfici, inclusa la terra rossa tanto amata dalla polacca. Interrogata sul perché riesca ad avere così tanto successo contro di lei, Ostapenko non si è tirata indietro: “Tutti dicono che lei sia la regina sulla terra rossa, ma anche io ho vinto il Roland Garros”. Onestà disarmante, come quella volta che liquidò la coetanea Daria Kasatkina, colpevole di averla sconfitta al terzo turno agli US Open nel 2017 con un deciso: “Non la conosco”, senza neanche mascherare la propria antipatia. Per la cronaca, le due si sono chiarite negli anni e sono sembrate in ottimi rapporti dopo la finale di Adelaide, vinta dalla lettone un anno fa. Negli anni, le fredde strette di mano di Ostapenko dopo le sconfitte sono diventate meme e compilation di lunghi video a tema su Youtube. Di nuovo, dottor Jeykll e Mr.Hyde: Jelena che non controlla le emozioni negative in campo e Ajlona brillante e simpatica nella quotidianità. Una montagna russa, anzi, una montagna lettone. Fino al prossimo appuntamento.

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Michela Curcio