Flavia Pennetta incontra Jasmine Paolini: l'esclusiva di Sky Sport

Prima di tutto, grazie per essere qui. Sono molto emozionata e allora ho deciso di rompere questa emozione con un argomento a scelta, come gli esami di maturità: dimmi di che cosa vuoi parlare… Vai! “Così l'attenzione ce l'ho tutta io adesso! Non saprei da dove cominciare ” Non mi dire che ti ho messo in difficoltà! “Certo, un'intervista che parte così non si è mai vista...” Dovevamo fare qualcosa di diverso. Va bene, allora ti aiuto: sono veramente curiosa di sapere per esempio, com’è casa Paolini. Cioè, che cosa avevi in camera, il poster che avevi, se ce l’avevi. Raccontami un po' della tua famiglia, di te. “Poster in camera no, non ne avevo. Però ricordo che fuori da casa avevo un muro con un pezzo di giardino piccolo e ogni volta che potevo andavo lì a giocare. Avevo un labrador che era pazzo delle palline da tennis, quindi ogni volta lo dovevo schivare perché altrimenti mi prendeva la pallina e non potevo giocare. Casa nostra era vicina al circolo, saranno stati 4, 5 minuti di macchina: ogni volta che potevo, mi facevo portare lì e i miei se ne andavano, per fortuna . Mi ricordo che mi hanno sempre lasciato molto libera di vivere il tennis come volevo: quando mi venivano a prendere io insistevo per restare ancora un po’ lì a giocare. Ho sempre vissuto questo sport con molta gioia, conservo ricordi felicissimi. È stato amore a prima vista” Siamo tornate un po' indietro nel tempo, avendo giocato al muro insieme. Io mi ricordo di quando ci siamo conosciute per la prima volta: tu eri piccolina, eravamo al torneo di Bari, un torneo pre Natale a cui partecipavo sempre perché... mi portava fortuna! Adesso dopo anni lo posso dire: venivo lì per stare con tutti i bambini, ovviamente, che erano bellissimi, ma poi iniziavo tutti gli anni molto bene. Era ormai una routine scaramantica... Senti, ma tu realmente ti rendi conto di cosa hai fatto l'anno scorso? Cioè, dell'anno incredibile che hai avuto: vinci il tuo primo 1000 a Dubai, giochi la finale a Roland Garros, quella di Wimbledon, ottieni la medaglia olimpica. A posteriori, quando ti sei fermata, hai capito cosa hai fatto? “Nì, nel senso che ho vissuto un anno fantastico. Ne sono consapevole e cerco anche di ricordarmelo, perché iniziare questa stagione con la consapevolezza di quello che ho fatto l'anno scorso, dà tanta fiducia. Ma allo stesso tempo cerco di pensare che ora ci sono un altro anno e un'altra storia. Come la vedo? Che ho fatto grandi cose, ma resto quella di sempre. E credo che sia positivo. Però bisogna anche ricordarsi a volte di darsi una pacca sulla spalla per quanto fatto: cioè, è stato pazzesco. Provo a vedermi con gli occhi di quando ero bambina: ci sono dei momenti in cui siamo presi dal circuito, lo sai meglio di me, e non ci si rende bene conto neanche di dove siamo, di cosa abbiamo fatto e di cosa stiamo facendo. È importante per me vedersi anche dall'esterno” Sì, perché a volte hai un po' la sensazione che si vada così di corsa che non sembra mai sufficiente nulla. Della serie: ‘Ho fatto questo, però devo fare ancora di più, perché la gente si aspetta da me che alzi il livello’. Quindi anche le aspettative sono diverse rispetto a quelle dell'anno scorso e la pressione va gestita. Tu poi hai avuto un percorso particolare, perché sei passata da anni in cui magari giocavi molto bene senza ottenere grossi risultati, a un anno in cui è venuto un po' tutto insieme. Ora ti devi riconfermare, che è quasi più difficile. “Sì, sicuramente lo fai con un altro mindset. La scorsa stagione è stata pazzesca, ma penso di averla vissuta veramente bene, con il sorriso, perché ogni volta mi sorprendevo di quello che stavo facendo. Fino all'anno scorso non avevo queste aspettative: non avevo vinto due partite in uno Slam, per dire, e quindi è arrivato – un po' come hai detto tu – tutto insieme. E mi ha sorpreso. Mi stupivo ogni volta di quello che riuscivo a fare. Quest'anno è un po' diverso, però cerco di mantenere la stessa impostazione: questa stagione è nuova, bisogna riscrivere un'altra storia e quello che verrà, verrà. Ma non devo dimenticare i risultati ottenuti, perché mi devono dare comunque consapevolezza. E soprattutto non devo dimenticare di divertirmi, perché è stato un grandissimo aiuto. Ancora adesso, quando gioco, è una parte fondamentale per me: se mi diverto e sto bene in campo, posso anche perdere, però mi sento bene e riesco comunque a esprimermi al meglio” L'anno scorso hai fatto poi una cosa che anche i più grossi campioni hanno avuto difficoltà a gestire, cioè la doppia finale a Roland Garros e Wimbledon. Perché c’è un cambio di superficie, una tipologia di gioco diversa, anche se l'erba di oggi non è più quella di un tempo: ti permette di scambiare o di giocare un punto lungo. Certo, il tuo gioco si può adattare a quel tipo di campo e l'abbiamo visto tutti, però fino a quel momento non avevi mai vinto una partita sull'erba. Come hai vissuto tutto questo? “Ti racconto un aneddoto. Mi ricordo la prima partita che ho vinto nel main draw a Eastbourne, il torneo prima di Wimbledon. Arriva una ragazza, di cui non faccio il nome , che un po’ sfigheggiando mi dice: ‘Jasmine, hai vinto la prima partita sull'erba!’. Parliamo di una a cui piace giocare su quella superficie e che quindi voleva in qualche modo fare un complimento, diciamo… velato. La mia risposta? ‘Ah sì, sì! Hai visto? Finalmente!’. Dopo Wimbledon volevo tornare da lei e dirle ‘Hai visto che non è più una sorpresa?’. Voleva fare un po' quella che si complimentava, perché comunque sull'erba ha sempre giocato molto meglio di me. Quello Slam è stato sorprendente: arrivavo dalla finale di Parigi e qualche aspettativa me l’ero messa. A Eastbourne mi sono detta da sola che poi non ero così male, ma la svolta è stata alla fine del primo turno proprio di Wimbledon: ho battuto Sara Sorribes Tormo che è bravissima, ti fa giocare mille palle, è molto complicata da affrontare. Da lì ho iniziato a giocare sempre meglio. Ed è andata” Facciamo una classifica. Non ti metto in difficoltà: non devi scegliere una, ma due delle tue vittorie dell'anno scorso. Cosa metti in cima? “Di sicuro Wimbledon, anche se purtroppo non è terminato come speravo e mi è rimasta un po' lì. Però quelle due settimane sono state pazzesche. E al secondo posto la medaglia d’oro ai Giochi” Confermo: è stata bellissima! Pure per me me che non ero in campo: ero convinta che l’avresti scelta. E visto che ne parli, spiegami come è nata questa coppia in doppio con Sara Errani? Io ho sempre pensato che il doppio fosse molto importante per una tennista, però la mentalità è quella che sia un po’... da sfigati. Sia chiaro: per me non è assolutamente vero, perché fa crescere l'atleta su tante situazioni, come quella che aiuta con il servizio, la risposta sul gioco al volo, sui cambi. Fa capire meglio anche la posizione da avere a rete. È un plus per un giovane atleta. Da grande poi decidi, perché comunque è impegnativo fisicamente: quando giocavo io, per me era importante avere una compagna che fosse una mia amica. La priorità era stare bene in campo, divertirmi e sorridere. Come è nata questa coppia con Sara? “Abbiamo giocato la prima volta a Tokyo nel 2021, quasi a caso: le regole per le iscrizioni non erano molto chiare, c'era il Covid, quindi un sacco di coppie si erano cancellate. Abbiamo firmato on site, siamo entrate e abbiamo vinto anche una partita contro alcune che giocavano bene. Secondo Sara si poteva andare avanti, io invece non ci credevo per nulla: per me il doppio era quasi… arabo, l'ho sempre vissuto come una cosa secondaria. Lo giocavo a volte solo perché Renzo mi diceva che mi sarebbe servito. Sai cosa gli rispondevo? ‘Sì ma Renzo, tu li giocavi?’. Mi diceva di no. Però li faceva giocare a me! L'ho sempre vissuto come una cosa senza un obiettivo, mi sembrava di farla un po' in maniera superficiale. Nel 2023, credo al Roland Garros, andiamo a cena con iI mio team e quello di Sara, che mi propone di fare il doppio con più continuità per preparare le Olimpiadi. Ero molto in dubbio, ma poi Renzo mi ha convinto. All'inizio però abbiamo faticato a entrare nei tornei, perché contavamo di farlo con la classifica del singolo. Poi abbiamo iniziato a prendere continuità, abbiamo fatto l’Australian Open e sono arrivati i primi risultati. Ma ci siamo dovute fermare di nuovo e siamo arrivate ai Giochi con l’acqua alla gola: non sapevamo se avremmo potuto partecipare. Ci sono servite la semifinale di Miami e soprattutto la vittoria l’anno scorso a Roma: è stato pazzesco, una gioia incredibile. Era una cosa a cui mai avrei pensato. Mi sono detta: ‘Cavolo, ma allora ce la faccio!’” Direi proprio di sì. “Sì, ma io sono partita giocando al doppio che non ne avevo idea di come fosse. Lo facevo spesso con Martina Trevisan, ma non con continuità: sembravano più due singole insieme, che una vera coppia. Non eravamo molto amalgamate in campo. Sottolineo in campo, perché fuori con lei ho un rapporto pazzesco. Con Sara è stato diverso: lei ha molto chiaro in mente quello che vuole fare e quindi mi sono sentita, come dire, guidata all’interno di un ambiente in cui non mi sentivo a mio agio. E da lì è nata questa coppia che ha portato alla medaglia ai Giochi. È stato l'apice: un po' di pressione c'era, anche perché Sara mi aveva detto molto chiaramente che il suo sogno era vincere una medaglia. Io fino a quel momento non ce l’avevo molto in testa, ma quando sono arrivata a Parigi, ho avuto le idee molto più chiare. E mi sono resa conto di quanto grande fosse quel riconoscimento solo quando l'abbiamo vinto” Ci avete fatto sognare! Ho un ricordo di quel momento veramente bellissimo: era come se avessimo giocato noi. Ma, dimmi, litigate qualche volta? Non può essere sempre rose e fiori... “Io devo dire che sono molto tranquilla, anche se l'ultima volta l'ho tirata un po’ fuori. Sara mi aveva detto di provare più cose, di fare in un certo modo… Le dicevo che lo schiaffo al volo, in risposta al pallonetto, non mi veniva in mente, che non ce la facevo. Lei insisteva che ce l’avrei fatta, e allora le ho risposto arrabbiata ‘Ok, sì. Allora ce la faccio!’. Un po’ infastidita” Ma non hai scampo: la vince sempre lei alla fine. Ti fa fare quello che dice. È una così. Comandina... “Comandina… Sì, abbastanza !” Torniamo a te. Mi è sempre piaciuta la tua intensità in campo, il tuo trovare sempre soluzioni nuove: è come se ti alimentassi ogni volta, e in particolare a Wimbledon. Perché comunque, torniamo un po’ indietro, quello è stato il torneo più bello sotto tanti aspetti. Hai dovuto crederci, non mollare mai in partite in cui eri sotto, che hai recuperato. “Sì, è vero. In campo non sempre riesci a mantenere la lucidità di trovare le giuste soluzioni. Quello è sempre l'obiettivo, perché a volte mi trovo davanti avversarie che magari si sentono fisicamente molto meglio di me, quindi faccio fatica a breakarle. Per fare questo devo entrare in campo ed essere lucida, quindi magari perdonarmi a volte per dei passaggi a vuoto e gli errori, per fare poi le scelte giuste. Sì, Wimbledon sotto questo aspetto ha dimostrato molto: forse ho peccato un po' nella finale, però è stato un torneo in cui ho cercato sempre di trovare soluzioni, anche con cose che di solito non faccio, come per esempio andare a rete, qualche serve & volley… Stavo bene con questa versione di me: la lucidità per me dentro il campo è fondamentale” Hai detto una cosa molto giusta: il fatto di perdonarsi, di non voler essere sempre troppo perfetta, troppo precisa. Alla fine la partita è lunga, le situazioni sono tante e se uno rimane troppo attaccato a un momento negativo, passa il tempo e perde la chance. In questo sei stata veramente d'esempio: era molto bello vedere questa tua volontà di voler trovare la soluzione. Della serie: ‘Aspetta un attimo, che ci penso e ti intorto’. Credo che in questo cammino, la figura di Renzo Furlan sia stata fondamentale: siete cresciuti insieme, lui da allenatore e tu da ragazzina. Adesso però hai scelto di cambiare e lo condivido molto: ci sono dei momenti in cui le relazioni con gli allenatori, che per certi versi sono come una relazione di coppia, diventano difficili. Magari il coach ti dice la cosa giusta, ma ti dà fastidio: è come se quella voce non ti arrivi più. Come stai vivendo questo cambio, con questo nuovo allenatore spagnolo, Marc Lopez, con un'altra mentalità, un'altra energia? “Devo dire che lo sto vivendo con serenità. Non è stato facile prendere questa decisione, parlarne e anche comunicarlo. Come hai detto tu, dopo tanti anni mi venivano dette delle cose giustissime che però probabilmente per colpa mia non recepivo più bene. Ho quindi pensato di provare a cambiare, anche per la curiosità di vedere cosa ci fosse fuori. Con Renzo il rapporto è durato tantissimo, nove anni. Con Marc mi sto trovando bene: ovviamente non andremo a sconvolgere il mio gioco gioco, il tennis resta quello. Ma arrivano magari input diversi o comunque detti in un altro modo, con un'altra voce che quindi recepisco un pochino di più. Magari sì, magari no. Vedremo... È iniziata ora, speriamo!” La cosa importante è comunque darsi tempo. Tutte le collaborazioni nuove stimolano da una parte ma sono un punto interrogativo, perché non si sa come andranno realmente. Se si raccolgono subito i risultati, secondo me si è anche molto fortunati. Per capire se ci si trova bene insieme, si deve guardare anche fuori dal campo: forse la maggior parte del tempo si passa così, che dentro al campo. “Sì, concordo. Poi ovviamente i risultati sono alla base del nostro lavoro, non prendiamoci in giro. Purtroppo o per fortuna, per noi tennisti è il risultato che conta, quindi il giudizio sarà molto legato anche a quello. Trovarsi bene fuori dal campo è fondamentale, ma lo è anche rendersi conto che in campo hai una persona competente che ti piace” Dovessi scegliere una giocatrice della mia epoca o anche prima, chi ti piacerebbe affrontare? “Serena Williams. Perché sarei molto curiosa di vedere una come lei rispetto a una come Sabalenka, Swiatek o Andreeva: che differenze ci sono di gioco, di smussamento, di impatto di palla” Anche io vado molto con questo feeling legato al peso della palla. “E la velocità di spostamento: il tennis sta diventando sempre più fisico, e negli spostamenti è molto più rapido” Una domanda che non volevo farti: la miglior Pennetta del 2015, contro la miglior Paolini del 2024. chi vince? Io lo so, per questo non volevo chiedertela… “Non ne ho idea” Dai! “Sarei molto curiosa di vedere questa partita” Io so che vinci tu. “Dici?” Sì: mi dai buchi, sei troppo veloce. “Sarei una di quelle che ti darebbe molto fastidio?” Sì, molto! Risate e ringraziamenti. Il dialogo termina così.

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