Perché a Wimbledon (quasi tutti) i big hanno faticato

Indipendentemente da come andrà a finire, questo Wimbledon è stato strano. Perché è cominciato in maniera strana. Parto da questo presupposto: ho vissuto Londra nella prima settimana del torneo. Il clima ha influito tanto: il primo giorno il caldo era asfissiante e la pioggia del secondo ha aumentato l’umidità, modificando la superficie. Non so se sia stato un fattore determinante, ma è stato sicuramente un fattore. In tutti i casi, vedere solo 28 teste di serie al terzo turno è un dato che fa riflettere molto e credo possa portarci a distinguere i casi sotto tre aspetti fondamentali. Molto diversi tra loro. Acciacchi Il primo è quello della condizione fisica. Penso ai nostri Berrettini e Musetti, per dire: non avevano veramente preparato Wimbledon, perché sono arrivati un po’ troppo acciaccati. Da loro purtroppo ci si poteva aspettare poco: sono arrivati senza troppe pretese o comunque con tante incognite. Sotto rendimento Questa è forse la ‘categoria’ più nutrita. E riguarda alcuni tennisti che da un po’ di tempo non stanno rendendo secondo le aspettative. Penso a Tsitsipas, Medvedev. Anche Zverev. Il tedesco probabilmente un po’ meno degli altri due, ma comunque credo che nell’arco di tutto il 2025 si aspettasse qualcosa di più. Stiamo parlando in tutti i casi di tennisti maturi: Medvedev ha 29 anni, Zverev 28, Tsitsipas 27. Il loro gioco, soprattutto quello del greco è molto dispendioso. Fatica E poi c’è l’aspetto stanchezza. E mi vengono in mente Gauff o Paolini. Senza troppi giri di parole: sono arrivate un po’ cotte a Wimbledon dopo aver vissuto una stagione molto intensa e soddisfacente sulla terra. La prima ha giocato la finale a Madrid, quella di Roma e ha vinto a Parigi; la seconda ha vinto gli Internazionali, ha giocato anche nel doppio ed è sempre andata in fondo. Nessuna delle due ha avuto molto tempo per recuperare e sono arrivate un po’ a corto di benzina. Ci può stare. Clima Come scrivevo prima, c’è anche l’aspetto di tipo, fatemi passare il termine, ‘tecnico-climatico’. Il caldo era anomalo: si è giocato anche a 33-34° e una fortissima percentuale di umidità. Anche in passato a Londra ha fatto caldo, ma era molto più secco. Giocare sull’erba così cambia molto: la superficie rallenta tantissimo, e annulla alcune qualità di chi di solito sull’erba fa particolarmente bene. Ha influito di certo, anche se meno rispetto agli altri tre punti. Divertimento La cosa che più di tutte bisogna fare in questi casi è resettare. Ripartire quasi da zero. Perché nella testa di un giocatore ci sono tanti aspetti che da fuori probabilmente consideriamo meno . Ma c’è un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi: Zverev e Berrettini hanno parlato della fatica nel divertirsi, e fatico a trovarmi d’accordo con loro. Ritengo che il divertimento sia intrinseco al fatto che un tennista pratichi a livello altissimo lo sport che gli piace. Per essere più semplice: il tennista fa quello che ha sempre sognato di fare. Gioca a tennis, guadagna, ha popolarità. Non è tutto, certo, ma è qualcosa. Questo ambiente è sano: al di là delle pressioni da sopportare, presenta degli aspetti che devono essere apprezzati. È normale che si voglia vincere sempre, ma questo non è possibile. Non è il divertimento che si perde, in questo caso, ma solo le partite: la rabbia è naturale, visto il sovraccarico e l’aspettativa che un atleta stesso si crea. Sia chiaro, ognuno ha il diritto di sentirsi a proprio agio con il suo corpo, ma bisogna fare un’analisi molto più ampia. Perché gli alti e bassi ci sono e saranno sempre, ma la vita del tennista professionista è migliore del 90% rispetto a tutte le altre persone: si deve dare il giusto peso alle cose, capire quali pressioni possiamo veramente gestire e quali, invece, trattiamo con più difficoltà. Recupero E quindi, scrivevo sopra, bisogna saper staccare la spina per ripartire. Prendersi i propri spazi, ricaricare davvero le batterie. In questo sono d’accordo con gli atleti: restare sempre al massimo per 12 mesi all’anno è fisiologicamente impossibile. Gli esempi si contano, forse, sulle dita di una mano. Nell’ottica di una programmazione così intensa, bisogna recuperare le energie mentali prima ancora di quelle fisiche. Tradotto: bisogna riposare, facendo un’attività che piaccia. Una qualsiasi, basta che piaccia. E poi si deve ricostruire: mattone dopo mattone. In questo caso il lavoro è duro, specifico, faticoso. Ma necessario anche per lasciarsi alle spalle quelle delusioni che, per un motivo o nell’altro, sono arrivate. E che bisogna sempre saper affrontare con lucidità.

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Perché a Wimbledon (quasi tutti) i big hanno faticato

Renzo Furlan