Il talento di Cobolli lascia il segno

Flavio Cobolli è arrivato al torneo di Washington con tre tatuaggi in più sul corpo. La sua è una stagione da ricordare, di cui conservare memoria sulla propria pelle. Tra i nuovi disegni c’è anche un gatto, che si aggiunge, tra gli altri, alla maglia della Roma con il 52, il vecchio numero di Edoardo Bove, la figurina di Brontolo, il soprannome che gli ha dato sua mamma da piccolo, una frase di Daniele De Rossi dedicata alla Roma: “Sei tu l’unica mia sposa, sei tu l’unico mio Amor”. È importante parlare di pelle quando si parla di Flavio Cobolli. Non solo per le scritte, ma per le affinità elettive. Gli esperti la chiamano aura ed è una cosa che non si riesce a spiegare. A pelle Cobolli è uno che piace. A Wimbledon, centinaia di tifosi inglesi senza conoscerlo di persona sono stati coinvolti, catturati dal personaggio. A pelle hanno fatto il tifo per lui. La stessa cosa era successa ad Halle, in Germania, qualche settimana prima. La stessa cosa sarebbe successa in America qualche settimana dopo. Se chiedi ai suoi amici di infanzia un aggettivo per descrivere il ragazzo rispondono: vero. Non è mai cambiato, Flavio. Lo stesso sorriso di quando da bambino sognava di fare il calciatore, identico a quando a nove anni partecipava al torneo giovanile internazionale Lemon Bowl, categoria under 10, e subito dopo si sedeva a guardare Matteo Berrettini e a chi chiedeva al più piccolo se fosse allievo del più grande lui rispondeva, mangiando un pacchetto di patatine: “Eh, magari”. Flavio Cobolli ha cominciato il 2025 con un nuovo taglio di capelli, made in Australia. I primi mesi sono stati tutti in salita. Motivi per cui sorridere pochi: 8 partite e 8 sconfitte. Durante l’off season aveva deciso di allenarsi insieme a Carlos Alcaraz in Spagna. Il numero due al mondo aveva commentato così questa full immersion con il romano: “Flavio è molto forte. Non ho dubbi che arriverà in alto. Deve solo scegliere i colpi giusti al momento giusto”. Aveva ragione lo spagnolo. All’improvviso c’è stato il clic, sulla terra rossa, il primo titolo Atp. Poche settimane dopo il secondo. Vincere aiuta a vincere. Da allora il romano non si è più fermato. “In cosa sono migliorato? Nella voglia di migliorare”. A 23 anni, l’azzurro ha imparato a preservarsi: mangia meglio, dorme meglio, si allena meglio, la sera va a letto presto, allenarsi non gli pesa. L’unione dei puntini è avvenuta nel luogo più inaspettato. Come nei colpi di fulmine. L’erba di Wimbledon. Non gli è mai piaciuto giocare on grass. E non l’ha mai nascosto. Soprattutto non riusciva a capirla l’erba, i piedi, gli appoggi, i rimbalzi. Ad Halle ha cominciato il torneo con qualche punto interrogativo da sciogliere. Nell’ordine ha sconfitto Joao Fonseca, Denis Shapovalov e ha giocato un match alla pari contro Sasha Zverev. Fuori dal Centrale, dopo quel match, tifosi con la bandiera della Germania ancora tra le mani ammettevano: “Se non ci fosse stato un tedesco in campo, avremmo tutti fatto il tifo per Flavio”. A proposito dell’aura di cui sopra, il carisma che se uno non ce l’ha non se lo può dare . I suoi coetanei direbbero che Cobolli ha il sentiment, che è un influencer senza sforzarsi, e forse anche senza volerlo. Sono gli altri che lo seguono, lui si limita ad essere sé stesso. E forse anche per questo la pagina Instagram dell’Atp gli ha chiesto di diventare Admin del profilo. Flavio for follow. Un viso, qualche tatuaggio, una storia che fanno bene allo sport. Ma non è solo social network, è vita reale. Il New York Times gli ha dedicato un articolo: il tennista che sarebbe potuto diventare un calciatore per la Roma. Meglio il tennis, meglio Wimbledon, e chi lo avrebbe mai detto. È stata Londra la città della consacrazione, delle prime volte in mezzo ai grandi. All’All England Club Cobolli, per la prima volta in uno Slam, ha raggiunto la seconda settimana, ha giocato sul Campo Centrale, la Cattedrale, ha affrontato il suo idolo Novak Djokovic ai quarti di finale in un major, ha avuto la certezza di essere diventato uno dei 20 giocatori più forti del mondo. E soprattutto di esserselo meritato quel numero davanti al nome. “Dio non mi ha dato il servizio, ma mi donato delle buone gambe”, così ha commentato la sua vittoria ai quarti di finale, un traguardo a cui lui non credeva, non così presto, non su quella superficie. È il rischio che corre chi non molla mai, chi entra in campo tira fuori tutto ciò che ha e che gli rimane. È il rischio che corre chi si gode ogni momento di questo viaggio, chi in questo viaggio ha avuto sempre gli stessi compagni e sempre gli stessi idoli, chi si ricorda da dove viene prima di pensare a dove vuole arrivare. È stata una lunga estate per Flavio Cobolli, la buona notizia è che non è ancora finita. C’è ancora l’America da scoprire e nuovi tatuaggi con cui arricchire la pelle. E i ricordi.

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Giorgia Mecca