Come si allena un campione: dentro gli allenamenti di Sinner

Darren Cahill è il primo ad entrare in campo. Se l’allenamento è programmato alle 11, lui alle 10.58 si presenta. Poco dopo lo segue il resto della squadra, l’osteopata Andrea Cipolla, il fisioterapista Umberto Ferrara e, nei giorni viennesi, anche il mental coach Riccardo Ceccarelli, che ha trascorso tutta la settimana di torneo al fianco di Jannik Sinner. Sugli spalti, non sempre, si possono vedere anche la mamma e il papà. Come si allena un campione? Ciò che stupisce è il cambio di passo. È un crescendo spontaneo, dirige l’orchestra Jannik Sinner, accompagnato dall’hitting partner di giornata che si lascia trascinare in questo passo a due. Si comincia quasi accarezzando la pallina, ma è questione di scambi, poco più che qualche manciata di secondi, poi quella pallina inizia a scoppiare, come se far scoppiare la pallina fosse la cosa più naturale del mondo. Si dice che il tennis è tennis ovunque. Vale anche per gli allenamenti. L’Olimpo non è così diverso dal limbo. Lasciando da parte per un attimo il valore dei giocatori e la loro intensità in campo, gli schemi dei riscaldamenti non variano tanto dal numero due al mondo ai tennisti di provincia. Diagonale, di dritto e di rovescio, discese a rete, servizio, risposta. Questo è il tennis, per i campioni e per i comuni mortali. Rispetto a questi ultimi, Sinner parla pochissimo, si lamenta ancora meno. Ogni tanto avanza una richiesta. Per esempio: “giocami sulle righe”, ovvero fammi correre, “tira una pallina piano e una forte”, ovvero allenami a farmi trovare sempre pronto. Dallo US Open in poi l’obiettivo del team è quello di uscire dalla comfort zone, allenare l’imprevedibile, aggiungere variazioni. Da qui derivano le discese a rete, il rovescio in back, i drop shot. Per quanto riguarda le smorzate, Darren Cahill, il supercoach diventato negli anni “un secondo papà”, e all’occorrenza capace di trasformarsi in un maestro in purezza, è capace di fare di necessità virtù, adattandosi alla situazione . E così, per indicare il punto in cui sarebbe preferibile che il suo allievo tirasse la smorzata, in mancanza di alternative, usa due cesti della spazzatura, una soluzione che fa sorridere gli spettatori e rende ancora più concentrato Sinner, che comincia a pensare a fare canestro, non soltanto un punto vincente. Ciò che stupisce, inoltre, è la calma di Darren Cahill e la sua capacità di trasmetterla a chi gli sta intorno. “Good job, man”. È la frase che gli si sente dire più spesso in campo, sempre al momento giusto. C’è un timing anche per le parole da dire. O per decidere di prendersi una pausa e di disporsi a semicerchio, Sinner seduto sulla panchina, Cahill di fianco a lui. Parole poche, tutto body language con la forza tranquilla che ne deriva. A Vienna, il numero due del mondo ha fatto capire che questi potrebbero essere gli ultimi tornei con l’australiano al suo fianco . Finché è in attività Cahill è il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene, tra i suoi compiti c’è quello di osservare lo sguardo Sinner, sorridere per farlo sorridere. Non è solo la velocità di pallina che rende campione un campione. Non è solo palestra, cento dritto e cento rovesci diagonali ogni giorno, non è solo il lancio della pallina prima di colpire un servizio, i cinque minuti di scarico finali per ricercare la pulizia dei colpi. È il modo in cui cominci e finisci l’allenamento. Quella sorta di team building quotidiano in cui c’è spazio per commentare la partita di calcio della sera prima, per fare una gara di Formula 1 alla play station, per improvvisare una lezione di tennis a metà campo all’osteopata Andrea Cipolla e poi commentare: “c’è ancora tanto da lavorare”, sorridendo. E sorridendo un po’ meno aggiungere: “ho al mio fianco i migliori professionisti del mondo. Sacrificano molta parte della loro vita per stare dietro a me. A casa hanno una moglie, una famiglia. E non dev’essere facile avere a che fare con un ragazzo di 24 anni. Per questo li rispetto molto”. Per questo gli offre una lezione, tennis per principianti. Si dice anche che non è mai solo tennis. È vero anche questo. Spesso si confonde lo sport con i montepremi, i trofei che luccicano, lo star system tra il pubblico ad applaudire. Come se fosse uno show, con Robbie Williams in sottofondo che canta ‘Let me entertain you’ . Visti da vicino i tennisti hanno le mani callose, sono ragazzi a cui si chiede la saggezza dei vecchi, mangiano pasta scaldata in confezioni monouso dopo la mezzanotte, perdono un match e salgono su una cyclette a faticare ancora, provano e riprovano lo stesso colpo fino allo sfinimento, vincono un torneo e volano verso il torneo successivo. Perdono un torneo e volano verso il torneo successivo. Sono campioni ma a volte hanno bisogno di sentirsi umani, cercare lo sguardo del proprio coach che gli dica: “Good job, man”.

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Giorgia Mecca