Filippo Volandri conosce il segreto per vincere la Davis

Non è mai facile individuare un solo protagonista dietro la vittoria. O forse, più che facile, non è nemmeno giusto. Ma Filippo Volandri un po’ protagonista di questa meravigliosa terza Coppa Davis lo è davvero. Perché se non c’è solo la sua mano dietro a questo trofeo, c’è però anche tanto la sua mano. Sfumature di parole e pensieri, che accompagnano il dato incontrovertibile: se per la terza volta consecutiva l’Italia diventa campione, e lo fa senza i suoi due migliori, qualcosa dietro davvero c’è. E Volandri l’ha dimostrato eccome. L’ha dimostrato puntando su Berrettini, Cobolli, Bolelli, Vavassori e Sonego. Li citiamo tutti e cinque, ben consapevoli che le copertine siano dei primi due. Ma il punto è proprio questo. Berrettini lo conosciamo da tempo: con la Nazionale si esalta. Cobolli ha dimostrato una crescita spaventosa, esponenziale: ha carattere, gli piace lottare, competere, giocare per rappresentare i nostri colori. Si esalta. Sono tutte doti che per una Davis si sposano perfettamente. La difficoltà vera è stata coniugarle tutte insieme, rendendo uno sport individuale in un vero sport di squadra. Volandri ha creato un gran bel gruppo: c’era leggerezza, partecipazione, voglia di remare tutti dalla stessa parte. L’obiettivo comune è il mantra che si ha di solito quando si parla di calcio, basket o volley. È valso anche qui. Percepire la squadra Volandri ha proprio portato a termine questa missione. È riuscito con i suoi cinque giocatori a fare in modo che tutti fossero un blocco unico. Anche quando non tutti hanno poi la possibilità di scendere in campo. La Davis da questo punto di vista fa davvero scuola: non c’è competizione più bella per dimostrare di essere veramente squadra, perché giochi davanti a 10mila persone e anche quando sei fuori casa senti un trasporto del tifo notevole. Certo, quando giochi in casa è ancora più bello, ma in trasferta percepisci quell’esaltazione che aiuta a fare il salto di qualità. Perché c’è anche questo aspetto, nella Davis: i punti della classifica Atp contano meno. Conta il modo di giocare, conta proprio quel game, quel set, quel match. Prendiamo in esame la partita di Cobolli contro Bergs: il tie break più lungo della storia della competizione, l’esultanza alla Hulk. Ma anche la finale di ieri: recuperare un set è difficilissimo, ci vuole concentrazione e tanta determinazione. Ed è proprio lì che emerge la mano di Volandri. È vero, le cose sono anche un po’ cambiate: giustamente ogni giocatore ha il suo staff al seguito. L’allenatore non decide per tutti, ma ha anche il supporto di chi conosce l’atleta nella sua quotidianità. La vera forza è proprio nel saper ascoltare, nel sapersi confrontare e nel saper scegliere le strategie migliori: ogni cambio campo conta, ogni minima indicazione fa la differenza. Filippo, poi, da giocatore la Davis l’ha vissuta molto. Ed è un grande vantaggio. Saper capire il momento, saper vivere la tensione, saper trasmettere la giusta positività ai giocatori fa la differenza. L’ha sempre fatto. In poche parole, è sempre stata una questione di equilibrio: sentire, valutare, confrontarsi e decidere. Volandri ha deciso di giocarsela così. Non servono altre parole per dire quanto questa sua scelta sia stata vincente. E resterà per sempre.

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Stefano Pescosolido