L'eterna leggerezza di Nicola Pietrangeli

“Il mio funerale si farà sul campo Nicola Pietrangeli, al Foro Italico. La ragione è semplicissima. C’è il parcheggio. All’ultimo funerale pioveva, io ero con un amico e ho detto: Ma la macchina dove la mettiamo? Oddio piove che facciamo? Se piove, si rimanda al giorno dopo. Poi la gente deve stare bene, deve esserci la musica. Aznavour, un pezzo di Barry White, gran finale con Sinatra che canta My Way” È un ragionamento in pieno stile pietrangeliano di qualche tempo fa. Una di quelle meraviglie autoironiche che solo lui può permettersi. Perché la cifra stilistica di Nicola Pietrangeli è sempre stata la leggerezza, ma non come assenza di peso: piuttosto come forma di resistenza al mondo, come modo elegante di attraversare le 24 ore. La leggerezza, per lui, è sempre stata un rovescio lungolinea: preciso, apparentemente facile, in realtà studiato al millimetro. Un eterno bambino innamorato delle cose belle, del tennis e – perché no – di sé stesso. Ma fa benissimo: quando hai due Roland Garros, tre Montecarlo e due Foro Italico in bacheca, un filo di vanità è quasi un dovere civico. Nessuno è ironico, polemico, ribelle, romantico e chiacchierone come lui. Uno spirito libero, sempre padrone del suo tempo. Un uomo che non ha mai rinunciato a una cena, a una festa o a una donna per allenarsi meglio al mattino. Anche perché non ne ha mai avuto bisogno: gran fisico, gran rovescio, gran vita. Vince perché sa giocare, ma anche perché sa vivere. Ed è forse questo il suo vero segreto: Pietrangeli è stato il primo ad aver portato nel tennis italiano un concetto semplice ma rivoluzionario – il piacere del gioco. Non a caso, Ken Rosewall – uno che non regalava citazioni – disse una volta: “Se ai nostri tempi ci avessero confinato in un’isola per sei mesi, senza campi da tennis, e poi ci avessero fatto giocare un torneo, Nicola ci avrebbe battuti tutti quanti”. Dentro quella frase c’è tutto: c’è l’istinto, c’è il genio naturale, c’è l’uomo che non ha mai dimenticato che prima della tecnica viene l’anima. E poi il divertimento. Perché se non ti diverti, che sport è? Primatista mondiale di match giocati in Coppa Davis, capitano della prima storica insalatiera del ’76, lottando come un leone contro chi voleva boicottarla per ragioni politiche. Lui no: lo sport è sport, e sul campo si combatte – non si discute. È capace di difendere un ideale e una risata nella stessa frase. È in grado di litigare con mezzo mondo e offrire il vino subito dopo. Nicola non conosce l’ipocrisia: se deve dire una cosa la dice, costi quello che costi. Ma sotto sotto – lo sanno tutti – è un romantico irrimediabile. Al punto da dire ‘no’ ai tanti dollari di Jack Kramer, che lo voleva nel circuito dei professionisti. Non se ne parla nemmeno: Pietrangeli non rinuncerebbe mai alla Coppa Davis o ai tornei dello Slam. Perché vincere è bello, ma sentir suonare l’inno è ancora meglio. Nel tennis italiano, Pietrangeli è stato il primo romanzo vero. Prima di lui c’erano solo i racconti brevi, qualche tentativo, una pagina qua e là. Con lui arriva la narrazione epica, quella che profuma di Foro Italico alle 10 di mattina e di Vittorio Gassman a bordo campo che già pensa alla cena. Un uomo che ha mescolato tennis, mondanità e cultura pop italiana come nessuno aveva mai saputo fare. Uno che ha fatto innamorare del tennis anche tante gentili spettatrici innamorate soprattutto di lui. Ciao Nick. Primo grande mito del tennis italiano, elegante stratega in campo e simbolo di sorriso fuori. Hai aperto la strada a generazioni intere, lasciando un’eredità che non è solo sportiva: è culturale, identitaria, perfino sentimentale. Ancora oggi resti il punto di riferimento di tutto ciò che significa ‘essere campione’. E se un giorno davvero sentiranno Sinatra da un altoparlante al Foro… beh, non sarà un funerale. Sarà la finale più lunga della storia. E, come sempre, la giocherai a modo tuo.

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L'eterna leggerezza di Nicola Pietrangeli

Stefano Meloccaro