Andy e Nole, quei carissimi nemici

A trentasette anni Novak Djokovic ha ancora voglia di un colpo di scena. In questo 2024 vissuto con un unico obiettivo nella testa e nelle gambe, l’oro olimpico , il giocatore serbo ha sopportato tutto ciò che non era a cinque cerchi con fastidio e forse con noia. Nei mesi successivi a Parigi è possibile che abbia assaporato l’idea di dire addio: in fondo che altro avrebbe ancora potuto vincere? Il pensiero dev’essere stato ricorrente nella stagione in cui due dei suoi tre compagni di viaggio hanno deciso di fermarsi. Invece Nole stupisce ancora. Il suo ritiro da Torino è stato soltanto uno stop, la rincorsa per preparare la nuova stagione, la numero ventidue da professionista. La vera sorpresa è la guest star che siederà nel suo box in Australia e che sta già seguendo la preparazione: Andy Murray. Carissimi nemici. Nati a una settimana esatta di distanza nel maggio del 1987 , i due si conoscono da sempre. In questi giorni Judy Murray ha tirato fuori dal cassetto alcuni ricordi preziosi, tra cui una foto di loro due da bambini durante la premiazione di un torneo juniores. Nole primo sul podio, Andy terzo, entrambi tra i più forti under a livello internazionali. Hanno iniziato insieme e insieme hanno fatto il loro ingresso nel Tour. Insieme, soprattutto, sono entrati nel club dei campioni. In campo si sono affrontati trentasei volte dal 2006 al 2022, le vittorie sono 15 a 11 nei confronti dell’attuale numero 7 al mondo. Nel primo Slam della stagione, che è l’obiettivo della loro collaborazione, ci sono state 5 sfide e 4 finali tra i due. Tutte vinte da Djokovic. Senza volere essere maligni a tutti i costi, è lecito chiedersi perché Nole abbia voluto al proprio fianco un giocatore che ha sempre battuto agli Australian Open. Le statistiche però non spiegano sempre ciò che succede nel Tour. A proposito della scelta di chiamare Ivan Ljubicic come allenatore in seconda nel 2014, Roger Federer ha risposto così: “Si potrebbe pensare che io ho giocato più finali, ho vinto più trofei, sono stato più alto di lui in classifica. Ma questo non è il punto. Io ho scelto Ivan per la sua competenza”. Andy Murray è sempre stato un giocatore molto intelligente dal punto di vista tattico, conosce il circuito attuale, ha giocato contro i nuovi mostri, ha saputo adattare il suo gioco a un’anca malandata, ha saputo vincere nell’epoca dei cannibali, confondendosi con loro, è uno dei più romantici interpreti del concetto di resistenza , lui che aveva scelto come coach Ivan Lendl implorandogli: “Tu mi devi seguire ovunque. Ovunque”. Soprattutto Andy Murray sa cosa deve sentirsi dire un giocatore prima di una finale. Sa quanto è importante rendersi conto che lì in alto c’è qualcuno che si alza in piedi per te e ti dice che sei bravo comunque vada. Per esperienza personale che brucia ancora e ancora causa nostalgia, conosce la sensazione che provoca la fiducia degli altri riposta su di te. Sa che è una bella sensazione. Lo scozzese ha detto addio al tennis varie volte quest’estate: a Wimbledon, prima in singolo e poi in doppio, e poi a Parigi durante i Giochi Olimpici. E in questo addio reiterato e ancora più straziante sembrava quasi che l’uomo che un tempo è stato campione di Church Road non riuscisse a uscire dal campo. Sui social per scherzare aveva scritto che il tennis in realtà non gli era mai piaciuto. La verità è che quattro mesi off sono stati più che sufficienti. Nel giro di qualche settimana si è inventato un tour teatrale, Centre Stage, che parla ovviamente di tennis e andrà in tournée anche a Wimbledon la prossima estate, e una nuova collaborazione con Novak Djokovic, l’unico sopravvissuto della sua epoca. Dopo 99 titoli vinti, 24 Slam, un oro olimpico finalmente aggiunto a un palmares, è evidente che il serbo sia tornato per vincere ancora. Murray dai box gli darà una mano, la sua esperienza e forse soprattutto il suo amore per questo sport. In Australia, dove non lo ha mai battuto, lo scozzese avrà la chance di vincere insieme a lui. Se non li puoi sconfiggere, fatteli alleati.

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Giorgia Mecca