La rivincita di Matteo Berrettini, il predestinato del tennis

Chiariamoci su cosa voglia dire essere un ‘predestinato’. Se, per definizione, questa parola va associata alla precocità, non vale avere dubbi: Matteo Berrettini non è un predestinato. Per darci un punto fermo legato all’età, a 20 anni Carlos Alcaraz aveva già vinto due Slam, Sascha Zverev due Masters 1000, Jannik Sinner aveva già debuttato in top ten. Berrettini, invece, già combatteva contro gli infortuni, primo tra tutti un problema al ginocchio per il quale era rimasto fermo da febbraio a settembre 2016, prima poi di giocare la prima finale Challenger ad Andria a novembre, perdendola contro Luca Vanni. Altra epoca. Se invece l’intenzione è estendere il concetto di predestinazione, interpretandolo questo termine nel senso più letterale e radicale, come qualcosa di legato al ‘destino’, vietato sbagliarsi: Matteo Berrettini è un predestinato, perché predestinato al tennis, che a volte non sembrava essere la strada giusta e che invece è sempre stato il fine ultimo, il motivo per il quale diventare forte oltre qualsiasi fragilità. Sbirciando negli occhi di chi è riuscito a difendere il titolo in Coppa Davis, Berrettini era, senza dubbio, il più emozionato di tutti. D’accordo, sarebbe ingiusto andare a classificare il livello di commozione di ciascuno di loro: sminuire lo sguardo malinconico di Sinner che si congeda dal proprio indimenticabile 2024, capendo all’ultimo miglio la magnitudine di una stagione senza precedenti, è un errore imperdonabile. Eppure, le lacrime, trattenute senza poi sforzarsi troppo, da Matteo, sono la definitiva liberazione dopo due anni di infortuni a raffica. Infortuni a dire il vero cominciati già un anno prima, in un 2021 di gloria, ma anche di giunture, articolazioni e muscoli che si ribellano sul più bello. Infortuni cronici, segnali di un fisico da gestire con ancora più prudenza rispetto agli altri. Segnali di un ‘patto’ con il tennis che richiede ancora più forza mentale per sopportare gli ‘stop and go’ ai quali, inevitabilmente, negli anni non si è trovata soluzione. Nelle Final Eight di Coppa Davis, in singolare Berrettini ha giocato cinque set distribuiti in due vittorie su due. Tolto il finale di partita con Van de Zandschulp, Matteo non ha giocato da stropicciarsi gli occhi, ma è riuscito a tirarsi fuori dai propri fantasmi con la qualità che se valesse in solitaria il ranking, gli permetterebbe di rimanere stabilmente tra i primi cinque al mondo: la capacità di ‘dimenticare’ la difficoltà, rimanendo in partita con straordinaria lucidità. Sarebbe stato facile per Berrettini lasciarsi andare dopo il beffardo primo set perso con Kokkinakis: tre set point sprecati, uno sul 6-5 e servizio, due al tiebreak, un rovescio mal valutato che ha rimesso l’australiano in partita. Invece, proprio nel momento in cui resettare sarebbe stato più difficile, Matteo ha sfoderato magie di cui probabilmente non conosceva l’esistenza. Due su tutte: il rovescio in controbalzo sul 2-1 nel terzo set e l’incredibile recupero in chop difensivo di dritto – guai a dire che sia stato casuale – sul successivo 5-5, 15-0, punto che ha distrutto la fiducia di Kokkinakis. E anche contro Van de Zandschulp, con il braccio un po’ più lento per la comprensibile tensione, Berrettini ha ragionato una prima di servizio per volta, cercando la soluzione ideale, variando traiettorie, velocità, movimento di gambe, tempo di reazione, per capire in che modo combinare sicurezza ed efficacia di un fondamentale indispensabile per lui. Risultato? Un secondo set giocato ‘su una nuvola’ e un dritto, sull’1-1 40-40, manifesto di come, se sta bene, Matteo è un ‘martello’. Mentalità e resilienza – per quanto possa essere un binomio cliché: queste qualità rendono Berrettini uno tra i più forti della sua generazione a tornare dagli infortuni. I numeri sono una sentenza, le date servono a ripercorrere una via crucis di cui si è vista la fine. Gennaio 2021: uno strappo agli addominali costringe Matteo a dare forfait negli ottavi di finale agli Australian Open contro Tsitsipas. Berrettini rientra tre mesi dopo e dopo una fisiologica sconfitta contro Davidovich Fokina a Monte-Carlo, in tre settimane vince il sesto titolo in carriera a Belgrado e raggiunge la prima finale in un Masters 1000, sconfitto soltanto da uno Zverev che alla Caja Magica è a casa. Novembre 2021: a tradirlo sono sempre gli addominali, in una serata che sarebbe dovuta essere di festa alle ATP Finals in casa a Torino e che è finita per diventare un dramma sportivo davanti a un inerme Zverev . Matteo lascia il Palalpi Tour tra le lacrime, temendo di non tornarci più , ma poi torna due mesi dopo a Melbourne e raggiunge la semifinale agli Australian Open, sconfitto da un Nadal in odore di leggenda. Marzo 2022: Berrettini si opera alla mano destra, salta tutta la stagione sulla terra rossa, ma poi torna in campo e, come per magia, sull’erba a lui tanto cara – quella della finale a Wimbledon nel 2021 – mette in fila 10 vittorie e due titoli di fila, a Stoccarda e al Queens’. Prima di fermarsi di nuovo, neanche a dirlo, per aver contratto il Covid-19. La medicina? La finale a Gstaad, persa contro Ruud, al primo torneo dopo lo stop. Settembre 2023: dopo numerosi altri problemi, tra cui un risentimento al piede sinistro, Matteo sembra finalmente star bene agli US Open, torneo dove tra l’altro difende 360 punti dal 2022. Al secondo turno, però, nel tentativo di recuperare, con eccessiva generosità, un dritto di Rinderknech, Berrettini inciampa su sé stesso e si storce la caviglia: ritiro, uscita dal campo in sedia a rotelle e stagione finita. Il rientro è ritardato di tre mesi per ulteriori problemi al piede, ma, di nuovo, dopo una partita di rodaggio a Miami contro Murray, Matteo riparte dalla finale nel Challenger di Phoenix – per tabellone da sempre più un ATP 250 che un torneo minore – e dal titolo a Marrakech. Aprile 2024: una brutta polmonite mette fuori gioco Matteo a Roma, il Masters 1000 di casa a cui lui non partecipa dal lontano 2021. Decidendo di saltare il Roland Garros, Berrettini si regala una programmazione oculata che gli permette di raggiungere la finale a Stoccarda – la terza in quattro partecipazioni – e i titoli a Gstaad e a Kitzbuhel. Nel mezzo un crudele secondo turno a Wimbledon contro Sinner che rimarrà sempre un ‘chissà’ nell’album dei ricordi di un 2024 speciale anche per Matteo. Aver ripercorso questo calvario per qualcuno sarà sembrato esercizio mnemonico noioso, ma è stato fondamentale per fissare le ‘sliding doors’ di una carriera sfortunata, anche se, a ben vedere, per fortuna non troppo, guardando in prospettiva al 2025. La condanna di Berrettini sarà sempre dover combattere in campo contro tre avversari invece di uno, vale a dire chiunque esso stia dall’altro lato di campo, il proprio fisico e le tentazioni che, inevitabilmente, infortunio dopo infortunio, porterebbero chiunque a mettersi in panchina e ad aspettare che sia la vita a dominarti piuttosto che tu a dominare la vita. A un triplice sacrificio non sempre corrisponde una triplice ricompensa. Matteo ne è consapevole e, per questo, è capitato che sia stato soltanto ‘normale’, nel senso di un normale ragazzo di 28 anni che a volte non ha saputo come accelerare i tempi di rientro e, per questo, è stato criticato da chi si era disabituato a quanto difficile possa essere tenere sotto controllo il proprio fisico ballerino. Però, con la Coppa Davis tra le mani e con la promessa di un 2025 in cui, scongiuri permettendo, sarà protagonista tricolore di fianco a Sinner, per Berrettini, l’impresa di Malaga probabilmente è stata una ricompensa almeno decuplicata per gioia rispetto al sacrificio.

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Michela Curcio