Questi ragazzi stanno cambiando l'Italia

Siamo travolti da immagini, da meravigliosi dritti, da martellanti rovesci, rimesse in gioco servite a 220 chilometri orari che percuotono l’aria come schiaffoni e palle corte tenere come carezze . Siamo coccolati da sorrisi che addolciscono volti sportivi, tirati, virili che l’emozione trasfigura, fino al pianto liberatorio: quello di Berrettini, davvero il partigiano di Malaga. In Andalusia ha combattuto e ritrovato la sua terra, la sua libertà, il suo posto nel mondo. I giorni avanzano, il tempo vola ma non può passare e noi tratteniamo queste tenniste e questi tennisti, non riusciamo a separarci da questa stagione. Loro stanno cambiando il Paese e così possiamo tranquillamente - senza forzare conclusioni - raccontarli come un fatto culturale. Questo avvenne anche con la mitica squadra dei Settanta, raccontata da Procacci nel recente docufilm ma intarsiata nella nostra storia. Quel momento provocò variazioni urbanistiche, quando si costruirono campi da tennis, in terra e soprattutto in Mateco, sabbia, calce e cemento, e tre colori da stendere sopra quell’impasto di calcestruzzo poroso. Le linee bianche a dividere geometricamente il campo rosso dal fuori campo verde: non era un omaggio all’Italia, ma erano i colori standard di questa superficie che sarà conosciuta con l’acronimo di MAggi TEnnis COstruzioni. Permeabile all’acqua, molto resistente alle intemperie, di facile ed economica manutenzione, molto rigido, fu decisivo per portare il gioco del tennis nei piccoli paesi e per aumentare il numero dei campi anche nelle maggiori città. La superficie dilagò in quel decennio e nel successivo. Con il bitume, arrivarono maestri con divise attillate, gesti eleganti e racchette di legno. La professione ha resistito e ovviamente oggi l’Italia sposta l’orizzonte: siamo la seconda nazione per numero di coach e maestri, istruttori e preparatori specifici. Ci sono statistiche più strette attorno ai 10 mila, altre più ‘larghe’ verso i 13 mila. Fare invece un tagliando sui praticanti è difficile e sfuggente, per un motivo di definizione e per un motivo penalizzante: la corsa in avanti degli ultimi mesi obbliga a continui ritocchi. I numeri che circolano oggi sono di circa 2 milioni di ‘giocatori’ e 6 milioni di appassionati che ogni tanto escono di casa con la racchetta in spalla. Ci siamo presi qualche riga per inquadrare la situazione e dare più forza al concetto di partenza: il segno profondo che questi mesi lasceranno nel Paese, avvicinando bambini a questo sport e di conseguenza cambiando le abitudini delle famiglie. E integrando una passione per questi gesti, per questi schemi, per questo gioco e i vocaboli che lo raccontano, collaborando naturalmente per la costruzione di una memoria comune, fino a diventare tradizione, come fu allora, e come sarà da adesso, con le maggiorazioni e le esagerazioni dei tempi . Nei Settanta fu acceso il fuoco, che restò cenere. Ma come fuoco mai spento è bastato un po’ di vento e la fiamma è ripartita: e brucia, e si alza. E il vento adesso tira forte. Dunque possiamo parlare di loro e di una stagione che è subito sembrata ispirata fin dal finale della scorsa, con Sinner che conosce finalmente le vittorie che cercava , con la finale a Torino e con il trionfo di Malaga, a lui riconducibile. Poi ci fu lo Slam, che sbloccò un discorso incagliato all’impresa di Adriano Panatta del 1976 al Roland Garros. Quel dritto lungolinea che conclude il match contro Medvedev a Melbourne può benissimo fare rima con la sventola che Matteo Berrettini rifila a Botic van de Zandschulp sul finale della partita nella finale di Davis contro gli olandesi. Un colpo che pochi anni fa aveva trascinato il Paese in un luogo sacro e per questo apparso da sempre inviolabile, il centrale di Wimbledon nel giorno della finale. Un dritto annidato ma confuso e impedito da una carriera che si piantava su piccoli e ossessivi infortuni, e gli umori derivati. Fra queste due date pendeva però un filo che nelle mani di Sinner diventava la corda per legare insieme una stagione storica, già collocabile nei vertici del suo sport, e senza dubbio storica nello sport di questo Paese, insieme alle migliori stagioni di Coppi , al 1988 di Tomba , ai Mondiali-show di Valentino. Forse Sinner già supera tutti per la penetrazione del messaggio nel mondo. Ma il punto più affascinante è che questa annata sarà superata dalle prossime, e chi scrive ne è certo perché il vento che fischia lo farà più forte, e lo sport di oggi è conformato per agevolare dominazioni, proponendo superfici, mezzi e di conseguenza stili di gioco adatti ovunque: Sinner aggiunge a questo la convenienza di un talento acconcio, che sa generare velocità e pressione da ogni zona. Una mentalità che lo muove verso il miglioramento di qualsiasi aspetto del gioco, anche dove è già il migliore, una forza interiore colossale, provata da quel periodo sotto lo schiaffo della positività, gestita con la serenità dei giusti. A questa forza s’addice la sfida, come è stato per i dominatori recenti: Alcaraz, che con lui dividerà le vittorie, migliorerà Sinner, venendone migliorato, e così si spera di altri che oggi sembrano distanti e talvolta sconosciuti. Ma torniamo al vento. Uniamolo a quel filo. Insieme: qualcosa che attraversa e che spinge, che unisce e trasporta. Nessuna e nessuno delle tenniste e dei tennisti si senta diminuito da questa comunanza: i loro sorrisi, la loro festa condivisa ci salva da questo oltraggio. Sono i primi ‘prodotti’ di quella cultura, di quel cambiamento che agisce in loro per prossimità e in noi per ammirazione. E si trasformano nel vento che raccolgono, alimentandolo. Sono generazione, e di più: abbiamo già la profondità e la diffusione per parlare di movimento, mentre non ha più senso parlare di scuola. Sara Errani può essere la madrina di questa famiglia, memoria vivente e combattente del gruppo che cominciò a vincere in Fed Cup e a frequentare le finali dei tornei Slam, vincendone un paio con Schiavone e Pennetta. È davvero il legato con quella stagione, oltre a essere una meravigliosa manovratrice di palline e di sensazioni dentro partite che sa capire, che sa piegare dalla sua parte, spesso in condominio perché ormai la sua forza è soprattutto nel doppio. E con Jasmine Paolini, per noi addirittura il voto più alto della stagione, la lode, per quella combinazione di assegnazioni naturali e conquiste ottenute: prima giocatrice della storia italiana a disputare due finali in due slam differenti, e nel suo caso i due più suggestivi e a distanza di poche settimane, Roland Garros e Wimbledon. Nell’espansione e nella distribuzione di un sogno, di un impulso, di una suggestione emulativa - quindi di un’acculturazione, per tornare alle parole iniziali - la stagione di Paolini è fondamentale. Il suo lavoro con Renzo Furlan, la sua crescita tecnica e mentale, lo spirito che anima le sue rimonte, la ribellione a teoriche inferiorità, ribaltate con un dritto ormai dominante e una sicura presa del campo in avanti, agiscono con convinzione nell’immaginario di chi oggi si azzarda a misurarsi con i tornei, oscillando fra ambizione e preoccupazione. Il vertice del tennis femminile sembrava blindato, dopo anni di transiti: Swiatek, Sabalenka, Rybakina, Gauff, magari Pegula come quinta ideale o Zheng come impeto finalmente coordinato. Invece nel mezzo c’è Jasmine. L’oro olimpico in coppia con Errani e la conquista della BJK assieme a Bronzetti e Cocciaretto accerta l’animo aggregante, l’empatia, il senso di squadra che - insieme - le sostiene e le eleva. E torniamo daccapo: l’effetto ‘aperto’, mescolato, sconnesso ma capace di congiungersi nel lavoro da fare insieme, s’infiltra e opera con maggiore profondità nella cultura di un popolo. È stato un anno così pieno che qualcosa non ha avuto lo spazio e gli elogi meritati, si sono succedute notizie sempre positive, primati da aggiornare. Uno ci colpì, in Primavera: la settimana che ci trovammo 8 tennisti nei primi 100 del mondo. Ecco, adesso sono 9 . Ricordiamo che ‘i primi 100’ è un distillato infinitesimale di uno sport giocato in tutti i continenti . Per uno sport che ha avuto almeno un rappresentante di ognuno di questi continenti nella top ten. Sei dei nostri nove abitanti fra i migliori 100 hanno un’anagrafe alleata: vanno dagli spensierati e dispersivi 21 anni di Luca Nardi, che a Indian Wells sconfisse Novak Djokovic, e salgono ai seriosi 23 anni di Matteo Arnaldi e Jannik Sinner. Nel mezzo, a decrescere d’età, Musetti, Darderi, Cobolli. La provenienza territoriale ci dimostra una diffusione vasta, una spontaneità che testimonia la passione espansa per questo sport, e le strutture adeguate e anche la professionalità dei nostri tecnici, più o meno inquadrati nel sistema. Si va da Levante a Ponente , dalle Dolomiti del fenomeno fino alla Capitale dove è cresciuto Cobolli, nativo di Firenze ma che ha vissuto a Roma tutti i suoi compleanni. Musetti è di Carrara, Sonego è torinese e Darderi è invece argentino di Villa Gesell , poco a nord di Mar de Plata: anche lui ha respirato il salmastro, come Nardi, Arnaldi e Musetti. Ci sono gente di mare e ragazzi di città . L’insistenza in questi distinguo è solo per ripetere che non c’è ragione endemica in questo raggruppamento ma solo disponibilità, una capillarità infrastrutturale e una coincidenza di talento e semmai un potenziamento dell’umore: quello scatenato probabilmente dalla forza di Sinner, dal campione e connazionale che apre scenari nuovi, che ‘chiama’ dentro, che esalta e stimola un popolo e fa sentire importanti e rappresentati gli atleti. La gioventù di questo gruppo è pertanto ambivalente: assicura di perdurare e tenere il discorso alto per molto tempo - continuando a diffondersi, perché lo abbiamo scritto: il Paese è pieno di campi e di maestri - e promette di elevare il tono di questo interesse. Nello sport in generale, nel tennis in particolare le carriere si sono dilatate in avanti e il perfezionamento completa l’atleta e il tennista anche a ridosso dei trent’anni, e si prenda ad esempio il più forte : Novak Djokovic vince 22 dei suoi 24 Slam dopo aver compiuto i 24 anni. Prima di quella data del maggio 2011 aveva vinto i due Australian Open del 2008 e di quello stesso anno. Per capirsi: Sinner non è ancora arrivato a quel rintocco. Questo non significa che in Italia camminano sei giovani Nole, altrimenti sarebbero 144 Slam da contare, e magari ci annoieremmo. Però è certo che ognuno dei nostri ragazzi sente davanti a sé possibilità superiori alla già lusinghiera classifica, nessuno sente di aver raggiunto alcun obiettivo definitivo: la gioventù è una grande illusione e una grande opportunità, ma la stoffa c’è, in ognuno di loro, alcuno pervaso da un talento più tecnico, altri più mentale, fisico. Curiosamente, due del gruppo hanno scelto il tennis quando potevano praticare sport nei quali ugualmente eccellevano, e che erano uno sbocco più facile, più comodo. Per origine - Sinner era altrettanto promettente come sciatore, si sa - o per ‘fascino’ popolare: Cobolli era a Trigoria fra i ragazzi in vista della Roma, e Bruno Conti cercò di convincerlo a restare sull’erba verde - “Ci sai fare, arriverai…” - ma Flavio sognava il prato di Wimbledon. Questi due lampi biografici non sono semplici e normali passaggi di vita, ma deposizione in favore del tennis, sport e gioco che invita. Oddio, quante righe. Che sovrapposizione di numeri e colpi, di presente e passato. Quando poi era l’emozione a tormentarci, a creare questa urgenza di ringraziare queste ragazze e questi ragazzi, questi tecnici e questa passione. E soprattutto un ragazzo, fatto di talento e serietà, che arriva dritto come un lungolinea, come un’esperienza, come un chiodo in asse di valore. E deve per forza chiudere questo sproloquio: è il più forte di tutti, e sta spostando un popolo verso un posto migliore. Grazie, Jannik.