Pesendorfer e Pincella: il wheelchair tennis e un sogno chiamato Los Angeles

Miami 2024. C’è Jannik Sinner che si sta allenando. Ma è seduto su una carrozzina. Scambia qualche palleggio con Alfie Hewett, pluricampione Slam di wheelchair tennis. L’immagine fa il giro del mondo. "Sono dei fenomeni, fanno sembrare semplice il loro gioco e invece è una cosa difficilissima” - aggiunge il numero 1 azzurro - “mi sono sentito fortunato a fare questa esperienza, ho provato un punto di vista totalmente diverso, che mi servirà. Spero che ci siano sempre più tornei di wheelchair perché lo meritano”. E’ più di un allenamento, è venire a contatto con atleti competitivi che raccontano la loro esperienza come risorsa da regalare al prossimo. Ecco perché quando la Badìa Tennis Academy ci ha aperto le porte, anzi i campi, abbiamo pensato che questa fosse l’occasione giusta per entrare in un mondo fatto di storie personali che diventano esempio ed ispirazione. Per il secondo anno lì si è tenuto il torneo internazionale BTA Wheelchair Open con giocatori e giocatrici provenienti da tutto il mondo e tabelloni al maschile e al femminile sia in singolare che in doppio. Lì incontriamo Christina Pesendorfer, cha vinto il titolo nel 2024, e Marco Pincella, finalista di questa edizione. La vita di entrambi è cambiata in pochi secondi. “Non camminerai mai più” la frase che hanno sentito entrambi e che li ha portati a dover ripensare tutta la loro quotidianità. Il lavoro, la famiglia, lo sport… e il tennis che in qualche modo l’ha salvata quella vita. “Avevo solo 18 anni quando mi sono lanciata dal secondo piano di un palazzo perché il mio ex fidanzato voleva uccidermi. Dovevo uscire dal suo appartamento, dovevo scappare da lui e questo era l'unico modo”. Ha gli occhi profondi Christina, anzi, Tina, come preferisce farsi chiamare e, anche se sono passati 18 anni da quello che lei chiama “l’incidente”, parlarne non è più facile. Quel salto l’ha lasciata paralizzata dall'ombelico in giù. Prima amava ballare, giocare a pallavolo, correre, andare in bicicletta, dopo si è sentita persa, bloccata, incapace di reagire, di accettare quello che era successo: “Ogni cosa mi sembrava così complicata, così difficile. Sopravvivevo, ma non ero viva. Nel 2015 mi sono avvicinata al tennis in carrozzina, ho provato, mi è piaciuto e ho iniziato ad allenarmi sempre di più fino a quando ho capito che volevo competere in questo sport. E’ stata la miglior decisione che potessi prendere perché mi ha portata a girare in moltissimi paesi, a conoscere atleti come me in ogni parte del mondo, ad avere amici con cui condividere le difficoltà, ma anche le opportunità che questa condizione mi ha portato”. Anche Marco sceglie questa prospettiva, non vuole parlare di nuova vita o di un Marco diverso: “Nel 2010 correvo in moto, ero al campionato italiano al Mugello e sono caduto: altri due piloti non sono riusciti ad evitarmi e mi hanno investito. Lesione midollare. Paraplegia. Sono un nuovo Marco? No, sono lo stesso di prima che si è dovuto adattare a questa condizione. E’ stato semplice? No, ma per fortuna la mia famiglia, la mia compagna, oggi mia moglie e mamma di mio figlio Pietro, mi hanno aiutato. E poi è tornata la voglia di fare sport: lo sci, i kart, la bicicletta e poi è arrivato il tennis. Nel 2020 ho iniziato a fare i primi tornei in Europa, oggi gioco per il tennis club Terranova di Olbia e negli ultimi 4 anni posso dire che ho raccolto risultati davvero importanti e quest’anno ho raggiunto il mio best ranking diventando numero 73 al mondo. Ora voglio migliorare sempre di più la mia classifica e magari chissà… anche aprire un cassetto in cui c’è un sogno enorme… i Giochi del 2028”. Mentre lo dice Marco guarda Pietro, che ha 10 anni e che lo accompagna a tutti i tornei ed è una sorta di mascotte: gli avversari del suo papà lo salutano, lui ricambia e segue gli scambi, per lui ogni torneo è un’Olimpiade. Anche Tina guarda il campo mentre racconta la sua storia, vuole che sia quello a parlare, a raccontare di lei. L’incidente non la definisce. Con le dita si sfiora l’incavo della mano destra, ci sono alcune lettere scritte in cirillico “mi piaceva il disegno che creava questo alfabeto e poi non voglio che gli altri capiscano, è una frase che serve a me quando sono in campo e so che sono da sola e devo trovare una soluzione. Guardo sulla mia mano e capisco che ce la posso fare”. Sulla mano sinistra invece, si legge chiaramente la scritta “Los Angeles”. “E’ una città che amo tantissimo e tra due anni ci sono le Olimpiadi lì e spero di poter rappresentare l’Austria”. I caratteri sono chiari, lo possono leggere tutti quel tatuaggio. Tina vuole che tutti lo sappiano. Non si possono nascondere i sogni.

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Pesendorfer e Pincella: il wheelchair tennis e un sogno chiamato Los Angeles

Eleonora Cottarelli