Tutta l'atletica passata da Montecarlo, una tappa dal 'fascino particolare'

Quando il meeting di Montecarlo vide la luce, anno del Signore 1987, governava ancora Ranieri di Monaco, il principe Alberto si dedicava con buon successo al bob e Ayrton Senna conquistava il primo dei suoi sei successi nel Gran Premio più famoso del mondo. Qualcuno pensò che anche l’atletica, sfruttando il civettuolo stadio del Louis II di Fontvielle, potesse regalarsi, tra yacht ormeggiati al porto e auto di lusso, quel giusto tocco di glamour. In fondo, specie in un luogo dotato di casinò, non era un azzardo: il denaro non sarebbe mancato per la riuscita dell’operazione. Già alla terza edizione, nel 1989, il meeting ospitava la finale del Grand Prix, appuntamento conclusivo del circuito dei maggiori appuntamenti internazionali, che registrò il singolare esito della prova dei 110 ostacoli: nemmeno il fotofinish e il conteggio dei millesimi riuscirono a separare il due volte campione olimpico Roger Kingdom e il futuro campione e recordman mondiale gallese Colin Jackson, premiati dal 13”22 con il successo a pari merito. Non sarebbero però state le gare con barriere a fare la storia di Montecarlo, che la sua fama l’ha costruita essenzialmente sul mezzofondo. Sei dei sette primati del mondo stabiliti nel Principato sono infatti merito dei corridori che amano le fatiche prolungate. Unica eccezione la zarina Yelena Isinbayeva, che il 29 luglio 2007 nell’asta si issò sino a 5.04, suo ventitreesimo record: avrebbe fatto meglio di un centimetro l’estate successiva ai Giochi Olimpici di Pechino, e nessuna nella specialità sarebbe più andata oltre quella quota. Quattro dei sei record del mezzofondo stabiliti alla Corte del Principe sono tuttora in vigore: a realizzarli le kenyane Beatrice Chepkoech e Faith Kipyegon , l’ugandese Jopshua Cheptegei e l’australiana Jessica Hull . Sempre nel mezzofondo vicinissimo al primato andò Asbel Kiprop, kenyano dalle gambe chilometriche, che il 17 luglio 2015 finì ad appena 69 centesimi dal limite di Hicham El Guerrouj, quel 3’26” netti che ormai resiste dal 1998. Il favoloso marocchino lo realizzò a Roma, città che lo esaltava: l’anno seguente all’Olimpico fece pure il record del miglio, anche questo tuttora imbattuto. A proposito di Italia, i 15 chilometri scarsi dal nostro confine rendono Montecarlo una sorta di meeting di casa: almeno la metà dei 20000 spettatori del Louis II sono nostri connazionali, recentemente premiati dai risultati degli azzurri. Larissa Iapichino, il 21 luglio 2023, festeggiò i 21 anni compiuti da tre giorni con una splendida vittoria, saltando 6.95 nel lungo. Due stagioni prima Marcell Jacobs era finito terzo nei 100 metri alle spalle dell’americano Ronnie Baker e del sudafricano Akani Simbine, e il 9.99 fece presagire che alle Olimpiadi di Tokyo sarebbero accadute cose straordinariamente importanti. Quello che poteva essere anche per Gimbo Tamberi nel 2016, alla vigilia delle Olimpiadi di Rio. In pedana il fato decise di fondere nel giro di pochi minuti l’estasi e dramma: il marchigiano volò a 2.39, ancora oggi primato italiano, vincendo la gara e proponendosi come logico favorito per le Olimpiadi. Pensò fosse la sua notte, chiese i 2.41 dove, al primo saltò, la caviglia destra si disintegrò. Rio non sarebbe stata la sua Olimpiade. Tamberi dovette attendere Tokyo, il meraviglioso oro condiviso con il grande amico Mutaz Barshim. Si era dimostrato più forte persino del destino che a Montecarlo gli aveva bruciato le ali.

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Nicola Roggero