Basket, perché la Nazionale italiana non vince da oltre 20 anni

28 agosto 2004, Atene: l’Italia del basket sale sul podio olimpico per ricevere una fantastica medaglia d’argento come racconta il bellissimo Speciale di Sky Sport “Argento Vivo”, a cura di Francesco Bonfardeci e Alessandro Mamoli. Sono passati vent’anni; eppure, di quella grande impresa resta solo il ricordo. Il nostro basket non solo non ha saputo ripetersi ma ha avvicinato una volta sola quel grande risultato, nel 2022, quando la Nazionale di Gianmarco Pozzecco è stata a un tiro libero dalla semifinale degli Europei. Inutile stare a rivangare il pur colpevole lassismo del nostro basket, incapace di sfruttare a livello mediatico l’argento di Atene; meglio cercare i motivi di questa mancanza di risultati per una disciplina considerata il secondo sport di squadra del nostro Paese. Impresa non semplice ma ci si può provare, isolando almeno i motivi principali: mancanza di talenti, a parte qualche eccezione frutto però più del caso che di una specifica strutturazione che ha saputo darsi il sistema. I nostri settori giovanili sono, nella maggior parte dei casi, trascurati, lasciati alla buona volontà di dirigenti e allenatori, sicuramente preziosi e ammirevoli, ma spesso arrivati in quel ruolo senza la necessaria formazione e preparazione; le squadre di club non riescono a creare quel clamoroso senso di identità che, per esempio, in Spagna è palpabile. Da qui, e non da regole proibizionistiche più nocive che altro, nasce la volontà di dare spazio a giocatori spagnoli, meglio ancora se della città in cui quella squadra gioca. Questo spazio porta il singolo giocatore a formarsi più velocemente e a diventare quanto meno di livello medio per l’Eurolega. Si crea un circolo virtuoso per cui il giocatore lotta per conquistarsi il posto e non si accontenta di essere semplicemente uno dei dodici. Per fare un esempio: Giordano Bortolani non vale in assoluto uno come Xabi Lopez Arostegui? Eppure, il secondo ha già vinto un Europeo e l’anno scorso ha giocato 17 minuti di media in Eurolega, Bortolani ha appena annusato il campo sia in nazionale che con il club; poca coerenza ad alto livello. Dal 2004 in poi, dopo Carlo Recalcati, alla guida della nostra nazionale si sono succeduti Simone Pianigiani, Ettore Messina, Meo Sacchetti e Gianmarco Pozzecco. Tutto sommato ogni gestione ha avuto tempo sufficiente per costruire qualcosa: il problema sono state le nazionali giovanili, praticamente ogni anno affidate a coach diversi, a seconda della volontà dei vari dirigenti che si sono alternati alla guida del settore squadre nazionali. In Spagna non funziona così: il sistema è piramidale e il vertice è Sergio Scariolo con la sua prima squadra. Ogni nazionale giovanile segue un progetto, coordinato dallo stesso Scariolo, a lunga scadenza, che possa preparare i giocatori, già a livello Under 16, alle categorie superiori e poi, eventualmente, a quella maggiore. E i risultati, sia a livello senior che a livello giovanile, in questi ultimi quindici anni almeno, si sono visti. Ovviamente, non ci si può fermare qui. Di sicuro, però, non si è mai voluto studiare a fondo un problema che già di suo è di difficile soluzione; anche perché tutto è reso più complicato dal caso, l’imponderabile che governa le manifestazioni per le Nazionali. Ad Europei, Mondiali o eventualmente Olimpiadi, bisogna arrivare in forma, con tutti i giocatori sani, senza infortuni; bisogna avere fortuna nel sorteggio, nelle partite senza domani nelle quali basta un libero sbagliato, un fischio contro, una palla che entra o esce per decidere un biennio di lavoro, se non addirittura un quadriennio. Il tutto in un mondo, quello delle nazionali di basket, governato anche dall’abitudine, al limite della legalità, di colmare i buchi tecnici in certi ruoli con passaporti regalati come se fossero tessere del supermercato. La Spagna, che comunque continua a costruire giocatori, ha vinto un Europeo con Lorenzo Brown protagonista, la Slovenia lo ha fatto cinque anni prima con Anthony Randolph a dare una mano a Doncic e Dragic. Non è una cosa da poco: il caso, la fortuna sono presumibilmente i principali elementi che negli ultimi anni hanno deciso le grandi manifestazioni FIBA. Questo aspetto di sicuro non è controllabile, anzi. Ce ne sono altri, però, su cui si può lavorare, progettare, darsi obiettivi anche a lunga scadenza, per costruire una base, solida, virtuosa sulla quale poi la fortuna e il caso potranno fare il loro corso.