A ciascuno il suo tetto: l'Eurolega vara il salary cap, le differenze con l'NBA

Forse lo avete letto, e se non lo avete già fatto questa è l’occasione per farlo: con un comunicato stampa che ha stabilito il record mondiale di acronimi per riga, Euroleague ha annunciato il varo dei CBS, Competitive Balance Standards. Quel comunicato ha definito la misura “inedita nello sport europeo”, nella misura in cui aggancia il livello di remunerazione dei giocatori alla performance economica collettiva delle squadre della lega. Il concetto che è passato è: anche il basket europeo ha il suo tetto salariale, strumento che dal 1984 è in vigore nella NBA . Stabiliamo subito che oggetto di questo lavoro non può essere la definizione di cosa sia nel dettaglio il salary cap NBA, il cui funzionamento è descritto in un documento di 560 pagine più appendici. E nemmeno c’è lo spazio per entrare nel dettaglio del ‘cugino’ europeo, le cui regole peraltro non sono ancora state pienamente definite . A prima vista, ambedue gli strumenti sembrano voler porre un freno alle ‘spese pazze’ per i giocatori, garantendo per questa via la profittabilità dei club e della lega. Il comunicato di Eurolega parla infatti di “promuovere la sostenibilità e l’equilibrio competitivo stabilendo livelli di spesa per i giocatori uguali per tutte le squadre della competizione basati sui ricavi collettivi generati”. Ed è su questo aspetto che ci concentriamo. Come ho provato a dettagliare in un podcast, il salary cap non nasce affatto come strumento di contenimento dei costi. Il principio che non si possono impiegare strutturalmente per la forza lavoro risorse superiori o molto superiori ai ricavi generati, o comunque alla differenza tra questi ultimi e i costi di funzionamento, non può essere ostico per imprenditori del livello di quelli che operano nello sport europeo di primo piano. Se davvero costoro non fossero in grado di recepire e applicare questo concetto senza una norma che li sanziona in caso di violazione, dovremmo trarre delle conclusioni irrispettose della loro grande cultura manageriale. Il senso di quello che fa l’NBA, ridotto all’osso, è: in una lega che ha entrate centralizzate, allineo tutti i membri alla medesima possibilità e al medesimo dovere di spesa, in modo da produrre da una parte uno spettacolo di alto livello e dall’altra quel ‘competitive balance’ che è il pilastro della commerciabilità del mio prodotto . Spiegato in estrema sintesi: fatti 100 i ricavi centralizzati, ai giocatori va come minimo 45 , come massimo 50. In più altri meccanismi tendono a riequilibrare il lotto delle squadre. Non aiutando i ‘poveri’ , ma dando la possibilità a chi opera in un mercato più piccolo di competere con chi lavora in uno più grande. Versione Eurolega: fatta 100 la media dei ricavi commerciali delle squadre, ai giocatori va minimo 32, massimo 60. Chi vuole sforare, paga una tassa di lusso, ridistribuita sul modello di quella NBA tra chi è sotto il livello richiesto. Non credo che sia necessario sottolineare le differenze tra i due strumenti, soprattutto nelle premesse: tra i ricavi centralizzati divisi in parti uguali e la media di ricavi al momento assai difformi da club a club c’è la stessa differenza che passa tra me e Brad Pitt in senso estetico. Ciò detto, è giusto ricordare che il tetto salariale NBA si è evoluto nel tempo, adattandosi alle condizioni endogene ed esogene del business. I CBS possono quindi essere il primo gradino non già verso la profittabilità, che non dipende affatto dall’adozione di un tetto salariale, ma verso un torneo più equilibrato e trasparente, a tutto vantaggio degli stakeholder. Come sappiamo, ogni lungo viaggio comincia con un piccolo passo.