Osvaldo: "In campo ero il migliore, ma cominciavo a odiare il calcio. Le liti con Mancini e Lamela..."
CalcioA 30 anni ha detto basta e ha fondato una band, i Barrio Viejo. E in questa intervista alla Gazzetta dello Sport, ripercorre la sua carriera: "A Roma uno dei periodi più belli, De Rossi è un fratello. Conte il migliore. Non ero un vero professionista? No, semplicemente avevo altri interessi..."
Personaggio sui generis come pochi, come dimostra il fatto che abbia smesso di giocare a calcio a soli 30 anni. “Perché il calcio non era più il mio mondo, stavo cominciando ad odiarlo dopo averlo amato a lungo”. Coraggioso e… sincero: Daniel Pablo Osvaldo, ex attaccante – tra le altre – di Fiorentina, Roma e Juve, nonché della Nazionale. Adesso, come racconta alla Gazzetta dello Sport, nella sua vita c’è spazio solo per la sua grande passione: la musica. Con tanto di band formata con gli amici, i Barrio Viejo. Eppure, le offerte non gli mancavano: “Mi hanno cercato alcuni club europei e dalla Cina, ma ormai avevo staccato. Ai soldi preferisco l’asado e una buona birra, perché non esiste giocare solo per denaro: avrebbe significato tradire il calcio e non avrei mai potuto. Ho deciso di smettere al Boca, non ce la facevo più: per il troppo gossip non potevo più uscire di casa”.
L'esperienza di Roma e l'esclusione da Brasile 2014
L’accusa alla quale Osvaldo ha dovuto più spesso rispondere, durante la sua carriera, è stata quella di non essere un vero professionista: “Mi sono sempre allenato al top, la gente parlava solo per la mia stravaganza. Di certo non ero come Ronaldo, che dopo gli allenamenti torna a casa e fa palestra: mi bastava il talento. In campo ero il migliore, ma al 90’ per me finiva tutto. Questo però non vuol dire nulla: avevo semplicemente altri interessi, la sera uscivo e questo lo pagai”. Il prezzo, forse, fu l’esclusione dai Mondiali del 2014: “Prandelli mi escluse dopo i gol segnati nelle qualificazioni, ascoltò i giornali e la gente che non volevano l’argentino con la maglia n.10. Così convocò Cassano… ma non ho nulla contro Antonio. Qualcosa di cui mi pento? Forse a Roma avrei dovuto gestire meglio alcuni momenti, ma lì la gente è malata di calcio, se non baci la maglia ti insultano dimenticandosi dei 28 gol in due anni”.
Le liti con Mancini e Lamela, l'uomo maturo di oggi
“Il calcio non mi manca, sono sincero. Ma soltanto oggi capisco la fortuna che ho avuto nel giocare con campioni come Totti, De Rossi, Pirlo e Buffon”. Con altri colleghi, invece, non sempre è andato tutto liscio. “Con Lamela ho fatto pace, è un ragazzo d’oro. Con Icardi solo un ‘vaffa’, lui è fortissimo. Mancini? Gli tirai un cazzotto dopo uno Juve-Inter nel 2015. Gli dissi: ‘Vuoi fare a botte?’. Poi però andari nel suo ufficio piangendo per la vergogna. Ha un bel carattere, è un grande”. Infine, una carrellata: “Conte il miglior allenatore che abbia mai avuto, ti catturava con il suo modo di fare. De Rossi un fratello, un vero amico per me; Totti? Giù il cappello, ha fatto la storia del calcio mondiale e… fa ridere! È un ragazzo eccezionale. A Roma e all’Espanyol ho passato i momenti più belli della mia carriera”. Una carriera che oggi è già ricordo: “Oggi sono un uomo maturo e presente per i miei figli. Mi impazziscono quando mi vedono: se mi dicessero di voler giocare a calcio gli direi di divertirsi e di evitare le persone cattive e lo sporco che lo circonda”.