Anche io ero parte della 'festa'. Quando calcio e poesia si incontrano

Il portiere caduto alla difesa ultima vana, contro terra cela la faccia, a non veder l’amara luce. Il compagno in ginocchio che l’induce con parole e con mano, a rilevarsi, scopre pieni di lacrime i suoi occhi. La folla - unita ebrezza - par trabocchi nel campo. Intorno al vincitore stanno, al suo collo si gettano i fratelli. Pochi momenti come questo belli, a quanti l’odio consuma e l’amore, è dato, sotto il cielo, di vedere. Presso la rete inviolata il portiere - l’altro - è rimasto. Ma non la sua anima, con la persona vi è rimasta sola. La sua gioia si fa una capriola, si fa baci che manda di lontano. Della festa - egli dice - anch’io son parte. Ricordo nitidamente il giorno in cui lessi per la prima volta a scuola questa poesia. Ero solo un ragazzo, ma già appassionato al ruolo del portiere. Mi chiedevo se quelle emozioni attribuite da Saba al portiere fossero reali. Se davvero ci si potesse sentire soli in una ‘festa’ così grande come una partita di calcio. Da portiere professionista sono poi riuscito a capirlo. E oggi, nel giorno in cui ricordiamo la scomparsa di Umberto Saba, vorrei raccontarvi cosa ho ‘scoperto’. Il portiere caduto alla difesa ultima vana, contro terra cela la faccia, a non veder l’amara luce. Di una cosa sono certo: la reazione a un gol subìto non era sempre uguale. Dipendeva dall’importanza del gol, dall’importanza dalla partita e anche da quanta ‘colpa’ avessi. Però ogni gol subìto aveva qualcosa in comune con tutti gli altri. In fondo, dopo ogni rete subita, sentivo sempre di aver deluso chi credeva in me. I miei compagni, il mio allenatore, i tifosi. È un momento brutto. Molto brutto. E anche frustrante dal punto di vista interiore. Non è facile rialzarsi e guardare i propri compagni, che anche nella situazione più difficile sperano sempre che tu – il portiere – possa fare il ‘miracolo’ e parare l’imparabile. In carriera ho giocato con compagni che capivano il momento e non infierivano. Ma c’è stato anche qualcuno che questa sua delusione non la celava e chiaramente non era d’aiuto. Il compagno in ginocchio che l’induce con parole e con mano, a rilevarsi, scopre pieni di lacrime i suoi occhi. Ho ricevuto tante volte un incoraggiamento da parte di uno o più compagni, che ci tenevano a far sapere quanto credessero in me anche dopo un errore. Personalmente, però, non l’ho sempre apprezzato. Per come sono, per come vivevo le partite, preferivo non essere consolato e che non mi venisse detto nulla dopo un errore. Un compagno che ti consola ti mette di fronte a delle responsabilità che tu a volte vorresti non avere o non riconoscere. Già sapevo di aver sbagliato, un incoraggiamento mi mortificava ulteriormente. La folla - unita ebrezza - par trabocchi nel campo. Intorno al vincitore stanno, al suo collo si gettano i fratelli. Pochi momenti come questo belli, a quanti l’odio consuma e l’amore, è dato, sotto il cielo, di vedere. Presso la rete inviolata il portiere - l’altro - è rimasto. Ma non la sua anima, con la persona vi è rimasta sola. Per come sono, per il mio carattere, non ho mai fatto una corsa di 60 metri per andare ad abbracciare il compagno che aveva appena segnato. Forse anche un po’ per scaramanzia, perché c’è sempre un dopo e preferivo restare concentrato sui miei compiti e sui miei doveri. Devo ammettere, però, che quello che racconta Saba è verissimo. In quei momenti vorresti condividere e prendere un po’ della gioia degli altri. Tu invece sei lì da solo. Avverti quel filo di solitudine a cui sei costretto per quella distanza fisica che c’è tra te e i tuoi compagni. Un gol segnato era sempre un momento felice e una gioia intensa, però un po’ mi mancava la possibilità di poterlo esprimere. La sua gioia si fa una capriola, si fa baci che manda di lontano. Della festa - egli dice - anch’io son parte. Mi sono sempre sempre sentito parte della ‘festa’, della gioia di un gol e di una vittoria. Non facevo capriole e neanche mandavo baci, ma sentivo una forte felicità dentro di me. Ricordo un derby pareggiato nel finale grazie a un gol di Di Mauro. Non è stata una vittoria, ma c’è stata un’esplosione di felicità pazzesca da parte di tutti i nostri tifosi di cui mi sono sentito profondamente parte. Di esempi ne potrei farne tanti altri. Ma quello che mi ha colpito è che quel tipo di sensazioni non sono più riuscito a provarle una volta smesso di giocare. L’intensità delle emozioni vissute dopo una grande parata, un gol o una vittoria sono sensazioni che non si riescono a rivivere fuori dallo sport. Nella vita si possono vivere tante gioie, anche più profonde e durature, ma l’intensità di quel momento non l’ho più vissuto. In generale, per tornare alla poesia, mi sono sempre molto calato nello stato d’animo che il poeta descrive. Per la mia esperienza, Saba ha raccontato il ruolo del portiere in maniera semplice e veritiera. Se dovessi provare a fare il contrario e quindi raccontare la poesia attraverso una parata mi viene in mente quella di Zoff sul colpo di testa di Oscar in Italia-Brasile del Mondiale ‘82. Una parata tanto bella e difficile quanto importante e decisiva. Una parata che è poesia.