Il click di Flick: come ha cambiato il Barcellona

È strana la vita degli allenatori. Spesso si dice che sia il lavoro più ingrato del mondo del calcio, e probabilmente non si sbaglia, perché appena qualcosa va male la prima testa a rotolare è sempre quella di chi sta in panchina. Però dal lato opposto, anche se molto meno frequentemente, c'è anche la possibilità di costruirsi un credito immediato, perché se qualcosa che andava malissimo fino a poco prima improvvisamente diventa incredibilmente bello allora è automatico pensare che il merito sia tutto del cambio di guida tecnica. Le cose non sono mai così estreme, però oggi, dopo un Clasico stravinto, la convinzione generale in giro per l'Europa è che il Barcellona sia risorto grazie all'arrivo di Hansi Flick. Il che non è poi così lontano dalla realtà...come ha fatto il tedesco a operare una guarigione così miracolosa in così poco tempo? Non ha raso al suolo per ricostruire. Non ha nemmeno cambiato tutto per impostare qualcosa di nuovo. Ha avuto l'intelligenza di prendere quanto c'era di buono e di aggiungerci quel paio di cose che hanno di fatto cambiato tutto. Detta così sembra fin troppo semplice...ma a volte, la chiave del genio è proprio la semplicità. L'ingrediente segreto Va resa anche un po' di giustizia a Xavi Hernandez, la leggenda che è finita tritata da quel caos istituzionale e dirigenziale che è oggi il Futbol Cub Barcelona. Non tutto ciò che ha fatto il catalano è stato da buttare, anzi probabilmente aveva individuato la mappa sulla quale muoversi: riportare il Barça ad essere dominante dentro al campo attraverso una particolare forma di stile che fondesse i princîpi storici del cruijffismo con i dettami richiesti dal calcio di questo tempo. Xavi è però rimasto imbrigliato in un limbo poi diventato infernale perché ha commesso un gravissimo errore: pensare che il modus vivendi scanzonato e non particolarmente disciplinato che ha caratterizzato alcune delle stagioni dorate della storia barcellonista potesse essere applicato anche ai giocatori di oggi e alle dinamiche odierne. Impossibile. E questa è la prima cosa che ha cambiato Flick appena è sbarcato nella Ciudad Condal: ha imposto una sorta di legge calcistica marziale, ha aumentato immediatamente durata, frequenza e sostanza degli allenamenti. Questo è il vero motore del cambiamento, prima ancora delle scelte tattiche e di uomini: Hansi Flick ha messo un'iniezione fortissima di intensità al Barcellona. Ed era la cosa più importante che mancava a quello del suo predecessore. Poi è stato sensazionale nel convincere tutti che aumentare il livello di impegno avrebbe portato ognuno a moltiplicare immediatamente il proprio rendimento, dai ragazzi di una cantera sempre in grado di fornire sangue blu anche nei momenti di profondo rosso, fino a veterani come Lewandowski e Raphinha che sono tornati su livelli magnificenti. Non basta sicuramente questo per ritrovarsi a fine ottobre reduce da quattro schiaffi rifilati prima al Bayern e poi al Madrid, con sei punti di vantaggio sui campioni in carica in Liga e anche con il miglior attacco dell'Europa dei grandi, capace di segnare 37 reti in undici giornate di campionato. Però anche le analisi statistiche fornite da Math&Sport evidenziano come l'innalzamento dell'intensità sia il basamento su cui si è costruita una crescita impressionante, sia in termini di presenza e durata della prestazione di squadra all'interno della partita , sia in termini di qualità ritrovata da parte delle grandi firme . Come gioca il Barcellona di Flick? Questa spinta energizzante impressa dal nuovo staff tecnico alla squadra si traduce poi nella ricerca di calcio sì dominante, ma soprattutto vertiginoso e molto coraggioso. Perché se hai benzina e ti senti forte, puoi aumentare la velocità e prenderti il rischio di qualche derapata...in una sorta di 4-2-3-1 che però sarebbe estremamente riduttivo racchiudere in una formuletta numerica, il baricentro è innalzato al massimo, gli esterni stanno altissimi , mentre i giocatori più interni si abbassano, in primis il trequarti ma anche il centravanti Lewandowski, che da questa possibilità di essere non solo goleador implacabile ma anche brillante fattore tecnico trae evidente esaltazione. Così facendo, si forma un centrocampo folto e romboidale che permette ai primi costruttori di trovare sempre soluzioni di impostazione, e in generale alla squadra di creare continuamente spazi a disposizione degli attacchi degli esterni. Il modo di gestire la palla è verticale ma con la giusta pazienza: il possesso medio assestato al 66% conferma che lo stile di dominio del gioco rimane inderogabile. Poi però quello che fa la differenza è, appunto, l'aggressività, che permette di mantenere sempre l'avversario sotto pressione e alla linea difensiva di poter anche piantare le tende a metacampo senza risultare scriteriata. La dimostrazione di come il Barcellona abbia vinto il Clasico grazie all'intensità In questo senso, un indicatore come sempre affidabile è il cosiddetto PPDA, ovvero il dato che comunica quanti passaggi concedi mediamente all'avversario prima di recuperare palla. Il Barcellona di Flick nel Clasico ha fatto registrare un PPDA pari a 6, il che rappresenta un record impressionante nel calcio europeo: tanto per portare degli esempi che aiutino a comprendere la portata di questo riscontro, sappiate che Inter e Juve nel loro scontro diretto hanno avuto rispettivamente 16 e 15, l'Arsenal nel big-match di domenica 12, solo il Liverpool con 8 si è avvicinato al rendimento del Barcellona, ma è comunque un 33% in più! Con questa riaggressione feroce e coordinata, il Real Madrid è stato costretto a cercare stabilmente il lancio lungo e il gioco diretto, il che probabilmente faceva anche parte del piano ideale di Carlo Ancelotti, che in uno scenario del genere – avendo a disposizione due frecce avvelenate come Vinicius e Mbappé – poteva pensare di pasteggiare serenamente, se non fosse che la linea estremizzata verso l'alto ma anche perfettamente coordinata dei blaugrana ha fatto sì che i madridisti finissero in offside ben sette volte nei primi trentacinque minuti di gara, dodici in totale nell'intera partita. Una lezione, quella dell'utilizzo feroce della cosiddetta trappola del fuorigioco, che al Bernabeu diede già il Milan di Sacchi nella serata che certificò l'avvento storico del gioco di posizione poi immortalato da Guardiola e sodali. Perché salire sul palcoscenico più terrorizzante del continente scegliendo di proiettarsi in avanti è un rischio enorme, ma se accompagnato da strategia, lavoro fatto sul campo in settimana, condivisione fideistica dell'idea e capacità tattiche individuali da parte degli interpreti, può probabilmente essere l'unico, grande modo per rubare la scena ai protagonisti designati. Nel primo tempo c'è stato qualche scompenso, nel secondo invece non c'è stata partita. Ed è finita 0-4. Perché? Perché il Barcellona è stato più intenso e più duraturo del Real Madrid. Cosa che l'anno scorso, ma neanche in quelli precedenti, sarebbe mai potuta succedere, anzi...E' stato un trionfo, la cui portata può addirittura ergerlo a manifesto di cosa si proponga di essere il Barcellona di Flick: come sempre avanguardia artistica, perché da quelle parti non si può fare diversamente, ma con un'anima di ferro e un'identità fondata sull'intensità, ovvero il principale fattore in grado di fare la differenza nel calcio di oggi. Quello che ti permette di vivere serate così. Infatti, dalle voci emerse nel post-partita del Bernebeu, pare che nessuno si sia lamentato del fatto che l'allenatore non abbia acconsentito alla richiesta dei giocatori di avere un giorno in più di riposo come premio per l'impresa. Perché Flick ha portato l'interruttore che ha fatto fare click al Barça, ma per tornare ad illuminare tutto e tutti, c'è bisogno di avere sempre tanta corrente elettrica.