L'eterno confronto con Cristiano Ronaldo e Maradona, la pressione di dover trascinare l'Argentina: le prestazioni in Russia sono destinate a spostare i giudizi su Messi
Impossibile non chiedersi se Messi, ieri, abbia visto la partita d’esordio di Cristiano Ronaldo, e in caso cosa abbia pensato. L’ha vista con tutta la Nazionale attorno alla tv nella sala dell’albergo, o da solo in stanza, magari con l’amico fraterno Agüero, cercando di dare un senso alla prestazione dell’eterno rivale? Chissà cos’ha pensato quando Cristiano ha piegato il mondo circostante al suo volere, segnando una tripletta alla Spagna con un’esultanza che è sembrata finalmente (stranamente) genuina.
Dopo il terzo gol CR7 è sembrato liberato dal peso della responsabilità che la Nazionale portoghese gli mette sulle spalle, una sensazione che Messi ha avuto il diritto di provare raramente con l’Argentina. Chissà se Messi si è chiesto in che modo le prestazioni di Cristiano avranno delle conseguenze sulle sue. O meglio, su quello che ci si aspetta da lui.
Se Cristiano ha già ampiamente superato ogni leggenda lusitana del passato (Eusebio è troppo lontano, troppo poco influente agli occhi dei contemporanei), le nubi che si sono addensate attorno a Messi dopo le tre sconfitte consecutive tra Mondiali 2014 e Coppe America hanno tutte il viso del più grande prima di lui: Diego Armando Maradona. Poco importa arrivare ai supplementari in finale, due volte ai rigori, forse il peso su Messi è così grande proprio perché è arrivato così vicino alla coppa.
A Messi è stato tolto il diritto di esultare liberamente anche nei momenti più luminosi della sua recente carriera in Nazionale. Come quando ha segnato il gol vittoria all’ultimo minuto contro l’Iran nello scorso Mondiale, con la palla infilata in porta da 25 metri. O quando ha preso sulle spalle un’Argentina sull’orlo del baratro, nella notte di Quito dello scorso ottobre, e con la sua tripletta contro l’Ecuador l’ha fatta arrivare in Russia. All’ultima partita, con gli avversari sopra di un gol, Messi ha giocato come tutta l’Argentina aveva sperato giocasse: il giorno dopo per la prima volta da anni non era più “il catalano”, ma il messia che era stato aspettato per così tanto tempo.
Ci sono giocatori che con la carriera di Messi ai Mondiali sarebbero più che soddisfatti: 15 partite nei 3 giocati finora, 11 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte; e ancora 5 gol, 5 assist e 3 hockey pass (il passaggio che porta ad un assist). Due quarti di finale e una finale raggiunti.
Risultati migliori di Cristiano Ronaldo, Platini, Di Stefano, van Basten e all’altezza di Cruyff e Baggio solo per fare dei nomi. Ma Messi è qualcosa di diverso, persino rispetto ai giocatori appena citato, e tutto questo, evidentemente, non è abbastanza.
Da ragazzo prodigio a salvatore della patria
Il primo Mondiale, Messi l’ha giocato come ragazzo prodigio. Aveva diciannove anni e, per quanto talento avesse, non era stato ancora caricato delle responsabilità del campione. Il quarto di finale del 2006 con la Germania lo passa tutto in panchina, a vedere la sua squadra perdere ai rigori. Esce Riquelme ed entra Cambiasso, esce Crespo ed entra Julio Cruz. Non è ancora il suo tempo, deve aver pensato il CT Pekerman. Chissà se oggi rimpiange quella decisione.
Dopo il 2006, però, ci sono stati i due Mondiali giocati con la responsabilità di fare almeno quanto Maradona (per assurda che possa sembrare come pretesa, a mente fredda). Innanzitutto quello del 2010, con Maradona in carne e ossa in panchina, a ricordargli l’ideale irraggiungibile. Il rapporto tra le due leggende argentine paradossalmente ha aiutato tantissimo Messi: Maradona l’ha messo al centro del progetto e si è preso tutte le luci dell’attenzione mediatica, lasciandolo libero di lavorare e migliorare. Ad esempio, sembra che Messi abbia iniziato a calciare le punizioni in maniera divina dopo i consigli di Maradona in Nazionale.
Certo, Maradona è stato un allenatore meno eccellente dal punto di vista tattico, non il suo punto forte: quella Argentina era una squadra dal calcio offensivo quanto semplice, con il rombo a centrocampo che metteva Messi da enganche e faceva passare dai suoi piedi tutta la manovra offensiva. Una volta recuperata palla, veniva subito passata a Messi, che doveva trovare il modo di mettere in porta Tevez o Higuain. Non c’erano giocate prestabilite, doveva essere il talento di Messi a trovare il modo di arrivare in porta. E il talento di Messi era bastato per superare in scioltezza il girone e gli ottavi contro il Messico, ma era stato spazzato via dalla Germania super-organizzata di Löw.
La stessa Germania di Löw che quattro anni dopo, nel 2014, in Brasile, batte con un gol ai supplementari l’Argentina difensiva di Sabella. L’idea, però, era sempre la stessa: a risolvere le partite ci doveva pensare Messi. Ma se prima il problema era l’organizzazione delle fasi di gioco, ora viene curata a puntino quella difensiva (con due linee compatte dietro a Messi e Higuain) e si elabora troppo poco quella offensiva.
Messi era un enganche con Maradona ed è una seconda punta con Sabella, resta il fatto che il 10 deve sempre venire incontro a prendersi la palla e a trovare un modo per farla arrivare in area. Senza meccanismi offensivi, il talento di Messi arriva fino a un passo dalla Coppa.
Messi, oggi
La sfida di Sampaoli è proprio quella di dotare per la prima volta Messi di una squadra con meccanismi sia difensivi che offensivi. L’Argentina arriva al Mondiale con un allenatore fissato con l’organizzazione tattica della propria squadra ai limiti dell’ossessione. Sampaoli cura tutte le fasi in egual misura e vuole che ogni giocatore sappia cosa deve fare dal primo all’ultimo minuto che è in campo.
Il CT dell’Argentina è partito dall’idea di mettere intorno a Messi tutta una serie di giocatori funzionali, cercando di costruire una squadra che potesse metterlo nelle condizioni migliori per potersi esprimere al massimo.
Questa era all’incirca la stessa idea alla base dell’Argentina dell’86, quella ricordata ingiustamente come un assolo di Maradona, e che invece Bilardo aveva costruito come un sistema che potesse esaltare Maradona perché gli chiedeva proprio quello che sapeva fare meglio: superare l’uomo in marcatura stretta e dare l’ultimo passaggio.
Questa è anche l’ambizione di Sampaoli, non fare di Messi il giocatore che deve trascinare il sistema a base di invenzioni personali, ma che possa trovare sempre qualcuno accanto a cui associarsi. Per questo ha deciso di puntare su giocatori specializzati, penalizzando invece quelli di puro talento: è questo il motivo che lo porta a mettere Dybala in panchina, e Meza e Di Maria in campo.
Giocatori che danno al talento di Messi quello che serve in quelle zona di campo: come Biglia dietro di lui per i passaggi taglia-linee; come Salvio e Tagliafico, due terzini molto offensivi e quindi in grado di dare sempre la possibilità a Messi di cambiare gioco sul lato debole. Come Agüero davanti per i movimenti in profondità.
Se quello del 2010 era il primo Mondiale di Messi come pretendente al trono di migliore al mondo, e quello 2014 il Mondiale di Messi come il migliore al mondo, Sampaoli vuole che questo del 2018 sia il Mondiale di Messi come pretendente al trono di migliore della Storia.
Alla vigilia dell’esordio al Mondiale, tutta la Nazionale argentina posa per la foto di presentazione alla partita.
Perché anche se Maradona ha vinto meno di un decimo di Messi con i club, quel Mondiale dell’86 è il gold standard per ogni giocatore che veste la 10 dell’Argentina. Se si ha il talento per essere il nuovo Maradona allora si viene giudicati in rapporto a quelle prestazioni: che ti chiami Aimar, Ortega, Riquelme o Gallardo. Figuriamoci allora se si ha il talento e la carriera alle spalle per poter stare anche sopra a Maradona. Gli infortuni in ritiro, l’ambiente tossico creato dai media nazionali, la pressione dei tifosi, poco importa.
Sembra passata una vita da quando Messi era il “pecho frio”, letteralmente il cuore freddo, da contrapporre al giocatore del popolo Tevez. Ora tutta l’Argentina riconosce a Messi i meriti di aver trascinato l’Argentina ai Mondiali, il ruolo di leader indiscusso. Un suo grande Mondiale è visto come l’unica vera possibilità di alzare la Coppa.
Messi, per continuità di rendimento, oggi è già un giocatore superiore a Maradona. Esprime i propri picchi di talento più a lungo e per quanto sia strano che 7 partite nell’arco di un mese possano decidere la legacy del miglior giocatore del mondo - che viene dall’aver polverizzato ogni record precedente in un decennio di dominio nella Liga: 7 titoli negli ultimi 10 anni, dov’è il miglior marcatore di ogni epoca e il miglior assist man di ogni epoca; e alzato 4 Champions League, contro le 6 presenze totali in 3 turni di 2 edizioni per Maradona nella competizione per club più importante - siamo ormai abituati ad accettare la cosa come parte integrante della sua narrazione.
Poco importa quanto vinto con il Barcellona, agli occhi dei tifosi argentini, che Messi sia il più forte del Mondo con la sua squadra di club è un’opinione più o meno condivisa e pacificata (e se si vuole fare il paragone con Cristiano, in ogni caso lo si fa a mille miglia di distanza da qualsiasi altro giocatore). Poco importa però quello che ha fatto con la sua squadra, perché l’essere nato nello stesso posto di Maradona fa sì che fin quando non sei riuscito a eguagliarne i risultati non puoi prenderne il posto nel Pantheon. Le Nazionali hanno ancora questo ruolo nella mente dei tifosi di calcio, i titoli con il Barcellona sono di Messi e fanno felici i tifosi del Barcellona, ma la vittoria della Coppa del Mondo, quella, sarebbe per gli argentini e per la Storia.