Quando per una settimana il Carlisle United si travestì da Manchester City

"La più grande impresa nella storia del calcio". Bill Shankly amava le frasi forti e si era presto reso conto di poterle pronunciare senza dover pagare dazio, nemmeno quando esagerava. Quella volta però lo storico allenatore del Liverpool aveva forse ragione: mai, a memoria sua, era successo che una squadra così improbabile come il Carlisle United arrivasse nella massima serie inglese e fosse addirittura in testa alla classifica. Era accaduto nell’arco di neanche quattro mesi, in quel 1974 che rimane un anno importantissimo nella storia del calcio britannico: prima la promozione dalla Second Division poi, nella settimana tra 17 e 24 agosto , le tre vittorie consecutive e il primato, nell’incredulità generale verso quel club di una città che molti avrebbero faticato a trovare su una mappa, una città di cui ancora negli anni Sessanta si diceva che non fosse stata sfiorata dal progresso. Carlisle è una località difficile, del resto, e al tempo stesso facile. Situata nella contea del Cumbria, che comprende la suggestiva regione del Lake District, è a soli 13 chilometri dal confine con la Scozia, a 41 dal villaggio di Lockerbie , a 118 dal luogo in cui sorgeva Glenbuck, centro minerario scozzese dove proprio Shankly nacque, e distante 450 da Londra. Ci passano i treni che partono dalla capitale e arrivano fino a Glasgow, e un tempo erano addirittura sette le compagnie ferroviarie che la utilizzavano come scalo importante. Per raggiungerla, dunque, non servono acrobazie logistiche. Ma bisogna volerci andare apposta e considerare la lunghezza del viaggio, bisogna mettersi in testa di volersi fermare ed esplorarla, e ne vale la pena per via dei segni moderni di un antico valore. Abitata da prima dell’arrivo dei Romani, che la rifondarono come Luguvalium, poi ribattezzata Caer-Ligualid e infine Caer-Luel, è stata spesso contesa tra Inghilterra e Scozia. Infatti è la città britannica messa più volte sotto assedio nel corso della storia, motivo per cui si è dotata di fortificazioni e perché oggi conserva un suggestivo castello, costruito a fine undicesimo secolo e secondo alcune interpretazioni addirittura ispiratore di Camelot, la leggendaria dimora dell’altrettanto leggendario Re Artù. C’è anche una cattedrale imponente, discretamente tenuta e accompagnata da un edificio nel quale è stata aperta una sala da té, deliziosamente piena di placide persone anche nei giorni in cui lo United scende in campo, dal lato opposto della città. Guai a giudicare dalle impressioni di una pur lunga passeggiata, ma la collocazione un po’ isolata, lontana dal degrado che dalle metropoli sta avvelenando di sporcizia il resto del Regno Unito qui non sembra ancora essere arrivata. Lo si vede dalla cura dei giardini e dei cortiletti di quasi tutte le case, anche in prossimità del centro, dal decoro e dalla gentilezza generale, dalla presenza di una libreria e di un negozio di dischi, vinili, annessi a caffé senza che compaia alcun simbolo commerciale dei soliti noti, pur senza dimenticare che anche qui, come ovunque, le serate dei fine settimana possono essere fin troppo vivaci. Eredità tenue di una situazione che durante la Rivoluzione Industriale andò oltre il drammatico: sede di alcune ditte di prodotti alimentari e tessili, Carlisle ad un certo punto fu dovette accogliere, senza essere in grado di farlo, migliaia di lavoratori, che crearono una situazione insostenibile dal punto di vista umanitario, stipati come erano in un numero insufficiente di abitazioni e in condizioni igieniche terrificanti, situazione peraltro abbastanza abituale all’epoca. Al contrario di quanto avvenne altrove, situazioni simili si ricrearono però nel corso della Prima Guerra Mondiale, quando in zona il governo decise di costruire un immenso complesso per la produzione di armi e soprattutto munizioni: l’afflusso di lavoratori fu così massiccio che si parla tuttora di The Invasion of Carlisle, e i livelli di ubriachezza molesta in città, causati anche dalle tante donne che lavoravano nelle fabbriche, furono tali che ad un certo punto lo Stato, fallite tutte le restrizioni, rilevò le licenze di 119 pub e quattro birrifici per imporre una diminuzione dei consumi. Insomma, una piccola città, cresciuta a fisarmonica fino a 55.000 abitanti, poi calata e risalita ancora, e ovviamente orgogliosa della sua squadra di calcio. Nata nel 1903, in ritardo rispetto a molte altre, cambiò nome in United nel 1904, scelse Brunton Park come sede dello stadio nel 1909 ma solo nel 1928 entrò nel primo campionato nazionale, l’allora girone nord della terza serie, trasformato poi nel 1958 nella quarta serie. Uscendone nel 1964, il Carlisle cominciò la rincorsa verso il momento descritto in quel modo da Shankly, che per la città e la squadra non era uno qualunque: sceso da Glenbuck con molte speranze ed altrettanti timori, Shankly a Carlisle aveva iniziato sia la carriera da giocatore sia quella da allenatore, scelto nel 1949 e subito protagonista della vita del club e dell’ambiente. Di Brunton Park, asimmetrico e raffazzonato già allora ma adorabilmente caratteristico, disse che pareva un pollaio, salvandone solo il terreno di gioco. Si liberò presto di molti giocatori, ritenuti ormai inutili. E, come avrebbe poi fatto nelle tappe successive, instaurò un rapporto speciale con i tifosi: prima della partita prendeva il microfono e iniziando con "This is your manager speaking" li aggiornava sulle scelte della formazione e rispondeva a quesiti emersi durante la settimana, come quella volta in cui, consapevole delle voci su un potenziale acquisto, disse: "Né il Carlisle United né Bill Shankly sono interessati a questo giocatore. Non è uno da Carlisle, gioca come se avesse i piedi legati assieme con un cordino". Shankly non portò il Carlisle alla promozione e andò via dopo tre stagioni, ma contribuì a diffondere il nome del club, grazie soprattutto al grande 0-0 sul campo dell’Arsenal nel terzo turno di Coppa d’Inghilterra, 6 gennaio 1951. Dei 57.932 presenti quasi 5000 si erano fatti la lunghissima trasferta dal nordovest, e pazienza se poi la ripetizione, a Brunton Park, finì 4-1 per i Gunners, accusati tra l’altro di gioco sporco: il nome del club era comparso per la prima volta nelle cronache nazionali, rimanendo impresso a lungo, e in città era successo di tutto, tanto che il martedì di vendita dei biglietti per quella partita venne ribattezzato Black Tuesday per le scene caotiche, l’assalto agli sportelli appena si aprirono, gli svenimenti, le persone ferite nella calca. Sì, Carlisle era sempre quel posto sperduto, innevato d’inverno e delicato e suggestivo d’estate, come disse uno dei giocatori migliori ad aver vestito i colori bianco-blu-rossi, ovvero il grande Stan Bowles, rilanciatosi qui prima del brillante periodo al Queens Park Rangers. Ma non era più la fine calcistica del mondo, e anzi molti furono colpiti quando il 28 novembre 1955 la partita tra Carlisle e Darlington fu la prima, in Coppa, tra due squadre professionistiche in cui furono utilizzate le luci per illuminare il terreno di gioco . Quando nell’aprile 1974 arrivò la prima promozione nella massima serie la sorpresa fu notevole, perché pur se dotato di talento era comunque il Little Carlisle, che più su della seconda divisione, ottenuta nel 1965, non avrebbe potuto andare. Pareva anzi che il culmine fosse stato toccato con le semifinali di Coppa di Lega nel 1969 o nel 1971-72, quando grazie al 4° posto dell’anno prima lo United poté partecipare alla Coppa Anglo-Italiana battendo addirittura la Roma, 3-2, all’Olimpico. Chiuse poi la trasferta italiana con una partita a Catanzaro, circostanza nella quale un gruppo di tifosi, avendo malamente calcolato le distanze, aveva fatto base a Sorrento, scoprendo poi con stupore che il tragitto in auto tra la Costiera Amalfitana e il lato occidentale della Calabria non era proprio una passeggiata. La promozione arrivò grazie a quella che fu probabilmente la squadra di maggior talento messa assieme a Brunton Park, allenata da un ex giocatore, Alan Ashman , che pur avendo occupato parecchie panchine e vinto la FA Cup con il West Bromwich Albion si sentì a casa solo a Carlisle. Chiusa la carriera agonistica per un infortunio al ginocchio, era rimasto in città come dipendente di uno dei dirigenti, Jim Monkhouse, che lo aveva assunto come addetto al mangime dei polli della sua fattoria. Dopo qualche anno, gli era stato chiesto di sostituire Ivor Powell sulla panchina del club e lì era cominciata la sua ascesa, dopo un fallito tentativo di evitare la retrocessione in quarta serie: due promozioni consecutive poi quel periodo al WBA, terminato con un bizzarro licenziamento del quale Ashman era stato avvertito da un giornalista che lo aveva raggiunto in Grecia, dove era in vacanza, ignaro di tutto. Una delle colonne di quel Carlisle era il portiere scozzese Allan Ross: 466 presenze e una personalità variegata che ne fecero un antesignano di Bruce Grobbelaar, il celebre portiere del Liverpool. Ross parlava spesso con i tifosi dietro la porta, durante la partita, a volte dando la schiena al campo e chiedendo loro di avvertirlo se gli avversari avessero riconquistato la palla. Una volta, contro il Bolton, vide un tifoso che, pur in piedi in prima fila, stava leggendo un quotidiano durante la partita: gli si avvicinò, glielo tolse dalle mani, tornò in porta, si appoggiò al palo e finse di mettersi a leggere, tra le risate del pubblico. Ad un certo punto sentì la voce di uno dei suoi difensori che gli urlava "Smettila di fare il pagliaccio", alzò la testa e vide arrivare a mezz’aria un pallone che prese e rispedì con un calcione verso la metà campo avversaria. Commise numerosi errori, questo sì, e aveva la tendenza a perdere la concentrazione nei finali di partita, ma ognuno di quegli errori avvenne in momenti in cui la sua attenzione al gioco era massima: era come se distrarsi, a partita in corso, lo aiutasse a scaricare la tensione e farsi trovare pronto quando doveva fare il suo lavoro. Pare che prendesse pillole calmanti e che i compagni cercassero in tutti i modi di tenerlo attivo, anche con scherzi, come una volta in cui sostituirono il suo cappellino con uno da neonato, scambio di cui Ross si accorse quando era troppo tardi e la partita stava per iniziare. In quel Carlisle per un giorno primo in classifica c’era anche il centrocampista Chris Balderstone, definito precedentemente da Shankly "Il migliore giocatore che io abbia mai visto al di fuori della massima serie". Classe 1940, fu anche un eccellente giocatore e arbitro di cricket, vincitore di titoli di contea e protagonista di due 'Test Match', le celebri sfide contro le Indie Occidentali. C’era anche il poderoso attaccante Hugh McIlmoyle, ripreso per l’occasione, anche se già 34enne, dopo una lunga e itinerante carriera a sfidare fisicamente difensori e portieri, per un totale di 250 gol. Ora, appena fuori dal negozio del club, all’angolo con la centralissima Warwick Road, c’è la sua statua, nell’atto di effettuare uno dei suoi storici colpi di testa. Ora, bisogna essere sinceri: quel memorabile, unico, irripetibile 1974-75, quello in cui esattamente 50 anni fa fu per una settimana in testa alla classifica il Carlisle, oltretutto esponente della seconda città più piccola ad avere un club in prima serie dopo il Glossop , finì con l’ultimo posto. Una fiamma consumatasi poco alla volta, per errori difensivi, mancanza di malizia, cali nel finale: "Era come se alle 16.38, ogni sabato, i miei giocatori facessero la fine della carrozza di Cenerentola e diventassero zucche. Ad un certo punto pensai anche a una maledizione lanciata da qualcuno", disse poi Ashman. Ma che tempi, quelli di agosto. Debutto in First Division a Stamford Bridge, contro il Chelsea: 17 agosto, telecamere del programma serale Match of the Day a immortalare l’occasione, circa 31.000 spettatori, molti dei quali seduti nella nuovissima, bizzarra tribuna East Stand, la cui costruzione mise in serie difficoltà il club londinese. Da Carlisle arrivarono circa in 2000, e dopo 106 secondi poterono esultare quando il capitano Bill Green mise dentro da corta distanza dopo un errore difensivo su calcio di punizione di Balderstone. Nel resto della partita il Chelsea ebbe la meglio, si rese pericoloso varie volte e colpì due pali , ma al 75’ un tiro-cross di Les O’Neil dalla destra sorvolò il portiere Peter Bonetti e il trionfo fu completo, per l’emozione soprattutto di Ross, unico superstite della rinascita iniziata 11 anni prima, che quando era uscito sul prato per la prima volta durante il riscaldamento, vedendo quella grande tribuna e respirando l’ambiente si era chiesto se sarebbe stato in grado di reggere la tensione. Tre giorni dopo lo United giocò ancora in trasferta, a Middlesbrough, contro la squadra che aveva vinto la Second Division l’anno prima ed era partita con un netto 3-0 sul campo del Birmingham City. Eppure, una doppietta ancora di O’Neil portò un’agevole 2-0 creando le condizioni per un’attesissima prima in casa, sabato 24 contro il malmesso Tottenham. Finì 1-0 grazie ad un rigore di Balderstone, costretto a ripeterlo dopo che Pat Jennings, il celebre portiere ospite, si era mosso in anticipo per distrarlo e aveva parato il primo tentativo. Quando arrivarono i risultati dagli altri campi, poco prima delle 16:50, tutti si resero conto che per differenza reti il Carlisle United era in testa alla classifica. Un momento storico, che ha portato quest’anno il club a mettere in vendita magliette con data, classifica e, sul davanti, il disegno di Green, con la maglia gialla da trasferta, che calcia nella porta del Chelsea, con '106 seconds' nella riga più in basso. Vendutissima anche la riproduzione della celebre maglia casalinga di quel periodo, blu con rigona bianca verticale, contornata da due striscioline rosse, tema ripreso anche da porte e portoni dello stadio. In mezzo, il profilo di una volpe in piena corsa, logo ufficiale temporaneo dal 1970 al 1995, rimasto nella mascotte Olga che a inizio partita porta in campo una povera volpe impagliata. Tre giorni dopo, quarto turno, arrivò la partita di ritorno contro il Middlesbrough, che stavolta vinse 1-0. Seguirono un pareggio a Leicester e una sconfitta in casa contro lo Stoke City, e il resto è storia ricordata tuttavia con affetto, anche per la doppia vittoria sull’Everton, per il 3-0 al Derby County che avrebbe vinto il campionato, in un club che ha visto tanti episodi curiosi e momenti bizzarri. Nel 1992 ad esempio fu acquistato dall’imprenditore Michael Knighton, lo stesso che qualche anno prima, durante le trattative per entrare nella proprietà del Manchester United, era sceso in campo a Old Trafford in tuta, compiendo palleggi di testa, e che nel corso della sua permanenza a Carlisle divenne famoso per aver incontrato gli alieni. Nel 1999 fu evitata la retrocessione in quinta serie solo grazie al gol, all’ultimo minuto, del portiere Jimmy Glass, mentre dodici mesi dopo la salvezza arrivò sul campo del Brighton, grazie però a risultati su altri campi. Il Carlise è poi realmente uscito dalla Football League, che fino al 1992 ha rappresentato i 92 club delle prime quattro categorie del calcio inglese, nel 2004, con però immediata promozione. Tornato subito in quarta serie dopo una brutta stagione 2023-24, è comunque un club ben amministrato, tra i primi di tutta la Gran Bretagna nella classifica, pubblicata pochi giorni fa, del Fair Game Index, che analizza quasi 200 parametri tra il finanziario e l’etico. Non poco per un club che per due volte nella sua storia ha dovuto finanziarsi grazie a due allenatori che per produrre entrate 'cedettero' sé stessi: lo fece il leggendario Ivor Broadis cedendosi come giocatore al Sunderland nel 1949 , e Bob Stokoe nel 1970.