Brian Clough, il Che Guevara del football

Rivoluzionario nella filosofia di gioco, carismatico come allenatore, nessun compromesso sui principi. Brian Clough è stato il Che Guevara del football, anche lui capace di ribaltare il mondo combattendo per gli ultimi, vincendo campionati inglesi con i poco titolati Derby County e Nottingham Forest, nel caso dei concittadini di Robin Hood pure due coppe dei campioni che restano i più clamorosi miracoli della storia del trofeo. Folle come solo i visionari possono essere, il mondo preso sempre a spallate, la lingua tagliente per una schiettezza figlia dell’onestà. Nasce a Middlesborough, nord-est dell’Inghilterra, terra di miniere e di miseria. La sua famiglia non fa eccezione, ma lui, sesto di nove fratelli, non rimpiangerà la povertà: “Ci è stata regalata un’infanzia che ricordo come un piccolo paradiso, grazie a genitori che hanno lavorato duro come io e nessuno di voi ha mai fatto nella vita”, ripeteva. Probabile si formi lì la convinzione che a stare con i più forti non ci sia gusto, mentre scopre di saperci fare con il pallone. In seconda divisione trascina prima il Middlesbrough e poi il Sunderland a una media di un gol a partita, guadagnandosi anche un paio di match in nazionale. Quando con i Rokers sta per salire nella massima serie un tackle durissimo mette fine alla carriera. Ha 26 anni, un futuro da costruire e decide di farlo in panchina, chiedendo a Peter Taylor, ex portiere e suo compagno al Middlesbrough di fargli da assistente. Comincia dall’Hartlepool, quarta divisione inglese: la squadra è pessima, regolarmente retrocessa in cinque degli ultimi sei campionati e riammessa solo per decisione della lega. Economicamente è anche peggio, Clough si trova costretto a fare delle collette nei pub per pagare l’iscrizione al campionato, e visto che non si possono permettere l’autista prende lui stesso la licenza di guidatore di autobus per le trasferte. A metà del torneo la dirigenza gli chiede di licenziare Taylor: non ci sono i soldi per pagarlo. “O lo tenete o me ne vado anch’io”, ringhia, e ottenuta la riconferma porta la squadra a un clamoroso ottavo posto. Passa al Derby County, club che a parte la coppa d’Inghilterra del 1946 non ha mai vinto nulla e da anni ristagna in seconda divisione senza prospettive. Si presenta alla sua maniera, licenziando le due signore che servono il the alla squadra: stavano ridendo dopo una sconfitta. In pochi anni cambia la storia del club: il Derby vince il campionato di seconda divisione, al primo anno da matricola finisce quarto, due stagioni dopo si aggiudica il titolo. Brian Clough e Peter Taylor funzionano perfettamente: carismatico il primo, silenzioso il secondo: “Siamo un negozio, io sto al bancone, Peter nel retrobottega”, spiega lui. Illustra i suoi concetti di football, stravolgendo per sempre i canoni del gioco inglesi: la palla deve correre sull’erba, non essere lanciata per aria: “Se Dio avesse voluto che la calciassimo lassù avrebbe messo l’erba sulle nuvole”. Niente domande stupide, intima ai cronisti, e non frena la lingua dopo la semifinale di coppa dei Campioni con la Juventus, con l’arbitro sospettato di corruzione. “Non parlo con chi ha cominciato due guerre mondiali da una parte e le ha finite dall’altra”, dice ai cronisti italiani, stravolgendo il nomignolo con cui è noto l’avversario. “La vecchia Signora? Per me è una vecchia p…”. Non si trattiene neppure con i dirigenti del Derby County, accusati di non conoscere nulla di calcio. Si dimette con Peter Taylor nell’ottobre del 1973, convinto che la pressione dei tifosi costringa i dirigenti ad andarsene. Non accade, si ritrova in mezzo a una strada. Grande tecnico e insieme privo di mezze misure, diretto come sa essere chi nella vita non ha mai potuto prendere scorciatoie. Attacca i personaggi più influenti del football inglese e non solo: il portiere polacco Tomaszewski, che con le sue parate con stile singolare ha impedito all’Inghilterra la qualificazione ai mondiali 1974, viene definito “un clown con i guantoni”. Altre volte dimostra un’ironia non inferiore alla genialità: “Se mi sento il miglior allenatore del mondo? Di sicuro sono nella top 1”. Divertente, ma scomodo e anche per questo, nonostante i miracoli con il Derby, non lo vuole nessuno. Lo chiama solo il Brighton, terza serie, lui accetta, saranno nove mesi senza infamia e senza lode. Sembra finito quando arriva la chiamata più inaspettata di sempre, quella del Leeds. Odia i Whites e detesta Don Revie, il manager con cui nello Yorkshire hanno vinto quasi tutto, nuovo ct della nazionale. Lui era arrivato a chiedere la retrocessione del club per il gioco sporco e violento con cui Billy Bremmer e compagni erano noti. Clough, a dispetto dei modi non certo convenzionali di comportamento, amava il football pulito e la riprova è l’ottimo record disciplinare delle sue squadre. “Avete vinto molto negli ultimi anni, con me comincerete a farlo anche onestamente”, si presenta così alla squadra. Durerà 44 giorni. Di nuovo a spasso, e senza neppure Peter Taylor, che non l’aveva seguito nell’assurda avventura ad Elland Road. Arriva l’offerta del Nottingham Forest e non è nel suo stile fare lo schizzinoso, anche perché la situazione del club è simile a quella che trovò al Derby: un paio di coppe d’Inghilterra, la seconda nel lontano 1959, un mediocre presente in seconda serie. L’ideale per Clough, che un anno dopo convince Peter Taylor a tornare a fargli da assistente. Quello che accade nel lustro successivo è una cavalcata che non ha paragoni nella storia del football. Tra il 1977 e il 1980 nella foresta di Sherwood si assiste prima alla promozione, l’anno dopo alla conquista del titolo, poi la vittoria in coppa dei Campioni che viene ripetuta la stagione seguente, con l’aggiunta di tre coppe di Lega consecutive. Ci sono soldi per prendere giocatori di qualità, certo, come il portiere Peter Shilton e l’attaccante Trevor Francis, ma il resto lo mette Clough. A centrocampo ingaggia due elementi che aveva già avuto al Derby County, Archie Gemmill e John Mc Govern: il primo è nazionale scozzese reso universalmente celebre per una battuta durante una scena di sesso in Trainspotting, il secondo è un modesto gregario che Clough ritiene così indispensabile da farne addirittura il capitano della squadra. I fatti gli daranno ragione, così come sono azzeccate le scommesse su Kenny Burns e Gary Birtles, un centravanti che nessuno voleva più per la sua passione e un attaccante prelevato dai dilettanti. Lui retrocede Burns al centro della difesa, gli fa posare la bottiglia facendogli vincere il titolo di miglior giocatore del campionato nel 1978, Birtles segnerà sei reti decisive per il primo successo in coppa dei Campioni, compreso il primo gol nella sfida vincente con il Liverpool, detentore del trofeo e per distacco miglior squadra del continente. Come esterno di difesa fa debuttare il giovanissimo Viv Anderson, falcata da quattrocentista e piedi educati per coprire la fascia anche come attaccante: farà la storia diventando il primo giocatore nero a vestire la maglia della nazionale inglese. In avanti, all’ala, c’è John Robertson, il vizio delle sigarette e un girovita fuori controllo: lo mette a dieta, gli vieta il fumo e ottiene in cambio il gol della vittoria nella seconda finale di coppa Campioni con l’Amburgo. La prima, con il Malmoe, era stata risolta da una rete di Trevor Francis: “Una finale noiosa giocata contro una squadra noiosa che rappresenta un popolo noioso”, commenta con la consueta diplomazia Clough: incredibilmente non risultano proteste del l’ambasciatore svedese. Arriva a un passo dalla nazionale inglese che nel 1978 ha fallito per la seconda volta consecutiva la qualificazione al mondiale: è il favorito per il ruolo, soprattutto può prendere il posto del nemico Don Revie. Ma dopo il colloquio la Football Association preferisce lasciar perdere: “Devono aver pensato che avrei fatto di testa mia senza ascoltare nessuno. E avevano perfettamente ragione”. E’ una delle tante frasi che passano alla storia, come quando gli chiedono se accetta il dialogo con i giocatori: “Certo, se uno ha qualcosa da eccepire io lo invito a parlarne nel mio ufficio. Li, dopo qualche minuto di colloquio, decido che ho ragione”. Popolarissimo, dentro il campo con i suoi successi, fuori con le sue idee che non nasconde. Socialista convinto, si schiera dalla parte dei più deboli, come ha fatto nel football guidando club senza un passato vincente. Quando esplode la protesta contro il governo Thatcher è al fianco dei lavoratori, soprattutto i minatori che conosce bene per averli visti da bambino: raccoglie fondi, marcia accanto a loro nelle manifestazioni. A chi lo accusa di essere un socialista che beve champagne risponde schietto: “Lo champagne lo bevo con i soldi che guadagno e che divido con gli altri, a differenza dei conservatori che il denaro se lo tengono”. Il Nottingham Forest non ripeterà più quel favoloso lustro, pur restando ai vertici del campionato per 15 anni. Il bando delle formazioni inglesi vieta le coppe Europee e Clough non ottiene l’unico trofeo che ha vanamente inseguito per tutta la carriera, la coppa d’Inghilterra: la grande occasione si presenta nel 1991, un autogol di Des Walker lo condanna ai supplementari nella finale con il Tottenham. Intanto è però accaduto l’episodio che condizionerà per sempre la sua vita: Peter Taylor va ad allenare il Derby County e quando gli viene nascosto l’ingaggio di John Robertson lui rompe l’amicizia, arrivando a definirlo un serpente: “Se lo trovassi in strada con la macchina in panne non solo non gli darei un passaggio ma gli passerei sopra”. Se ne pentirà amaramente. Quando gli viene comunicata al telefono la morte improvvisa di Taylor per un infarto piange disperato. I problemi con l’alcool si aggravano, mentre declina la sua carriera sportiva: le ultime intuizioni al Nottingham Forest sono l’ingaggio di due ragazzi che faranno strada, Teddy Sheringham e Roy Keane, ma chiude la carriera nel 1993 con la retrocessione, l’unica della sua vita. Muore nel 2004, ma nessuno lo dimentica: Middlesbrough, sua città natale, Derby, allo stadio Pride Park, e Nottingham, di fronte al City Ground, gli dedicano una statua. Al suo funerale ci sono decine di migliaia di persone, equamente divise tra supporter dei Rams e del Forest, squadre divise da eterna rivalità ma unite nel suo nome. I venti chilometri di distanza tra le due città si percorrono con l’A52 sono noti come la Brian Clough Way.