Whites v Blacks: la storia della partita del '79 a West Bromwich

È il tardo pomeriggio del 15 novembre 2016 e al MAC di Birmingham, anzi di quel sobborgo chiamato Edgbaston che all’inglese medio evoca immagini di grandi partite di cricket, comincia la proiezione di un documentario della BBC su una partita giocata nel 1979, giusto 45 anni fa. Tra il pubblico di invitati, molti sono i protagonisti di quella sfida, e più o meno tutti, ai microfoni dell’emittente e alle domande dei cronisti, rispondono alla stessa maniera: “oggi, una cosa del genere sarebbe impensabile, ma all’epoca nessuno fece obiezioni”. Lo dicono con candore e pacato stupore, quasi riconoscendo il passaggio del tempo ma anche le particolari condizioni che, nel 1979, portarono qualcuno - non si è mai saputo chi - a suggerire che la partita in onore dei dieci anni di Len Cantello nel West Bromwich Albion fosse in pratica Whites v Blacks, Bianchi contro Neri. Ove però bianco e nero non erano i colori delle maglie ma… della pelle dei giocatori. Sul serio. Mentre cercate di digerire l’impatto della notizia, una precisazione sulla questione dei dieci anni: è stata abitudine pressoché secolare, nel calcio inglese, che i calciatori con almeno un decennio di milizia in una squadra venissero onorati da una sfida amichevole a scopo benefico, il cosiddetto Testimonial Match, con incasso - esentasse - interamente a loro favore. Poteva in realtà accadere esattamente dopo 10 anni o a fine carriera, quando questa fosse di durata inferiore o particolarmente significativa o, nei casi peggiori, quando un infortunio avesse posto fine al loro percorso professionale. E bisogna considerare il diversissimo contesto del calcio di gran parte del secolo scorso: nel 1901 la Football Association stabilì in quattro sterline alla settimana , quindi 16 al mese, e l’aumento nel corso degli anni fu minimo, fino al massimo di 80 mensili nel 1958, ricordando che tali cifre erano quasi dimezzate nei mesi di non attività, ovvero giugno e luglio, nei quali moltissimi atleti svolgevano altri lavori per compensare i mancati introiti del calcio. Di fatto, giusto per quantificare, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale un calciatore con il massimo stipendio, appunto 16 sterline al mese, guadagnava lievemente più della media della popolazione, ma quel massimo stipendio lo avevano in pochi e in più dal 1946 in poi la differenza si assottigliò, creando contrasti perché era in realtà il periodo in cui si giocarono le prime amichevoli internazionali e il periodo delle prime riprese televisive. I club cominciavano a guadagnare di più ma il compenso massimo non solo restava uguale ma restava indietro, rispetto alla crescita dei salari del resto della popolazione. Nel 1960-61 cominciarono le prime pressioni dell’associazione giocatori sulla federazione, ma non venne fuori quasi nulla e allora, su spinta di Jimmy Hill, formidabile personaggio di cui leggerete, venne proclamato uno sciopero per sabato 21 gennaio 1961, con tanto di invito ai tifosi a non andare allo stadio nel caso che i club avessero racimolato comunque qualcuno in grado di scendere in campo. Tre giorni prima dello sciopero, il 18 gennaio, Hill e alcuni presidenti di club si trovarono presso il Ministero del Lavoro e si giunse alla sospirata abolizione del tetto. Pochi giorni dopo il Fulham decise di aumentare lo stipendio del suo più grande giocatore, Johnny Haynes, a 100 sterline alla settimana, nuovo record, e ci vollero solo altri sette anni perché arrivasse il primo da 1000 sterline, e fu George Best. In generale, però, i calciatori, soprattutto quelli meno famosi, avevano stipendi non stratosferici e il Testimonial poteva dunque permettere loro di disporre di una bella somma di denaro per avviare in modo meno angosciante la seconda parte della loro vita, per la quale non poteva assolutamente bastare quanto guadagnato negli anni di attività sportiva. Come ovvio, con l’esplosione dei compensi la necessità del Testimonial è venuta meno, con eccezioni: nel 2001 ad Highbury ci furono 33.000 spettatori per salutare David Seaman, undici anni di grande carriera con l’Arsenal. Il portierone si mise in tasca 600.000 sterline, equivalenti a quasi un milione di euro attuali, e nel suo caso si trattava di un clamoroso regalo a coronare un percorso retributivo già di altissimo livello, come è accaduto in genere per chi ha avuto la parte maggiore della sua carriera dal 1992 in poi, anno cioè di trasformazione della vecchia First Division in Premier League, con aumento esponenziale di introiti e stipendi. Nel 1979, però, Cantello aveva uno stipendio medioalto ma non eccezionale. E ‘compiva’, lui 27enne, dieci anni in maglia biancoblu, per cui il Testimonial era un passo non solo obbligato ma pure gradito al club. Avrebbe potuto essere una normale sfida tra West Bromwich Albion e una rivale locale, oppure Celtic o Rangers, ma entrambe le soluzioni avrebbero potuto portare problemi di ordine pubblico, per via di antichi e nuovi attriti con Wolverhampton, Aston Villa o Birmingham City o per il semplice numero di tifosi scozzesi che sarebbe calato dal nord, come accaduto in altre occasioni. Ecco, quindi, la bizzarra idea di far giocare Bianchi contro Neri. Impensabile ora ma, come hanno detto praticamente tutti i protagonisti dell’epoca sia nelle interviste sia - con toni diversi - nel documentario , non particolarmente sconvolgente allora, anche per una spiegazione che Cantello e Regis poi diedero e che ha fatto pensare che alla fine un nome e un cognome, l’ideatore di quella sfida ce l’avesse: pare infatti che proprio i due succitati avessero discusso come creare qualcosa di inedito, e ispirandosi alle partitelle di allenamento, che spesso vedevano la rosa suddivisa in ‘inglesi contro scozzesi’ o ‘vecchi contro giovani’, tanto valesse allora fare Bianchi contro Neri, senza che né l’uno né l’altro intravedessero contrapposizione o segregazione. E del resto il WBA era il club guida, sul fronte della valorizzazione di talenti nuovi, in tutti i sensi: il 1978-79 era infatti stato l’anno dell’esplosione del trio di giocatori di origine caraibica, ovvero il terzino destro Brendon Batson, l’ala Laurie Cunningham e il centravanti Cyrille Regis. Batson, classe 1953, aveva tre anni più di Cunningham e cinque più di Regis ma era, come loro, uno dei figli della cosiddetta Windrush Generation, ovvero della generazione che ha cambiato il volto del Regno Unito. Terminata la Seconda Guerra Mondiale, infatti, molte nazioni con un urgente bisogno di ricostruzione e rilancio avevano accettato di buon grado immigrati, utili anche a colmare i vuoti lasciati dalle tremende perdite umane del conflitto, ma in Gran Bretagna la preferenza era per persone provenienti dal resto d’Europa e dotate di un livello medioalto di specializzazione ed esperienza; e al tempo stesso, frutto di una decisione apparentemente benevola ma di fatto volta ad evitare tentativi di secessione delle colonie, il British Nationality Act del 1948 riconobbe ai residenti delle colonie stesse lo status di CUKC che li equiparava di fatto a chi abitasse nelle Isole Britanniche. Il governo dell’epoca - a maggioranza laburista - sperava utopisticamente che questo provvedimento sconsigliasse l’emigrazione verso il Regno Unito, emigrazione che di fatto non avrebbe aggiunto nulla allo status giuridico di chi l’avrebbe compiuta, ma la realtà dei fatti fu drasticamente diversa: già a marzo e dicembre 1947 due navi, la Ormonde e la Almazora, avevano attraccato rispettivamente a Liverpool e Southampton portando un totale di 441 passeggeri, praticamente tutti giamaicani e con passaporto - ma non ancora cittadinanza, ovviamente - britannica, ma fu il viaggio della Windrush, curiosamente ex nave da crociera e trasporto tedesca sequestrata dagli Alleati nel 1945 come bottino di guerra, a fare la storia. In origine, la nave avrebbe dovuto solo riportare ai Caraibi circa 500 ex soldati poi tornare indietro senza un carico particolare, ma un quotidiano giamaicano svelò e pubblicizzò un’offerta per biglietti a basso costo per il passaggio Caraibi-Regno Unito e furono 1027 le persone che approfittarono dell’occasione, oltre a due clandestini , scesi assieme agli altri a Tilbury, nei pressi di Londra, il 22 giugno 1948: molti di loro erano proprio ex soldati che volevano trovare lavoro nella patria acquisita . Quasi tutti pensavano di restarci solo pochi anni per poi tornare in Giamaica, e lo sperava pure il Governo inglese: il ministro del lavoro, George Isaacs, dichiarò di fronte al Parlamento riunito che sarebbe stato fatto di tutto per scoraggiare altri arrivi, anche se né le autorità giamaicane potevano impedire partenze né quelle britanniche bloccare gli sbarchi, e nei giorni dell’arrivo della Windrush 11 deputati laburisti scrissero al primo ministro Clement Attlee preoccupati per l’arrivo degli emigranti, ma nonostante questa forte opposizione ci vollero altri 14 anni, sull’ondata di un forte movimento popolare, prima che venissero approvate restrizioni sull’ingresso di cittadini dell’ex impero, limitandolo a coloro che avessero forti legami con le Isole Britanniche. Nel frattempo, tra il 1951 e il 1961 il numero di residenti in Inghilterra, Scozia, Galles e Irland nati nei Caraibi passò da 15.000 a 172.000 e quelli arrivati dal 1948 in poi furono, a prescindere dal battello di arrivo, chiamati Windrush Generation. Batson, Cunningham e Regis erano tra i figli di quella generazione: Batson era nato a Granada e arrivato nel 1962, a nove anni, Cunningham già a Londra mentre Regis proveniva addirittura dalla Guyana francese, ma il padre Robert era di St.Lucia, territorio della Corona, e quindi aveva potuto spostarsi sempre in quel 1962 di arrivo della famiglia Batson. Per vie traverse, tutti e tre si erano ritrovati al West Bromwich Albion: nel 1977 Regis e Cunningham, nel 1978 Batson, e poco alla volta la loro presenza aveva caratterizzato una squadra che solo per dettagli non riuscì a vincere un trofeo - campionato compreso - a fine anni Settanta. Ma l’impatto del trio, soprannominato con una certa superficialità The Three Degrees in omaggio ad un gruppo musicale molto in voga all’epoca, fu straordinario, e il sottotitolo ‘come il calcio ha cambiato un paese’ del documentario che rievoca la partita del 1979, pur esagerando, aiuta a comprendere la portata del fenomeno. Fino alla metà degli anni Settanta, ma questo sarà tema di un altro articolo, la presenza di giocatori di provenienza africana o afro-caraibica nel calcio inglese era stata trascurabile, nonostante le imprese di alcuni pionieri tra cui Jack Leslie e Albert Johanneson. Il primo, a cui finalmente è stata dedicata una statua due anni fa all’esterno dello stadio del Plymouth Argyle, fu un grande cannoniere del biancoverdi tra il 1921 e il 1935, mentre il secondo, sudafricano, fu il primo giocatore di origine africana a giocare una finale di FA Cup, quella 1965 persa dal Leeds United contro il Liverpool. La storia di Leslie anticipa però uno dei temi e dei motivi per cui il trio del West Brom ebbe un impatto indimenticabile: raggiunto nell’ottobre 1925 da un telegramma di convocazione per la nazionale inglese, come riserva a casa, pronto a partire in caso di defezioni altrui, per la partita del Torneo Interbritannico contro l’Irlanda, Leslie si sentì dire pochi giorni dopo che la convocazione era stata annullata, e il motivo pare proprio che fosse l’improvvisa ‘scoperta’ da parte del comitato selezionatore del vero colore della sua pelle. Insomma, i dirigenti della Football Association, a cui spettava la scelta dei convocati, lo avevano scelto per la sua fama ma non sapevano nemmeno che faccia avesse, e quando qualcuno disse loro “che io sono un colored”, parole dello stesso Leslie a un giornalista, molti anni dopo, all’improvviso fama e gol fatti non contarono più nulla. I Leslie, Johanneson, John Charles e Clyde Best, questi ultimi con la maglia del West Ham, dovettero subire palesi o indiretti atti di discriminazione, anche pesante, nel corso della loro carriera, ma fu solo con l’incremento dei calciatori di origine caraibica, praticamente tutti figli della Windrush Generation, che dagli spalti, negli spogliatoi e persino nei corridoi del potere cominciarono episodi di razzismo anche gravi, spesso sopportati e contrastati dai diretti interessati con uno stoicismo, una dignità e una forza d’animo mai più viste, da giganti quali erano, anche se forse non avevano chiesto di esserlo. Parliamo di migliaia di tifosi - a volte delle medesime squadre di cui vestivano la maglia - che intonavano canti offensivi, di mancate strette di mano da parte di avversari, di ostracismo in spogliatoio o scarso coinvolgimento in uscite serali da parte di compagni di squadra, di sospetto - un classico degli stereotipi, anche questo - da parte degli allenatori di scarso impegno e carattere instabile e troppo focoso, di una serie impressionante di ostacoli che Batson, Cunningham e Regis dovettero scavalcare per diventare quello che sono stati. E con loro tanti, compreso Viv Anderson, che giusto 46 anni fa, 28 novembre 1978, fu il primo calciatore dalla pelle nera a vestire la maglia della nazionale inglese. Quel che è curioso è che, a sentire loro, Anderson e Regis, scomparso prematuramente nel 2018, pur in quegli anni difficili subirono episodi di discriminazione più in campo che fuori: Regis, pur ricordando le condizioni di povertà dei primi tempi a Londra , scrisse anche “furono i miei genitori a raccontarmi, quando ero adulto, le discriminazioni che avevano subito, dicendomi ad esempio dei locali che esponevano il famigerato cartello ‘Ingresso vietato ai neri, agli irlandesi e ai cani’ e facendomi comprendere tutto di un colpo come mai nella nostra zona ci fossero solo irlandesi e noi caraibici, ma io personalmente non ho mai dovuto subire nulla, o perlomeno nulla che mi abbia lasciato un segno”. Sta di fatto che fu un periodo difficile, tremendo, per molti calciatori afro-caraibici, e si può capire come l’ideatore del Testimonial, ufficialmente ‘Selezione West Bromwich Albion-Selezione Regis&Cunningham’, che fosse anonimo come si è a lungo pensato o che fosse la coppia Cantello-Regis, fosse mosso dalle migliori intenzioni: normalizzare la presenza di atleti dalla pelle nera, unirli, permettere loro di fraternizzare e familiarizzare, con la scusa della partita. Cosa che del resto avvenne, per l’entusiasmo genuino di tutti: ad esempio Regis, personaggio formidabile da tutti i punti di vista, a nostro avviso uno dei grandi protagonisti del calcio inglese degli ultimi 50 anni, ricordò sorridendo di aver detto ai compagni di squadra, prima della partita, di darsi istruzioni in dialetto giamaicano così che nessuno degli avversari potesse capire. Vinsero i ‘Blacks’ 3-2, di fronte a poco più di 7000 spettatori, e Cantello tra l’altro prese i soldi e… scappò, firmando da svincolato con il Bolton Wanderers, ma fu un’occasione speciale. E infatti nessuno dei membri della squadra ‘Blacks’ ricorda con disagio quel giorno. Anzi: per quasi tutti, quella fu la prima volta in cui in spogliatoio potevano parlare quel dialetto speciale menzionato da Regis, potevano confrontare esperienze simili e cercare consigli. Anche perché, dato lo scarso numero di giocatori selezionabili, circa una ventina in tutto, in quella squadra c’era parecchia varietà: fenomeni come i tre del West Brom ma anche esordienti o quasi come Remi Moses e personaggi poi spariti di scena come Vernon Hodgson, un 19enne che era in prova, aveva doti interessanti ed era già stato frettolosamente etichettato come ‘quarto Degree’, prima però di infortunarsi e dover lasciare il calcio. Hodgson si era detto entusiasta di giocare anche perché sperava - e così fu - che nel pubblico ci fossero molti tifosi di origine caraibica, cosa che raramente avveniva nelle partite normali per il disagio che molti di loro provavano a sentirsi minoranza poco gradita, e anche perché nel Birmingham City, suo club a livello giovanile, si era sentito tollerato più che apprezzato. Quella partita, peraltro, non cambiò affatto il calcio inglese, checché ne dica il sottotitolo del documentario, perché per tanti anni ancora i calciatori figli della Windrush Generation faticarono ad essere accettati e valorizzati e furono spesso ostracizzati e insultati. In particolare, sono da brivido i racconti di due partecipanti al Testimonial, George Berry e Bob Hazell, colonne del Wolverhampton Wanderers , anche con risvolti grotteschi: mentre marcava Regis su un calcio d’angolo, un giorno, Berry sentì un tifoso del WBA urlargli qualcosa di pesantissimo in riferimento al colore della sua pelle, e allora si girò verso di lui e gli chiese sarcasticamente “stai parlando con me o con il tuo Cyrille?”, mentre in un’altra occasione, episodio tra l’altro sconosciuto ai più e caso in cui lo stoicismo di cui si parlava venne meno, lo stesso Berry al termine di una partita in cui un suo errore aveva regalato un gol agli avversari scavalcò i tabelloni pubblicitari e saltò addosso a un tifoso che lo aveva insultato, tirandogli un gancio al volto e finendo con l’essere ammanettato, un Cantona a Selhurst Park con oltre 20 anni di anticipo.

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Roberto Gotta