"1997, Fenomeno Ronaldo". La nuova Storia di Marani
da non perdereLa puntata di Storie di Matteo Marani, disponibile on demand, è dedicata alla trattativa per il Pallone d'oro brasiliano, al tempo pubblicizzata, ma sin qui poco indagata in profondità. Immagini uniche di repertorio, documenti mai visionati in pubblico, testimonianze speciali nello speciale tutto da seguire: "1997, Fenomeno Ronaldo"
C’è un albergo, non distante dalla stazione di Milano, nelle cui stanze è transitata la storia. In questo luogo hanno dormito Gabriele D’Annunzio e Charlie Chaplin, i principi di casa Savoia e Madonna. Sempre qui, più di vent’anni fa, trascorse il suo primo giorno italiano Luiz Nazario da Lima, noto al mondo come Ronaldo.
Il 25 luglio 1997, il più grande calciatore del pianeta, il brasiliano che tutta Europa aveva ammirato e rincorso in quei mesi febbrili di mercato, vi arrivò di mattina presto, con 26 gradi sul termometro e qualcuno di più lungo le strade, sui marciapiedi, nel vetrocemento dei grattacieli di Milano. Non atterrava in Italia un semplice calciatore, bensì la nuova stella del calcio mondiale, il più celebre e pubblicizzato atleta moderno. Se gli Anni 90 iniziavano a mostrare uno sport diverso – tra sponsor, diritti tv, merchandising e internet – Ronaldo ne era il primo e indiscusso sovrano.
Con il resto del Paese, Milano guardò incuriosita al nuovo protagonista del mondo del pallone. Era dai tempi di Maradona al Napoli, sempre via Barcellona, che non si vedeva un colpo così grande. E si sarebbe dovuto attendere un altro Ronaldo, Cristiano, per rivivere un affare di simile portata. Con la notevole differenza che il brasiliano approdava in Serie A giovanissimo, all’inizio di una carriera che si sarebbe dimostrata formidabile malgrado gli infortuni. Quel venerdì 25 luglio non fu una giornata uguale alle altre. Il volo Alitalia AZ2010 giunse a Linate alle 8.10, da qui il trasferimento nell’hotel più lussuoso della città, dove Ronaldo avrebbe trascorso i primi mesi con Susana Werner, per tutti Ronaldinha. Nel pomeriggio inoltrato vi fu il primo saluto ai tifosi dalla sede dell’Inter. Quelle immagini, entrate nel ricordo collettivo, costituivano il trionfo personale di Massimo Moratti, il maggiore risultato, in vent’anni di presidenza, con il Triplete del 2010. Erano servite settimane di riunioni, contenziosi legali e tanti miliardi di lire. Una trattativa, nonché una prova di amore, che ancora oggi pochi conoscono nel dettaglio.
Il 25 luglio 1997, quando scende a Milano, Ronaldo non ha neppure 20 anni. È infatti nato a Bento Ribeiro, nella periferia povera – non poverissima – di Rio de Janeiro il 18 settembre 1976. Il papà ha avuto problemi e si è allontanato da casa, è la madre Sonia a guidare la famiglia. Fa le pulizie in un supermercato. In casa lo chiamano Dado, appellativo dato dalla sorella. Non ha i soldi per l’autobus che deve portarlo agli allenamenti del Flamengo. E così, nel 1990 gioca nel vicino Sao Cristovao. Sui campi finalmente in erba, dopo tanta polvere, va più forte di tutti. Lo notano due procuratori, Alexander Martins e Reynaldo Pitta. Saranno i procuratori della sua carriera insieme all’italiano Giovanni Branchini. Nel ‘93 il Cruzeiro lo porta a Belo Horizonte per 25mila dollari. Viene convocato, senza giocare, a Usa 94, Mondiale che il Brasile vince. Si rifarà nel 2002 vincendolo da protagonista. Nel ‘94 lo acquista il PSV Eindhoven per 6 milioni di dollari. Ronaldo varca l’Oceano e ammalia l’Europa. Nel '96 il Barcellona spende 20 milioni di dollari, 800 volte il primo cartellino. L’ultimo gradino si chiama Inter: 30 milioni di dollari, 48 miliardi di lire. Ronaldo è un fenomeno, è il fenomeno.
Il Fenomeno Ronaldo diventa nerazzurro in un’estate in cui gli italiani sono assorbiti dalla voglia di mare dopo i sacrifici dell’inverno. In dicembre, il governo Prodi ha introdotto la tassa per l’ingresso nell’euro, la moneta unica europea. Siamo il sesto Paese industrializzato al mondo, ma i morsi della crisi sono già evidenti. Il prodotto interno lordo è calato di 70 miliardi di dollari rispetto al ‘96, fermo all’uno e mezzo per cento, il debito pubblico è salito al 120%. La lontananza dagli Anni '80, pieni di ottimismo e leggerezza, è sancito dalla morte dello stilista che ne ha colorato gli eccessi, Gianni Versace, assassinato nella sua villa di Miami Beach il 15 luglio ‘97, dodici giorni prima che Ronaldo sbarchi in Italia. È un fatto di cronaca, ma pure di storia, con una Milano afflitta e silenziosa durante i funerali del concittadino più creativo.
Nonostante molto sia cambiato, e quasi tutto in peggio, l’Italia si distrae con i talk politici e con le serie tv di successo come Friends, al debutto in quella stagione, ma pure con videogiochi e Internet. Ronaldo, tra i primi, ha un suo sito. Pare fantascienza, ma sono esperimenti che visti adesso destano tenerezza. I telefonini sono grandi e non smart, i messaggi vanno contenuti in 160 caratteri. C’è poi la musica. È l’anno dei Radiohead, che con “OK Computer” aprono una breccia in mezzo all’imperante britpop di Oasis, Verve e Blur. Si leggono Sepulveda e Ken Follett, sebbene il più importante libro dell’anno sia stato scritto, solo in apparenza, per l’infanzia: è Harry Potter. Diventerà un successo planetario. Straordinario è il trionfo cinematografico di Di Caprio con Titanic e di Benigni con La vita è bella, mentre il Ciclone - interpretato da Leonardo Pieraccioni e prodotto da Vittorio Cecchi Gori - incassa 70 miliardi, record per l’Italia, metà dei quali reinvestiti dal presidente nell’ucraino Kancelskis. A Sanremo vincono i Jalisse, autentiche meteore, ma restano più impressi nella mente i concerti dell’estate. È il penultimo di De Andrè dal vivo ed è il primo di Ligabue a San Siro, lo stadio che sarà presto di Ronaldo.
Nell’estate ‘97, Milano vive sempre per il calcio. Nelle strade, nelle sue eleganti piazze europee, nei viali che circondano il centro, tutti sanno bene che non esiste Serie A senza che le due milanesi ne siano protagoniste. Devono riguadagnare terreno sulla Juventus di Marcello Lippi, vincitrice dello scudetto davanti al Parma di Ancelotti. Le prime due classificate, come stabilisce la nuova formula, partecipano alla Champions, mentre l’Inter terza deve accontentarsi della Coppa Uefa. Condotta da Del Piero e da Zidane, la Juve ha messo in luce la potenza realizzativa di Bobo Vieri, figlio d’arte ceduto all’Atletico Madrid per 35 miliardi. In cambio, i bianconeri si sono assicurati Pippo Inzaghi, giovane punta trionfatore nella classifica dei marcatori con l’Atalanta.
Il Milan - giunto undicesimo nella sciagurata stagione di Tabarez e del Sacchi bis - ha affidato la risalita al brasiliano Leonardo, acquistato dal PSG per 18 miliardi di lire, e all’olandese Kluivert, sul quale si concentrano molte aspettative; forse troppe. L’altra novità è il ritorno a casa di Capello, divenuto “don Fabio” dopo la conquista della Liga spagnola con il Real Madrid. Purtroppo per lui e per il Diavolo non si ripeteranno i successi della prima volta.
Se il Milan stenta, l’Inter si sta rifondando. Agli acquisti dell’anno prima di Djorkaeff, Zamorano e dello sfortunato Kanu, fermato per il cuore, si sommano i nuovi. Moratti non bada a spese nel ‘97: 13 miliardi per il Cholo Simeone dall’Atletico Madrid, guerriero indomabile come sarà da tecnico, 10 miliardi per il brasiliano Ze Elias dal Bayer Leverkusen, 5 per Cauet dal Paris Saint-Germain. Vengono ingaggiati pure il difensore nigeriano Taribo West e Moriero, nei panni di lustrascarpe per celebrare i gol di Ronaldo. Da ultimo, non però nel cuore del presidente, c’è l’uruguaiano Recoba, quintessenza della filosofia morattiana per cui il bello viene prima dell’utile. I due gol contro il Brescia, alla prima di campionato, entrano nella cineteca nerazzurra. In panchina c’è un allenatore vecchio stile come Gigi Simoni, reduce dalla buona parentesi di Napoli e dalle promozioni ottenute in provincia. Non ha vinto quanto altri colleghi, ma nessuno lo batte in garbo, stile e compostezza. La perderà solo a Torino, il 26 aprile ’98, per il rigore negato a Ronaldo.
Alla collezione manca proprio lui, l’uomo dei sogni, il campione che tutta Europa ammira, guarda e sogna di avere con sé. A Barcellona, Luiz Nazario da Lima accende la gioia e l’incanto del calcio. Lo accostano a Pelé e alle leggende del passato, nonostante abbia appena vent’anni. Ronaldo segna in modo puntuale. È potente, preciso, tecnico, attacca le aree avversarie a una velocità sconosciuta ai mortali. Quando riceve palla nei piedi, sulle tribune del Camp Nou scende di colpo il silenzio, nella trepidante attesa che lui innesti la marcia e vada in rete. È magia pura.
L'incontro con l’Inter è scritto nelle stelle. Il futuro Fenomeno ha incrociato Moratti in una visita privata a Milano ai tempi del PSV. Si sono piaciuti. Il resto lo produce il destino. A rileggerla, la trattativa con l’Inter è iniziata prima di quanto si pensi. È scattata nel momento in cui il brasiliano si è trasferito dal Psv Eindhoven al Barcellona nel giugno precedente. A Miami, nel ritiro brasiliano per le Olimpiadi del ‘96, Ronaldo ha sottoscritto il contratto con gli spagnoli, i quali hanno speso 30 miliardi di lire per lui. Una prima copia è stata compilata in loco e inviata via fax - in tempi di assenza di mail certificate - una seconda è stata invece elaborata su carta intestata, con firma dei vari attori. Giovanni Branchini, stimato agente italiano che collabora con i procuratori brasiliani Martins e Pitta, ha richiesto di inserire la clausola di rescissione. Ha aggiunto una postilla che pare banale e che invece sarà decisiva dodici mesi più tardi: la cifra per liberarsi dal contratto non deve essere pagata per forza dall’atleta, può essere sostenuta dal club acquirente. Nel secondo caso, i soldi non subiscono la tassazione e la cifra finale si dimezza.
La clausola agita il sonno degli spagnoli, che puntano a rinegoziare l’accordo. Ma la strada si mette in salita. Il 24 aprile 1997, nelle pagine interne, la Gazzetta dello Sport si occupa per la prima volta del futuro del brasiliano. "Mistero contratto: la società insiste, resterà con noi". Non è un giorno qualsiasi, è quello in cui a Firenze si gioca la sfida di Coppa delle Coppe tra Barcellona e Fiorentina. L’arrivo del Fenomeno all’aeroporto di Pisa si trasforma in un bagno di folla, con decine di persone ad avvolgerlo. Sono scene che si vedranno spesso nel corso della sua esperienza italiana.
Il Barcellona conquista la finale, ma nella notte – nascosto nella tuta e riconosciuto solo da qualche connazionale presente in strada – Ronaldo viene accompagnato nell’abitazione di Carlo Pallavicino, socio di Branchini. Per la prima volta si ipotizza un’alternativa nel caso in cui il nuovo accordo con il Barcellona dovesse fallire. Al Guerin Sportivo, il brasiliano aveva anticipato poco tempo prima di volere visitare l’Italia, ora potrebbe venire per rimanervi.
La clausola di Ronaldo vale 4 milioni di pesetas, 48 miliardi di lire. Ma i soldi non sono un freno, visto che tutto il calcio italiano spende e spande all’impazzata. Come ricorda il Sole 24 Ore di quei giorni, le milanesi segnano perdite complessive per 48 miliardi. Non vanno certo meglio il Parma di Tanzi, la Lazio di Cragnotti, la Roma di Sensi, la Fiorentina del citato Cecchi Gori. È il calcio delle 7 sorelle. Bello, opulento, un po’ cafone. Una meravigliosa ricchezza in campo, con campioni quali Batistuta e Weah, Thuram e Nedved, Totti e Baggio, cui fanno da contro altare numeri di bilancio deprimenti e debiti in crescita. Gli stipendi si mangiano il 64% dei ricavi nel ’97, salendo all’80% due anni dopo. All’orizzonte di molti presidenti c’è il crack, per un paio di loro la galera.
Il detonatore al calcio business della Serie A è una legge pensata in realtà per aiutarli, la numero 485 pubblicata nel dicembre 1996. I club di calcio diventano società per azioni con scopo di lucro, potendo presentare profitti o perdite. Prevarranno puntualmente le seconde. La legge l’ha portata all’approvazione del Parlamento il vicepresidente del Consiglio e ministro dei Beni culturali, Walter Veltroni, ex direttore dell’Unità e ora braccio destro di Romano Prodi, nuova figura della politica italiana. Dopo il successo storico di Silvio Berlusconi nel ‘94 e la sconfitta del Partito Democratico della sinistra di Occhetto, si è creata una coalizione che ha nell’Ulivo il simbolo e nel programma l’obiettivo di sconfiggere il centrodestra, un centrodestra indebolito dalla decisione della Lega Nord di presentarsi da sola alle elezioni. Sotto le bandiere dell’Ulivo, nato e sviluppato in Emilia, sono confluiti il Pds, il Partito Popolare, i socialisti di Boselli, il Rinnovamento italiano di Dini, i verdi. Già docente di Economia industriale all’Università di Bologna, Prodi applica al governo ciò che ha sperimentato da presidente dell’Iri negli Anni 80 e 90, ossia la cessione degli asset statali ritenuti non strategici. Come per Alfa Romeo, passata al capitalismo privato, il premier Prodi spinge per le liberalizzazioni, licenze comprese. Se ne fa interprete Pierluigi Bersani, ministro del commercio. Tra le novità, oltre a trasporti ed energia elettrica, emergono le scommesse sportive, fin lì vietate, con conseguente crisi del Totocalcio. Il 1997 passerà alla storia come l’anno dei Saldi di Stato: sono ricavi necessari per l’Europa e che provengono dalla privatizzazione di Telecom, Banca e Aeroporti di Roma, Seat. L’esperimento dell’Ulivo si esaurisce nell’arco di due anni, quando Fausto Bertinotti toglierà l’appoggio di Rifondazione comunista durante la seduta del 9 ottobre ‘98. Prodi è costretto alle dimissioni. Meno di due settimane dopo, gli subentrerà Massimo D’Alema.
Nonostante la crisi del Paese e le avvisaglie di un declino economico, il calcio protegge la sua dorata eccezione. Spende e si indebita, non si pone limiti. Il grande sogno si chiama adesso Borsa. A quelle di Londra sono quotate 14 società. Ha iniziato il Tottenham nel 1983. La prima in Italia è la Lazio di Cragnotti, che sbarca a Piazza Affari nel giugno 1998, grazie alla cancellazione dei tre bilanci in utile accordata dal governo Prodi. Victor Uckmar, fiscalista messo a capo della Covisoc, la commissione che deve esaminare i conti del calcio, dice una frase lapidaria: "Sconsiglio le azioni di calcio a vedove e orfani". Ha ragione lui: in pochi anni si deprezzeranno – fino a crollare - i titoli di Lazio, Roma e Juventus, le tre squadre che si sono quotate. La nuova ricchezza sono i diritti della pay-per-view, entrata nel ‘96-97: 500 miliardi di lire all’anno, una manna dal cielo bruciata interamente negli stipendi dei calciatori. Una follia.
La Milano efficiente, frenetica, di rito ambrosiano, è da sempre una capitale del calcio e ne ha ambizioni proporzionate. Al campionato più ricco del pianeta, in procinto di essere superato dalla Premier, dove sono andati a giocare i nostri Zola, Vialli, Di Matteo e Ravanelli, manca la principale attrazione: Ronaldo. Il brasiliano è destinato ad arrivarvi, soprattutto per l’incapacità del Barcellona di trattenerlo. Il presidente, Josep Luis Nunez, ha garantito alle radio locali che il giocatore rimarrà. Il 31 gennaio, in una lettera inviata dal vicepresidente Joan Gaspart a Branchini, era stato anticipato l’impegno del club a dare seguito agli impegni presi verbalmente nei mesi precedenti. Eppure, vista dagli agenti, la proposta appare poco trasparente, con una parte del compenso da diritti d’immagine pagati attraverso la locale emittente televisiva Tv3. La bozza del contratto che vedete qui riprodotta integralmente, con le sigle a lato del testo, è un reperto non meno interessante dei fogli depositati in Lega calcio, poiché indica come sarebbe potuta andare diversamente tutta la vicenda.
Si procede così per settimane, mentre i tifosi del pianeta si rifanno gli occhi ammirando Ronaldo nella finale di Coppa Coppe contro il PSG, decisa da un suo gol su rigore. Come ha sintetizzato il grande scrittore catalano Manuel Vazquez Montalban, "il ragazzo ha il fisico di un pugile e i piedi di Fred Astaire". In campo balla con il pallone e segna di continuo. Il 20 maggio, la Gazzetta dello Sport raccoglie le prime indiscrezioni. "L’Inter si scalda su Ronaldo". In attesa che gli spagnoli trasferiscano su carta il rinnovo, Branchini ha sondato Moratti. Non è un presidente qualunque. Ha acquisito l’Inter nel ‘95 da Ernesto Pellegrini, l’imprenditore delle mense, ma in qualche modo è come se la sua famiglia non fosse mai uscita dalla società, di cui è la storia. Moratti ha scritto nel cognome la missione principale: costruire una nuova Grande Inter sul modello di quella di Helenio Herrera. Non a caso, nel club lavorano vecchie glorie come Sandro Mazzola e Luis Suarez, dirigenti che affiancheranno Ronaldo nelle foto della presentazione. Nei Sessanta, oltre alle Coppe Campioni, alle Intercontinentali e agli scudetti, Angelo Moratti aveva quasi completato l’acquisto di Pelé. Il figlio Massimo, con Ronaldo, sta per esaudire il sogno della dinastia.
Tutta la trattativa è stata orchestrata proprio negli uffici della Saras, impresa petrolifera dei Moratti posta nel cuore di Milano, tra piazza San Babila e piazza del Duomo, a pochi metri dalle vie centrali dello shopping. È dal suo studio, intervistato dai giornalisti, che il 21 maggio il capo interista lancia un messaggio chiaro: "Su Ronaldo sono fatalista: abbiamo fatto un’offerta. Restiamo in attesa". A Barcellona, nella sede del club all’interno del Camp Nou, è stato nel frattempo fissato un incontro per il 27 maggio, alla presenza dei procuratori, del presidente Nunez e del vice Gaspart. È la giornata in cui succede di tutto e che porterà Ronaldo in nerazzurro, intervallata da continui colpi di scena. Di mattina l’accordo sembra raggiunto, tra il sollievo dei catalani e la delusione interista. La Gazzetta del giorno seguente recita: "Moratti: addio Ronaldo. Resta a Barcellona". Una doccia fredda. Ma nel pomeriggio, al momento della scrittura, il contratto inizia a sfumare. A sera inoltrata, quando una dolce notte primaverile è scesa sulla Catalogna, l’intesa salta. Branchini si è già alzato e ha abbandonato la riunione. Il quadro si è ribaltato. Il titolo del 29 maggio è esplicito: "Ronaldo verso l’Inter". Moratti è in viaggio quando riceve la notizia.
In realtà, l’Inter non ha dovuto battere solamente la concorrenza del Barça, ma di altre pretendenti. In particolare della Lazio di Sergio Cragnotti, finanziere d’assalto, uomo di azione e pochi scrupoli, con un album privato di campioni cui ha appena aggiunto Roberto Mancini. Per l’assalto a Ronaldo, ha utilizzato la Brombil, costola brasiliana della Cirio. Ha avvicinato gli agenti del giocatore a Rio, ma Ronaldo ha tenuto il punto. La partita non si è giocata unicamente sul piano sportivo, ma anche su quello economico, con sponsor e investitori chiamati ad appoggiare l’operazione. Se la Cirio ha usato Brombil, nonché una banca come Capitalia che finanzia quattro club di Serie A e per la quale lavora il presidente della Lega calcio, Franco Carraro, in un discreto conflitto di interessi, l’Inter ha contato su Pirelli. Il proprietario Marco Tronchetti Provera è amico di Moratti. Il sostegno è provato dalla presenza del logo aziendale sulle maglie, sodalizio nato nel ’95 e durato 25 anni. Pirelli ha puntato su Ronaldo anche come testimonial per il Brasile, novello Cristo redentore del Corcovado. Diventa un’immagine iconica e il legame di Ronaldo con Milano è ora sancito due volte.
Un’icona lo è in tutto e per tutto, Ronaldo. Non solo Pirelli, ma pure Nike, la multinazionale che ha deciso di legarsi a lui in maniera indissolubile. Lo spot pubblicitario per il Mondiale ‘98 celebra il matrimonio. Per garantirsi Ronie, come viene chiamato dai compagni, Nike ha firmato un’intesa senza precedenti con la nazionale verdeoro: 10 anni e 160 milioni di dollari, con il diritto di veto su date e sedi delle amichevoli. L’assenza del campione in un paio di esibizioni in Australia costerà nel ’98 2 milioni di dollari alla Federcalcio brasiliana. L’ultima novità però è che il baffo americano ha deciso di affiancare l’Inter dalla stagione ’98-99, fungendo da finanziatore indiretto. Dai 2 miliardi dell’inglese Umbro si passa ai 15 miliardi di Nike, che a conti fatti – possiamo dirlo - ha partecipato all’acquisto del Fenomeno.
Il rapporto tra Ronaldo e la Nazionale, sancito nell’accordo miliardario con la Nike, porta direttamente al 12 luglio 1998, il giorno della finale del Mondiale tra Francia e Brasile. Un anno dopo rispetto i fatti che stiamo raccontando. Allo stade de France ci sono 80mila persone che aspettano di assistere alla finale, 2 miliardi sono davanti alla tv. È la sfida tra Francia e Brasile, tra Zidane e Ronaldo. Ma nel pomeriggio, mentre in camera guarda il Gran Premio di Formula 1 che sta per laureare campione Schumacher, Ronaldo si sente male. Sono le 14.15 Ha le convulsioni, trema, ha la bava alla bocca. Il tutto dura un minuto ma è sufficiente a scatenare il panico nel ritiro. Il Fenomeno viene ricoverato in Ospedale. Qualche infermiere, pur vedendolo nel letto, gli ha chiesto l’autografo. Il Fenomeno raggiunge lo stadio in macchina da solo, accompagnato in auto. All’inizio non compare nelle formazioni ufficiali, Ronaldinha, parlando coi giornalisti in tribuna stampa, usa la parola medicina in tribuna. Mistero. Si parlerà di ingerenze dall’alto per farlo giocare, qualcuno accennerà alla Nike. È il minuto che manca nella carriera di Ronaldo.
Milano guarda con il fiato sospeso alla soluzione di una trattativa in pieno sviluppo. Ciò che pareva impossibile, ovvero portare in Italia il nuovo asso del pallone, è adesso una speranza che si diffonde in una città già rivolta con lo sguardo al futuro, a partire dai piani regolatori dei suoi nuovi quartieri. Il primo giugno, dalle colonne della Gazzetta, l’operazione è data per chiusa: "Ronaldo l’italiano". Ancora quattro giorni e i tifosi dell’Inter esultano davanti alle prime pagine della mattina: "Moratti rompe gli indugi. Ronaldo è dell’Inter, c’è già il contratto".
Ed eccolo, per la prima volta in televisione, il documento originale che il brasiliano ha sottoscritto nel ritiro della nazionale brasiliana durante la Confederation Cup in Francia, formalizzato in Lega calcio in un secondo momento. Nove milioni di dollari, cioè sei miliardi di lire per l’annata ‘97-98, cui aggiungere un bonus che porta a 31 miliardi e 320 milioni l’importo lordo al primo esercizio. Nelle 4 stagioni a seguire, la cifra è quella pattuita: 10 miliardi e mezzo lordi, 6 netti. La differenza, rispetto a Barcellona, è che l’accordo è stipulato senza diritti d’immagine e senza società terze. Ronaldo può relegarsi una splendida Ferrari per festeggiare.
Il talento del calciatore è smisurato. I paragoni si sprecano. Ronaldo ha una rapidità di esecuzione che non si è mai vista e che non si vedrà forse più. È il primo campione moderno, che compie ogni giocata a velocità doppia. Il primo gol in Serie A, segnato a Bologna contro il malcapitato Paganin, è un manifesto. L’arrivo sta per portare nel bilancio dell’Inter anche ottimi frutti, soprattutto 11mila abbonamenti in più, come si evince dalla lettura del bilancio del 1998. Ronaldo è dunque pronto fare le valigie dalla casa sul mare di Casteldefels, in cui ha abitato l’ultimo anno, per volare a Milano. Il Barcellona non ci sta e tenta di bloccare l’accordo. Il 6 giugno si legge: "Inter-Ronaldo salterà tutto?" Per Nunez e Gaspart, la clausola vale solo per la Spagna, seguendo una legge statale del 1985. Ronaldo si sfoga, vuole partire, proprio come era accaduto a Maradona 13 anni prima. Ma la Fifa tergiversa: la versione ufficiale è che non si voglia legittimare il crescente potere dei procuratori, più realisticamente è il nome del Barcellona a pesare. La Spagna ha in Angel Maria Villar il presidente federale, ma pure il futuro vicepresidente Fifa. È una misurazione di forze prima che di principi.
L’11 giugno Moratti si espone: "Non pago due vote Ronaldo". Blatter non si sbilancia e dice solo: "Prima di parlare, voglio vedere le carte". Il 19 giugno, l’Inter recapita sul conto corrente del Barcellona i 48 miliardi della clausola e il 21 giugno, la solita Gazzetta dà per chiusa l’operazione: "Ronaldo è suo". In realtà, è un braccio di ferro che non si conclude più, perché la resistenza degli spagnoli è strenua. L’uscita di Ronaldo, il ragazzo che ha vestito la gloriosa maglia blaugrana per un’unica stagione, è un macigno enorme sulla strada che conduce alle elezioni presidenziali del club.
Il primo luglio ecco l’ultimo grido: "Liberate Ronaldo". L’Inter ha presentato un lungo e documentato dossier alla Fifa. Il testo porta la firma dell’avvocato Paolo Nicoletti e di Guido Rossi, ex presidente dell’Antitrust e futuro numero della Federcalcio, l’uomo che certificando il primo posto dell’Inter nel 2006 si attirerà notevoli critiche. In queste pagine è scritta la vittoria del caso. In soccorso di Rossi e Nicoletti, arrivano le parole di Karel Van Miert, membro della Commissione europea di Strasburgo. È la voce della politica. Il 4 luglio, il titolo della sua intervista è esplicito: "L’Europa assegna Ronaldo all’Inter". Van Miert due anni prima ha partecipato alla stesura della sentenza Bosman, cioè alla decisione – presa in seguito al ricorso di uno sconosciuto giocatore belga – di liberare il trasferimento di giocatori comunitari all’interno dell’Europa. Per l’Italia, ciò significa la cancellazione del vincolo stabilito dalla legge 91 del 1981, rimpiazzato dal decreto 272 del ‘96, con cancellazione del calciatore come bene. È una tappa, nella storia del calcio, non meno della regola del fuorigioco.
L’Europa ha detto che la circolare 616 della Fifa, cui si appella il Barcellona, non può nulla contro il diritto comunitario. Il vento d’Europa soffia forte ovunque e il calcio non può certo arginarlo. È un sentimento differente a guidare le nuove generazioni. La chiamano così: generazione erasmus. È la bellezza del confronto con ragazzi di altri Paesi. I primi low cost aerei fanno il resto, avvicinando Berlino a Roma, Parigi a Madrid. Il percorso è stato lungo: dal piano per il carbone e per l’acciaio e dal Trattato di Roma del ’57 si è giunti a Mastricht 93, che ha sancito la circolazione libera di beni, servizi e persone. Inclusi i calciatori, dunque. Sul Continente sventola una preziosa bandiera azzurra con un numero crescente di stelle. Ai sei Paesi fondatori, tra cui l’Italia, si sono aggiunti molti Stati. Con il Muro di Berlino caduto, altri dall’est si aggiungeranno dopo il 2000. L’Europa, lacerata dalle guerre del Novecento, chiude il secolo unita.
Il governo Prodi ha come obiettivo proprio l’Europea e per entrarci ha messo a capo dell’Economia Carlo Azeglio Ciampi, nel ‘99 eletto presidente della Repubblica. L’austera politica monetaria porta il Paese a entrare nell’Unione europea nel 1998 assieme ad altri 11 Paesi di testa. L’euro, nelle mani degli italiani dal primo gennaio 2002, ha richiesto sacrifici grossi a un Paese in perenne disavanzo. Dal ‘96 al 2000 la produzione arretra del 5%, la lira si deprezza del 30% e la concorrenza asiatica – favorita dall’apertura delle politiche europee - è una botta durissima al made in Italy, impreparato alla globalizzazione. Quella crisi arriverà fino ad oggi.
Per questo l’acquisto di Ronaldo segna una pagina in controtendenza rispetto al quadro economico. Il più grande campione di calcio ha scelto l’Italia e non altri Paesi. Il 22 luglio, nella sede della Fifa, si tiene la riunione decisiva. Ci sono Moratti e Gaspart, gli avvocati e i presidenti delle Federazioni. La Fifa dà ragione all’Inter, ma le impone un risarcimento di 5 miliardi. Il 23 luglio la Gazzetta annuncia l’esito della vicenda: "Ronaldo, è Inter!”. Si agisce con un transfert provvisorio. Dal Sudamerica - dove ha appena vinto la Copa America – l’asso brasiliano può finalmente esultare "Grazie a Dio sto arrivando". La data fissata è quella del 25 luglio.
San Siro aspetta da settimane il campione. Quell’impianto, nato negli Anni 20 nella periferia nord-ovest di una città all’epoca in forte espansione, è cresciuto con il secondo anello degli Anni 50 e con il mastodontico e dispendioso terzo anello di Italia 90. È un luogo magico, sulla cui erba si sono espressi i migliori calciatori dell’universo. Ronaldo va a impreziosire una galleria già ricchissima. La prima volta a San Siro sarà domenica 27 luglio, con centinaia di bambini ad abbracciarlo nella notte del Torneo Pirelli, con la presentazione della squadra affidato al trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo. Quell’abbraccio dei più piccoli al Fenomeno è travolgente, commovente ed è certamente una delle immagini più tenere offerte dal pallone.
Milano trattiene il fiato. Il 25 luglio è una giornata storica. Il nuovo Re del calcio, l’industria di comunicazione che viaggia sulle sue gambe, è accompagnato da Susana Werner, ossia Ronaldinha.
In patria, lei è famosa quanto il fidanzato. Insieme hanno girato una soap ispirata al calcio. Susana, volto incantevole e modi eleganti, è curiosamente una calciatrice. Qualche squadra italiana, tra cui il Bologna donne, si è offerto di tesserarla. Ma la futura moglie di Julio Cesar, brasiliano e interista pure lui, guarda a Milano per la moda, per gli stilisti e per le agenzie di modelle. Sono anni in cui lo spettacolo incontra con frequenza i calciatori ed è una tendenza che si amplierà. In Inghilterra - con Beckham e la moglie Victoria, componente delle Spice Girls – esiste già una coppia reale. Ronaldo e Ronaldinha alloggiano nell’hotel più famoso della città, costruito agli inizi del secolo scorso, occupando la suite all’ultimo piano che pochi giorni prima ha ospitato una principessa vera: Diana Spencer, ex moglie del principe Carlo, in Italia per i funerali dell’amico Versace. Una strana coincidenza che porta a interrogarsi sull’incrocio fra i luoghi e gli uomini. Lady D, vittima di un incidente stradale sotto il ponte parigino de l’Almà, morirà il 31 agosto, commuovendo il mondo con la note di Elton John e riempiendo i giornali del globo. La celebrità, sempre più estesa in un mondo sempre più unico, vale per le principesse come per i calciatori.
La fama di Ronaldo è misurabile nel giorno della presentazione all’Inter, preceduta da un pranzo a casa Moratti. Per il presidente, è un momento di grande e comprensibile soddisfazione. Ha speso 53 miliardi di lire per averlo. A pranzo viene servito un tris di primi che richiama il tricolore, una sorta di auspicio. Quando è pomeriggio avanzato, Ronie viene accompagnato in via Durini. In quest’altro angolo di rigorosa architettura milanese, nello stile sobrio dei palazzi, ha sede la società nerazzurra, con gli uffici e le sale, tra cui quella dei trofei. È in questa stanza che Ronaldo trova, di fronte a sé, i flash, le telecamere, i molti giornalisti per la prima confenza stampa. Mostra la maglia numero 10, perché la 9 ha deciso di lasciarla – per questa stagione – a Ivan Zamorano. Fuori ci sono migliaia di tifosi che aspettano. Dal terrazzo di un notaio che ha lo studio sullo stesso piano della sede interista, ma con un affaccio migliore, il brasiliano saluta i nuovi sostenitori, mostrando la sciarpa nerazzurra. Il miracolo è compiuto: sono le 17.45.
Sta per iniziare una stagione meravigliosa e controversa, con grandi soddisfazioni e la delusione del mancato scudetto, non senza polemiche. La prima annata nerazzurra di Ronaldo reciterà 25 reti in 32 partite di campionato, secondo solo a Bierhoff tra i cannonieri. Gol in velocità e gol di potenza, contro le grandi avversarie di sempre e contro le formazioni più piccole, giocate da fuoriclasse che scaldano i tifosi, compresi quelli non interisti.
Ma resta la Coppa Uefa 1997/98 il palcoscenico più bello e prestigioso del primo anno di Ronaldo, con la finale indimenticabile di Parigi contro la Lazio. Al Parco dei principi, i nerazzurri battono, con tre gol di scarto, la corazzata di Eriksson, la stessa che aveva tentato di soffiare l’ambita preda. Come è stato impossibile marcarlo fuori del campo, così lo è sul prato verde. Il 3-0 è un capolavoro di classe e armonia dei movimenti, con una coordinazione dettata dal cielo. Serpentina agile, destro e palla che entra in rete, come altre volte di quel bellissimo primo anno. La notte di Parigi è quella in cui il popolo interista capì di avere in casa non solo il calciatore più forte del mondo, probabilmente uno dei più grandi di ogni tempo, ma anche un ambasciatore unico di felicità. Perché Luiz Nazario da Lima, per il mondo Ronaldo, è stato innanzitutto gioia e allegria, festa e spettacolo.
Un ragazzo cresciuto in una periferia polverosa, con il pallone tra i piedi come unico compagno di gioco, ha riscattato l’infanzia povera con un talento immenso, smisurato. Prima dei tanti gol, ha vinto con la meravigliosa spontaneità, il sorriso, un approccio divertito e immediato che lo ha reso diverso da tutti. È stato leggero e potente insieme, Ronaldo, soave e concreto allo stesso istante. Nella velocità di Ronaldo c’era la fuga dalle ristrettezze del passato, ma pure una corsa libera verso il futuro, incontro a un calcio inesplorato che con lui iniziava a prendere sostanza.
Ronaldo è stato il primo atleta moderno, testimonial per gli sponsor, attrazione per le tv, click per internet e idolo di una platea globale. In fondo a tutto restava però il campione semplice, rispettato dalle tifoserie avversarie. Amato soprattutto dai giovani, dalla generazione erasmus, così come dai bambini uguali a quelli che nel primo giorno a San Siro lo avevano sommerso con il loro affetto. Con Ronaldo non era arrivato in Italia solo l’ultimo grande campione giovane che ci siamo potuti permettere, ma soprattutto un testimone di gioia, leggerezza, allegria, spensieratezza, felicità. Un figlio perfetto del Brasile che è stato per vent’anni cittadino del mondo e un monarca del pallone. Uno che non ha mai smesso di essere un Fenomeno nella sua fenomenale normalità.