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Cosa succede a Berardi?

Serie A

Flavio Fusi

Il talento del Sassuolo è nella sua peggiore stagione in carriera, che conferma un trend involutivo preoccupante. Cosa succede a quello che Sacchi aveva predetto come "un giocatore totale"?

JUVENTUS-SASSUOLO, LE PROBABILI FORMAZIONI

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In un periodo in cui il calcio italiano fatica a produrre prospetti di altissimo livello, Domenico Berardi sembrava destinato a lasciare un segno indelebile sul nostro campionato e a farlo velocemente. Scorrendo i record della sua ancor giovane carriera è difficile non impressionarsi. È il più giovane giocatore nella storia della Serie A ad aver segnato quattro gol in una partita e il più giovane a raggiungere quota 30 gol in Serie A da 60 anni a questa parte. È il miglior marcatore del Sassuolo di tutti i tempi. È stato persino inserito per tre anni consecutivi nella lista dei migliori Under-20 al mondo stilata da Don Balón.

Eppure a quasi 24 anni, Berardi non ha ancora esordito in Nazionale e soprattutto non è mai riuscito a dare un seguito alle sue prime due straordinarie stagioni nella massima serie. A guardarlo giocare negli ultimi tempi, è quasi impossibile non essere attraversati da un sentimento di malinconia, immaginando ciò che poteva essere e non è stato. Non che un giocatore nato nel 1994 sia da considerarsi finito, tutt’altro, ma il progetto di campione nato a Cariati, scoperto su un campo di calcetto e svezzato dal Sassuolo e da Di Francesco sembra lontano dal realizzarsi.

In questo campionato Berardi ha segnato la miseria di 2 gol in 1328 minuti, di cui solo uno su azione. Un dato che conferma l’involuzione realizzativa mostrata nella scorsa stagione quando aveva segnato solo 3 reti su azione, e in quella precedente, dove su 7 gol segnati, 3 erano arrivati dagli undici metri e 2 da calcio di punizione. Cifre decisamente lontane dai 19 gol segnati, rigori esclusi, nei suoi primi due campionati di Serie A (10 nel 2013/14, 9 nel 2014/15).

 

Berardi sta tirando di più

Il dato per certi versi sorprendente è che Berardi non ha mai tirato tanto quanto in questa stagione. In media, sono infatti 3,9 i tentativi dell’esterno neroverde nell’arco dei 90 minuti, quasi il doppio di quelli provati nella scorsa stagione (2,1), cominciata con un infortunio ad agosto, arrivato subito dopo l’exploit nei preliminari di Europa League (5 gol in 4 partite). Ma anche prima dell’ultima maledetta stagione, non aveva mai fatto registrare un tale volume di tiro, pur mantenendosi sempre oltre le tre conclusioni (rispettivamente 3,7, 3,2, 3,6 nelle sue prime tre annate in A).

Su questi dati non c’è nemmeno una grande influenza dei calci piazzati visto che in altre stagioni ha calciato più da fermo di quanto non faccia quest’anno (0,29 conclusioni da calcio piazzato ogni 90 minuti). È vero che nel calcio vale l’adagio “se non tiri non segni”, ma anche concentrandoci solo sui tiri su azione, 3,6 tiri di media sarebbero giustificati solo da un contributo realizzativo altrettanto significativo, soprattutto per un esterno, ma come sappiamo, Berardi non supera i 3 gol su azione dal 2014/15.

Anche solo un semplice sguardo al rapporto gol/tiri di Berardi ci può dare un’idea di come sia peggiorato non solo il suo contributo complessivo, ma anche la sua efficienza realizzativa. Se Berardi non ha mai tirato così tanto da fuori, è al contempo vero che non ha mai fatto così male davanti alla porta: rigori inclusi, ha convertito solo il 3,4% delle sue occasioni (per avere un termine di paragone, l’attaccante medio converte in rete circa il 14% dei tiri che tenta). Nelle sue prime stagioni in Serie A aveva mantenuto una percentuale di conversione del 16,7%, ma le due successive stagioni erano state sotto-media, seppur con percentuali non così misere come quella di questa stagione: 7,95% nel 2015/16 e 12,2% nel 2016/17.

Come era prevedibile ed evidente anche solo osservando pochi video di Berardi, il suo volume di tiro è gonfiato da un numero eccessivo di tentativi da fuori area: quasi 2,5 ogni 90 minuti, che diventano 2,18 se escludiamo dal conto i calci di punizione. In questo campionato, solo altri sette giocatori di Serie A tentano in media almeno 2,0 tiri oltre la linea dei 16 metri per 90 minuti. Di questi sette nessuno tira più di lui e solo Suso lo eguaglia a 2,18 per 90. Se allarghiamo lo spettro d’analisi alle ultime cinque stagioni, cioè da quando il Sassuolo, e di conseguenza Berardi, è in A, vengono fuori solo altre 12 stagioni di calciatori di Serie A, compresa quella di Suso, che abbiano mantenuto una media di conclusioni da fuori uguale o superiore a quella di Berardi (questo esclusivo club include stagioni di calciatori come Diamanti, Zarate, Guarín, Ilicic e Hernanes, che non passeranno di certo alla storia per le loro sapienti scelte di tiro).

Per approfondire l’analisi su questo aspetto non possiamo fare a meno di utilizzare gli expected goals (xG), un indice che misura la probabilità che ha ciascun tiro di essere convertito in rete, tenendo conto di numerosi fattori, tra i quali la distanza dalla porta, l’angolo di tiro, il tipo di azione e il tipo di conclusione. Ebbene, gli expected goals ci portano ad una conclusione abbastanza sorprendente: quest’anno Berardi sta producendo praticamente lo stesso ammontare medio di xG generato negli anni scorsi. Se si esclude “l’annus horribilis” 2016/17 (0,1 xG generati ogni 90 minuti), è stato quasi scientifico nel mantenersi sulla stessa media: 0,23 xG per 90 nel 2013/14, 0,24 nel 2014/15, ancora 0,23 nel 2015/16 e 0,22 in questa stagione.

La mappa di tiro di Berardi della passata stagione, la peggiore della carriera. Più è grande l’indicatore più è alto il valore di xG del tiro. In giallo i gol.

 

Berardi sta tirando peggio

La differenza sta però tutta nell’efficienza realizzativa mantenuta di stagione in stagione, calcolata come il rapporto tra i gol senza segnati e quelli “attesi”, escludendo i rigori dal computo. Berardi è stato eccezionale nella sua prima stagione in A convertendo le occasioni con un’efficienza dell’1,75. Dato calato l’anno dopo a 1,25, ma sufficiente per ripetersi nel numero di gol segnati. Nel 2015/16 non è riuscito ad andare oltre un rapporto dello 0,75, per cui ha segnato meno gol di quelli che sarebbe stato lecito aspettarsi, ma la sua efficienza è salita di nuovo a 1,61 nella passata stagione: un balzo influenzato dal anche dal minor numero di tiri tentati, poco più di 2,0 complessivi e appena 0,67 nello specchio ogni 90 minuti. In questa stagione, in cui Berardi ha già generato più xG che in tutta quella passata (3,02 xG contro 1,92 xG), l’efficienza è crollata nuovamente, toccando un valore di 0,32.

La mappa di tiro di Berardi della Serie A 2017/18.


Nonostante il volume di tiro, Berardi non segna perché la sua selezione di tiro è inadeguata, come era prevedibile visto quanto tira da fuori. I suoi tentativi generano in media appena 0,058 xG, che lo collocano al 28.esimo percentile tra tutti i giocatori di Serie A che abbiano accumulato fin qui almeno 15 tiri (tradotto, il 71% degli altri si prende in media tiri più efficienti). Tuttavia, Berardi ha fatto comunque passo in avanti rispetto alla passata stagione in cui si era fermato a 0,048 xG per tiro, osservazione che sottolinea una volta in più quanto il 2016/17 sia per lui da dimenticare, ma è lontano dagli 0,08 xG per conclusione del 2014/2015, che pur non essendo un dato eccezionale era comunque accettabile per un attaccante esterno.

Una selezione dei tiri che si prende Berardi.


Berardi si è sempre preso un buon numero di conclusioni dalla distanza, anche per delle doti balistiche che di certo non gli mancano, ma anche perché il gol per lui è sempre stata la miccia che lo incendia. Il problema è che nelle ultime due stagioni, o meglio nell’ultimo anno visto che dopo l’infortunio è rientrato in campo solo a gennaio scorso, ha cominciato a forzare la conclusione ancora più di quanto non facesse, piuttosto che cercare di sorprendere gli avversari colpendo dal lato cieco o sfruttando la sua capacità innata di attaccare gli spazi. Da mancino schierato sulla destra, la sua giocata tipica lo vede partire largo per ricevere palla con maggiore libertà per poi rientrare verso l’area di rigore e, fin troppo spesso, concludere verso la porta. Il problema è che alla lunga è una tipologia di attacco prevedibile e che ormai tutte le difese del nostro campionato son più o meno preparate ad assorbire.

Berardi, pur essendo molto abile a difendere il pallone, non ha quella consapevolezza tecnica necessaria a dribblare sistematicamente gli avversari. Ha una percentuale di riuscita del 45,9% ma completa appena 1,2 dribbling ogni 90 minuti, che, per inciso, è un dato migliore rispetto alle sue prime due stagioni in A, ma piuttosto basso per un esterno offensivo. Il dato è condizionato anche dalla particolare tecnica di conduzione di Berardi, che è sempre finalizzata ad aprirsi lo spazio per tirare o cercare un compagno sul lato opposto, scoprendo quindi molto le proprie intenzioni. Quando viene raddoppiato Berardi non si scoraggia e prova conclusioni anche fuori equilibrio.

Berardi stoppa il pallone con le spalle alla porta ed ha tre uomini praticamente addosso, ma questo non gli impedisce di provare un tiro senza praticamente guardare il bersaglio.


Se è vero che Berardi coinvolge di più i compagni in zona offensiva rispetto alle prime due stagioni (15,4 passaggi terminati nell’ultimo terzo di campo per 90 minuti nel 2013/14, 18,1 l’anno successivo, oltre i 20 dal 2015/16 e 21,2 in questa stagione) è altrettanto vero che non crea abbastanza ed è ancora troppo attratto dalla porta. Sono solo 1,6 i passaggi chiave su azione per 90 (diventano 2,0 se aggiungiamo i piazzati), il dato più alto della sua carriera, ma ancora lontano dai migliori giocatori in quel ruolo. Berardi, insomma, non è ancora diventato il polivalente giocatore offensivo che prometteva di poter essere e il suo percorso evolutivo sembra essersi fermato.

I dati confermano in maniera oggettiva come Berardi non sia migliorato, ma resta complicato spiegare perché il suo sviluppo si sia arrestato e perché sotto certi aspetti sia persino involuto. Il fatto di aver giocato praticamente per tutta la sua carriera con Di Francesco come allenatore potrebbe non aver favorito il suo sviluppo. Sappiamo quanto il calcio dell’attuale allenatore giallorosso sia fatto di movimenti offensivi collaudati, a volte eseguiti al limite del meccanico. Aver trascorso cinque fondamentali stagioni in questo sistema ha esaltato i suoi migliori talenti, ma non lo ha costretto a superare i propri limiti, diventando il giocatore totale che Sacchi aveva predetto.

D’altronde, la caratura calcistica di Berardi non è mai stato definita da capacità tecniche da predestinato, ma piuttosto dal suo gioco istintivo, addirittura migliore senza palla che col pallone. Un’originalità che da adolescente lo faceva sembrare il prototipo del calciatore moderno, duttile e polifunzionale, pronto a giocare anche da attaccante o da trequartista. La specializzazione tattica di un ragazzo che tra l’altro non aveva alle spalle il “classico” percorso da calciatore di settore giovanile, potrebbe avergli impedito di esplorare tutti gli aspetti del suo potenziale. 

In questo senso non ha aiutato nemmeno la gestione dell’infortunio al legamento collaterale del ginocchio sinistro, proprio quello del piede preferito, a cui è seguita una ricaduta in allenamento che lo ha tenuto fuori per oltre metà stagione. Un infortunio arrivato peraltro nel momento forse in assoluto migliore della sua carriera, quell’estate in cui sembrava essere sulla buona strada per compiere il definitivo salto di qualità, quando fece 5 gol in 3 partite.

Non solo, oltre alla ricaduta, la mancata chiarezza da parte della società sulla vicenda, ha fatto sì che si speculasse più del dovuto sul suo rientro. Il “mistero Berardi” è montato velocemente e l’unica conseguenza è stato il peggioramento dello stato emotivo di un giocatore da sempre riservato e probabilmente, da quanto trapela all’esterno, anche complicato a livello caratteriale.

Un’altra ipotesi che probabilmente non è lontana dalla realtà è che i numeri di Berardi ci abbiano sempre portato a sopravvalutarlo, a perdonargli quei momenti in cui perdeva il controllo o si estraniava dalla partita. Come detto si tratta del più giovane calciatore a segnare 30 gol in A dal 1958, ma è altrettanto vero che ben 11 erano rigori. Sappiamo ormai come, di anno in anno, i rigori vengano segnati con una percentuale di realizzazione tra il 75% e l’80% in tutti i campionati, europei e non, e non rappresentano una statistica particolarmente indicativa dell’abilità complessiva di un attaccante. Leggere che Berardi ha segnato 19 gol su azione nelle sue prime 59 partite in A rimane comunque una statistica impressionante, ma non così impressionante come 30 gol in 59 partite, cioè più di un gol ogni due partite a 20 anni.

C’è di più: Berardi non ha mai fatto registrare percentuali di conversione “scandalose”, di quelle che sono destinate a regredire inesorabilmente verso la media, ma si è trovato a finalizzare una grande quantità di “big chances”, quei tiri che, secondo la definizione di Opta, ci si aspetta ragionevolmente che vengano convertiti in rete. Rigori inclusi, Berardi ha convertito 12 big chances su 12 nel 2013/14 e 13 su 17 nel 2014/15, mantenendo una percentuale di conversione di oltre l’86%. Dal 2012/13, in Serie A la percentuale media di conversione delle “big chances” è del 43,2%. Nelle ultime tre stagioni, Berardi ha avuto altre 22 “big chances”, ma è riuscito a convertirne solo 9, cioè il 40,9%, un dato ben più in linea con la quanto avviene di norma nel nostro campionato. È indubbio che l’attaccante del Sassuolo abbia beneficiato degli effetti positivi della varianza nella fase iniziale della sua carriera, causando al contempo una distorsione nella nostra valutazione delle sue abilità realizzative. Berardi convertiva grandi occasioni ad un ritmo insostenibile e guadagnava così sempre più credito; appena la sua percentuale di realizzazione è calata abbiamo cominciato a vedere i suoi difetti.

Non tutto però è perduto. Nel nostro calcio molti dei coetanei di Berardi non trovano continuità in prima squadra, mentre lui raggiungerà a breve le 200 partite tra i professionisti. La svolta potrebbe essere un cambio di maglia, l’irreversibile scoppio della bolla neroverde in cui è diventato uomo, ma dove si è anche rinchiuso in cerca di protezione, per rimettersi in discussione in un contesto di più alto livello. Il treno Juventus è ormai passato, la speranza è che qualcun altro sia pronto a rischiare su un calciatore come Berardi, che forse non diventerà mai quello che tutti sognavamo.