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Serie A, la stagione di crescita di Mandragora

Serie A

Emanuele Mongiardo

Un punto sulla stagione del centrocampista in prestito alla Juventus, che in Calabria si è fatto le ossa mostrando punti di forza e limiti di un talento indiscutibile

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Sono passate quattro stagioni da quel Genoa-Juventus in cui Gasperini aveva concesso a Rolando Mandragora l’esordio in Serie A. Un match infrasettimanale sorprendente, deciso da un gol  di Luca Antonini al 94’.

Il mediano di Scampia, minorenne e senza esperienza, non aveva tremato di fronte a Paul Pogba e anzi si era calato perfettamente nel contesto della partita, pur fedele al proprio stile di gioco, ben rappresentato dal tackle in area col quale aveva negato a Morata il pallone del potenziale 0-1.  Da allora Mandragora ha maturato una certa esperienza nel calcio italiano. La cavalcata verso la A col Pescara di Oddo, l’acquisto da parte della Juventus e l’esperienza da capitano con la Nazionale al mondiale U-20 dello scorso anno. Nel mezzo, purtroppo, quasi un anno intero di stop a causa di un infortunio al piede destro. Quest’estate finalmente, Mandragora è potuto tornare in Serie A. Per garantirgli un buon minutaggio la Juve lo ha girato in prestito al Crotone.

C’è un filo rosso fra tutte le esperienze di Mandragora: la capacità, straordinaria per un ragazzo di vent’anni, di adattarsi al meglio nei contesti più disparati. In Abruzzo era il perno del primo possesso della squadra di Oddo, che ne aveva messo in luce le doti in distribuzione; addirittura, per facilitare la prima costruzione, molte volte partiva da difensore centrale. Con l’U-20, in una squadra inferiore a molte avversarie, che spesso si ritrovava a difendere a pochi metri dalla propria porta, doveva anche aggiungere una certa inventiva nelle giocate per collegare centrocampo e attacco. A Crotone, infine, si è riscoperto fondamentale con due allenatori diversi - Nicola prima e Zenga adesso - in contesti tattici all’apparenza non proprio ideali per le sue caratteristiche.

Le zone inesplorate del talento di Mandragora

Il Crotone di Nicola lo scorso anno è riuscito a raggiungere l’impresa della salvezza attraverso un cambio di rotta nell’approccio alle partite, con un sistema di gioco intenso e diretto che nascondeva i limiti tecnici della squadra. Anche quest’anno l’ex tecnico del Livorno era rimasto fedele ai propri principi.

4-4-2 classico con un’interpretazione quasi britannica del calcio, con molti lanci lunghi verso le torri Budimir e Trotta e centrocampisti ed esterni pronti ad aggredire le seconde palle per attaccare l’area avversaria. A naso Mandragora non dovrebbe rientrare nei canoni di un impianto di gioco quasi privo di sovrastrutture. Si tratta di un metodista in grado di abbinare doti difensive a un grande senso per il palleggio ragionato, ma Mandragora ha innanzitutto un’ottima struttura fisica. Col suo metro e ottantatré riesce a sopravvivere in un campionato sempre più esigente dal punto di vista atletico. Le gambe lunghe e slanciate lo fanno sembrare più alto e lo avvantaggiano nei contrasti e gli permettono di avere una discreta elevazione.

Parte da mediano di sinistra nel 4-4-2, ruolo che ricopre anche nell’attuale U-21, di cui è capitano. L’interpretazione però è totalmente diversa. Mentre in Nazionale condivide i compiti di regia con l’altro interno, Barella, e la sua funzione principale è la verticalizzazione sulle punte, a Crotone gioca con consegne più simili a quelle di una mezzala che non di un mediano.

Solitamente l’azione del Crotone si sviluppa sulla fascia, con movimenti coordinati tra terzino e laterale di centrocampo, aiutati eventualmente dal taglio verso l’esterno di una delle punte. Se però i rossoblù non riescono a risalire il campo sulla fascia, la prima opzione offensiva è la palla in verticale verso le punte o verso gli esterni che si alzano nella zona dei terzini. Spesso è Cordaz ad effettuare il lancio, altre volte invece tocca ai difensori centrali. I centrocampisti raramente si propongono per aiutare la costruzione e il loro apporto alla fase offensiva però è irrinunciabile: appena parte il lancio devono accorciare verso la zona di caduta e occupare la posizione migliore per raccogliere la seconda palla e sfruttare l’entropia generata dal lancio per sorprendere la difesa avversaria. Una funzione che sollecita alcuni aspetti fino ad ora inediti del talento di Mandragora e che gli permette di interpretare  egregiamente le richieste di Nicola.

Grazie alle gambe lunghe possiede una falcata che gli permette di correre lungo il campo con buona velocità. Soprattutto, Mandragora possiede delle letture sopra la media, con e senza il pallone tra i piedi, che gli permettono di intuire in anticipo dove finirà la sfera. Molte volte non ha bisogno di correre disperatamente verso il pallone perché sa leggere benissimo i rimbalzi e può raggiungere in anticipo la zona di caduta. A questo punto può far valere il proprio vigore atletico per contendere il possesso agli avversari anche in situazioni concitate. Se la palla resta alta, possiede lo stacco per giocarla in avanti di testa. La buona struttura fisica lo rende resistente ai contrasti, mentre può usare le gambe lunghe per insinuarsi tra gli avversari e rubargli il pallone.

Sono situazioni di gioco che si evolvono sulla trequarti avversaria e che, dal caos, determinano la fase offensiva del Crotone. A quel punto, da mediano, Mandragora resta in zona avanzata e si trasforma in un trequartista che deve supportare le trame offensive della squadra.

Una volta guadagnata palla si può aprire il possesso sull’esterno per attivare le combinazioni ala-terzino, mentre centrocampisti e attaccanti occupano l’area per ricevere il cross. Altrimenti si può giocare direttamente in verticale sulla punta, cercando brevi combinazioni palla a terra col centrocampista che si muove in avanti e l’esterno che viene dentro al campo. Quando il Crotone riesce a sviluppare il gioco a ridosso dell’area Mandragora può assecondare la propria inclinazione al tiro dalla distanza. Ha una media di un tiro a partita, terzo in rosa tra i giocatori con almeno quindici presenze alle spalle di due attaccanti come Trotta e Budimir. È una soluzione istintiva ma ancora da raffinare, soprattutto nelle scelte. Il Crotone non sempre costruisce dei tiri puliti e spesso Mandragora prova a concludere anche in conduzioni non molto favorevoli; così si spiega il 31% di precisione.

La combinazione tra movimenti offensivi sulla trequarti e tiri dal limite gli è comunque valsa il primo gol in Serie A, firmato a settembre contro il Benevento. Più che la conclusione, straordinaria per coordinazione e controllo, è interessante notare la lettura perfetta dell’azione da parte di Mandragora. Il Crotone imposta con Ceccherini all’altezza del centrocampo. Il difensore gioca il pallone in verticale su Simy al limite dell’area. La punta nigeriana controlla con l’avversario alle spalle e costringe difesa e centrocampo del Benevento a collassare su di lui. In questo modo si crea un buco sulla trequarti campana. Appena parte il passaggio di Ceccherini, Mandragora corre verso il limite dell’area in prossimità di Simy, come se avesse già capito che il Benevento si sarebbe spostato in massa verso l’attaccante. Simy gioca subito il pallone su Stoian che si muove incontro; quando il rumeno riceve Mandragora è già nel buco creato dal movimento della difesa avversaria e ruota il corpo verso il compagno per chiamargli il passaggio. L’appoggio di Stoian è leggermente arretrato. Mandragora probabilmente aveva già programmato la conclusione e, per non perdere tempo, controlla al volo col piatto in modo da spostare il pallone in avanti a mezz’aria per calciare di collo sinistro.

Terzino, mediano e centrale destro del Benevento collassano su Simy. Stoian ha lo spazio per rientrare mentre Mandragora si muove verso il limite dell'area.

Stoian riceve da Simy e appoggia a Mandragora al limite. Il centrocampista stoppa d'interno e calcia di collo sinistro sul secondo palo.

Se prima Mandragora sfruttava l’intelligenza nelle letture soprattutto nella propria metà campo, ora lo fa più vicino alla porta avversaria. Capita che per aiutare la costruzione in fascia una delle punte, Trotta soprattutto, tagli verso l’esterno. Se il movimento dell’attaccante attira fuori posizione un difensore, allora si apre un nuovo spazio in area.  Mandragora, partendo da centrocampo, può sfruttare lo spostamento dell’attaccante e, di conseguenza, del difensore, per attaccare in corsa l’area avversaria, come una vera e propria mezzala d’inserimento.

Prima Nicola e poi Zenga, insomma, hanno riadattato secondo le proprie esigenze alcune sfumature del talento di Mandragora, che ha ampliato il proprio bagaglio calcistico in fase offensiva, soprattutto senza palla. Quando Zenga col suo 4-3-3 ha optato per una formazione più difensiva, con Ajeti mediano, non ha comunque rinunciato a Mandragora schierandolo da mezzala sinistra, dove ha confermato la sua capacità di adattamento.

Qualche secondo prima Mandragora raccoglie una seconda palla di testa e serve Simy che viene incontro, portando con sé Gravillon, il difensore centrale. Si è aperto un buco nella difesa giallorossa e Mandragora corre in avanti per occuparlo.

Simy appoggia per Stoian. Nel frattempo Mandragora prosegue la sua corsa verso lo spazio liberato dal movimento incontro del nigeriano.

Stoian alza il pallone per servire Mandragora sulla corsa. Il centrocampista cambia gioco verso Trotta che raccoglie il pallone in area e con un taconazo alla Guti serve l'inserimento di Rohden.

Restano comunque dei limiti nell’interpretazione del ruolo, figli delle sue caratteristiche palla al piede. Mandragora riesce con naturalezza a proteggere palla e ad evitare gli avversari quando gioca davanti alla difesa per via della minore densità in quella zona di campo. Quando invece deve portare palla sulla trequarti, e gli spazi inevitabilmente si intasano, allora la sua tecnica si normalizza e il corpo e le gambe lunghe, tanto utili se c’è da proteggere palla a ridosso della propria area, diventano un intralcio.

First team all defense

Mandragora quindi ha dovuto rinunciare, almeno in parte, ad alcune delle sue peculiarità palla al piede per adeguarsi al sistema di gioco del Crotone. In compenso però, ha trovato il contesto giusto, per esaltare le proprie doti difensive, eccellenti se si considera che questo è il suo primo vero anno di Serie A. Tra i calabresi secondo WhoScored è primo sia per contrasti (2,6) sia per intercetti (2,4, solo Badelj fa meglio di lui tra i centrocampisti del campionato).

Quest’ultimo dato è soprattutto figlio della prima parte di stagione con Nicola in panchina, in cui, secondo Squawka, Mandragora arrivava a intercettare 3,2 palloni per  90’, quantità dimezzatasi invece durante la gestione Zenga (1,5). Si tratta di una statistica legata alla posizione in campo di Rolando e al conseguente atteggiamento.

Esistono delle affinità tra i due sistemi di gioco adottati dal Crotone durante la stagione. Entrambi ad esempio hanno una difesa a zona orientata sull’uomo. Tuttavia, nel 4-3-3 di Zenga Mandragora abbassa il proprio baricentro rispetto al 4-4-2. Nicola preferiva assestare il blocco medio della squadra all’altezza del centrocampo, con la difesa avversaria libera di impostare.

Durante il giro palla tra i difensori avversari, i mediani dovevano coprire il centro, attenti a non creare troppo spazio tra sé e la linea difensiva. Per Mandragora in questo modo era più facile intuire l’eventuale verticalizzazione dalla difesa; sfruttando la propria intelligenza per muoversi lateralmente in anticipo e chiudere la linea di passaggio.

Quando si tratta di recuperare palla, Mandragora lo fa con uno stile inconfondibile. È un amante dei tackle, favoriti dall’eccellente tempismo e dalla lunghezza delle gambe. Non è uno di quei giocatori che usa le scivolate solo per togliere il pallone dai piedi dell’avversario ma anche per tagliare le traiettorie dei passaggi.

Skriniar, uno specialista del fondamentale, prova a servire il compagno sulla trequarti con una verticalizzazione. Appena lo slovacco alza la testa Mandragora intuisce la giocata e si muove lateralmente verso il destinatario del passaggio.

Se però i difensori avversari cercano di insistere col possesso basso, la prospettiva cambia. Se il pallone passa tra i piedi dei centrocampisti, i mediani del Crotone devono alzarsi in pressione su di loro, specie in situazioni scomode come le ricezioni alle spalle. Mandragora, grazie alla propria capacità d’analisi, invece di avventarsi sull’avversario può decidere di aggredire in avanti la linea di passaggio, per rendere ancora più minaccioso l’intercetto.

Col 4-3-3 Mandragora si abbassa per tornare nel proprio ruolo originario, quello di vertice basso di centrocampo. Spesso, soprattutto se riesce a passare in vantaggio, la squadra si abbassa a ridosso della propria area, per recuperare palla e, eventualmente attaccare il campo alle spalle degli avversari in transizione. I movimenti laterali verso la linea di passaggio possono ora essere schermati dalle mezzali.

Mandragora resta comunque fondamentale. Da metodista deve cercare di rendere impermeabile la struttura difensiva del Crotone, soprattutto con coperture preventive alle spalle dei compagni che escono in aggressione sul portatore di palla avversario. Così, se il difensore centrale esce alto in marcatura sull’attaccante che si muove incontro, Mandragora deve coprirlo al centro della difesa; se il terzino si stacca per aggredire l’esterno avversario, allora dovrà scivolare per non lasciare scoperto quel lato della linea difensiva. Un modo sempre diverso, in definitiva, di sfruttare l’innato senso della posizione di un centrocampista nato, ricordiamolo, nel giugno del ‘97.

Mandragora comunque non si limita a tappare buchi e a difendere le linee di passaggio. Anche quando deve giocare in riferimento all’avversario dimostra di avere delle ottime doti, seppur migliorabili. Quando l’avversario riceve spalle alla porta può decidere di aggredirlo non solo per allontanarlo dalla propria porta; come un polipo che avvinghia la conchiglia coi tentacoli per risucchiare il paguro, Mandragora riesce prendere contatto con l’avversario ed usare le gambe lunghe per provare a togliergli il pallone dai piedi o quantomeno per sporcare il possesso.

Leve lunghe di cui si avvale anche negli uno contro uno difensivi. Anche quando si tratta di difendere in isolamento, Mandragora cerca di restare sempre in controllo della situazione, provando a determinare le scelte dell’avversario tramite la postura del corpo. Si posiziona sempre in modo da negare la conduzione verso il centro del campo, invitando così chi porta palla a muoversi verso il fondo; in quel caso ha una discreta velocità che gli permette di non perdere terreno.

Il problema di questo tipo di atteggiamento, col corpo a volte troppo piatto proprio per negare il più possibile all’avversario il centro del campo, è che rischia di rendere prevedibile la sua fase difensiva. Se l’avversario ha la sensibilità di tocco giusta per puntarlo verso l’interno spostando velocemente il pallone, la posizione del corpo troppo frontale gli impedisce di seguire il movimento. Secondo Squawka vince appena il 38% degli uno contro uno difensivi, troppo poco per un giocatore con questo potenziale difensivo. Forse l’eccessiva fiducia nelle proprie doti di recupero finisce per indebolire la sua capacità di gestione dei duelli individuali.

Alla ricerca dell'habitat perfetto

La stagione di Mandragora a Crotone ne ha certificato il valore anche in Serie A. Soprattutto, si è dimostrato all’altezza di un campionato in cui non si prescinde dalla fase difensiva, soprattutto nelle squadre di bassa classifica. Se nella prima parte di stagione il suo talento palla al piede era rimasto nascosto tra le pieghe del sistema di Nicola, l’avvento di Zenga ha reso un po’ più evidenti le sue qualità principali.

Il nuovo Crotone è meno verticale di prima e cerca di avanzare con le combinazioni tra terzino, mezzala e ala tipiche del 4-3-3. Quando non riesce a costruire palla a terra non disdegna comunque il lancio lungo sugli attaccanti, soprattutto in quest’ultimo periodo con Simy punta e Trotta reinventato ala sinistra.

Mandragora non ha la centralità dei registi delle grandi squadre nel sistema offensivo rossoblù. Molte volte si limita a proporsi per poi giocare subito la palla verso la fascia. Tuttavia, la ricerca meno esasperata della verticalità gli ha permesso di giocare con più agio la fase di possesso. Col pallone tra i piedi emerge tutta la differenza tra Mandragora e i compagni; mentre gli altri cercano di giocare subito verso gli attaccanti, lui sa quando è il momento di dare una pausa all’azione e preferire un passaggio corto a una verticalizzazione poco vantaggiosa.

La sua tecnica a ridosso della difesa è un’ottima arma per costruire con calma ed eludere il pressing avversario. Sono aspetti che in un sistema che resta a vocazione prettamente diretta si intravedono appena. Come i suoi cambi gioco e i suoi passaggi di piatto sinistro in grado di affettare le linee di pressione avversarie.

I momenti in cui Mandragora ha avuto occasione di sfoggiare la propria superiorità tecnica suggeriscono che, per quanto sia stato bravo ad assecondare le richieste di Nicola e Zenga, l’habitat perfetto per lui sarebbe una squadra in grado di giocare con calma il pallone e di cercare uno sviluppo più ragionato della fase offensiva.

Di sicuro Crotone lo ha fortificato, ma sarà importante affermarsi in squadre con un approccio diverso al calcio. Il ricambio generazionale in vista alla Juve potrebbe essere l’occasione più importante per la carriera di Mandragora. Qualora non dovesse rientrare nei piani dei bianconeri dovrà comunque cercare una squadra di elevata caratura tecnica, dove far crescere le proprie qualità sia difensive che offensive e dimostrando di essere tecnicamente all’altezza dei migliori palcoscenici.