Il centrocampista della Roma ha come modello Kakà, ma in che cosa il brasiliano può aver ispirato il suo gioco? Proviamo a decifrare uno dei talenti più originali del calcio italiano
Alla sua nona presenza stagionale, contro l’Inter che lo ha formato, Nicolò Zaniolo ha giocato un’altra partita di grande spessore. Da quando ha esordito con i professionisti, non ha ancora giocato una prestazione opaca. In ogni partita ha avuto almeno un momento significativo, che ha messo in mostra un potenziale da scoprire. Ha mostrato la sua abilità nella protezione del pallone contro la Fiorentina; tutta la sua forza fisica in un’azione solitaria contro il CSKA; ha messo Under davanti alla porta vuote del Real Madrid; ha messo in seria difficoltà la difesa dell’Inter con i dribbling nello stretto. Come per ogni talento di prospettiva, l’opinione pubblica si è lanciata nell’esercizio dei paragoni: del resto Zaniolo è un giocatore originale, un trequartista di un metro e novanta con un uso del corpo da cestista, per certi versi non assomiglia a niente che abbiamo già visto. Allora riportarlo a un modello familiare, al già noto, può essere considerato come un istinto quasi naturale.
L’appiglio per il paragone più eclatante lo ha fornito lui stesso, definendo Kakà come il suo idolo, il suo modello, il giocatore che ha amato fin da bambino. Lo ha dichiarato mentre era ancora alla Virtus Entella, dopo il suo passaggio all’Inter, dopo la sua prima convocazione in Nazionale. Anche nell’intervista a l’Ultimo Uomo, rilasciata meno di un mese fa, ci aveva detto che il suo giocatore preferito da bambino era Kakà: «Aveva un cambio di passo che lasciava dietro due o tre avversari alla volta. Aveva una potenza e una tecnica fuori dal normale. Il gol all’Old Trafford è quello che per me rappresenta Kakà».
Da qui ad associare Zaniolo a Kakà, per qualcuno il passo è stato breve. Certo, il trequartista brasiliano è stato, per molte cose, il primo della sua stirpe: il primo numero dieci in grado di abbinare capacità di rifinitura e passo da quattrocentista; e per questo negli anni si sono susseguiti diversi “nuovi Kakà” sono entrati nel nostro immaginario calcistico: Lucas Piazon; Ricky Alvarez; Riccardo Saponara. A volte bisognava essere un rifinitore alto ed elegante, altre bastava essere trequartisti, bianchi e brasiliani, come Oscar.
Ci sono due modi per usare questo tipo di paragoni: da una parte possiamo lasciarci fuorviare da un confronto troppo grande, cercando di fissare un orizzonte di aspettative irraggiungibile; dall’altra il confronto può mettere in luce affinità e divergenze utili a definire un po’ meglio il giocatore di cui stiamo parlando. Paragonare Zaniolo a Kakà in termini di valore calcistico sarebbe un’operazione totalmente assurda; però possiamo chiederci se, anche grazie ai neuroni a specchio, è plausibile che l’amore e la visione prolungata di video di Kakà abbiano condizionato in qualche modo lo stile di gioco di Zaniolo? E, soprattutto, in modo?
Cos’è un trequartista verticale
Va detto subito che da un certo punto di vista Zaniolo somiglia a Kakà meno di altri giocatori a lui paragonati in passato. Innanzitutto perché Zaniolo non ha quella leggerezza aerea con cui si muoveva il brasiliano, e che forse era la cosa che lo rendeva davvero speciale, e il vero motivo dell’amore nei suoi confronti: Zaniolo invece ha il passo pesante e quando corre sembra fare i buchi a terra come i robot giganti di Pacific Rim.
Eppure c’è qualcosa nell’interpretazione del ruolo che accomuna Zaniolo a Kakà. Se i trequartisti centrali prima del brasiliano erano dei registi offensivi, in grado di fare da raccordo fra i due reparti, cucire il gioco e fare da rifinitori, con Kakà è nata la figura del numero 10 che doveva spaccare le difese in transizione con le sue corse centrali. Già in altri trequartisti (tipo Rivaldo, il primo Bergkamp) era presente questa caratteristica, ma Kakà è entrato nel nostro immaginario come una sorta di archetipo di nuovo numero 10.
In questo senso va riconosciuto che Zaniolo ha un’interpretazione del ruolo simile: quando riceve palla è poco riflessivo e il suo primo pensiero è mettersi in moto per affrontare la difesa palla al piede, oppure cercare la profondità con un pallone in verticale. Nell’azione del video sotto, ad esempio, prende d’assalto la difesa del CSKA vincendo due duelli fisici e cercando il dribbling sul difensore che scappa all’indietro, preferendo la soluzione individuale allo scarico verso Dzeko, solo in area di rigore.
Un’altra azione significativa di questa sfaccettatura del suo talento, in queste prime presenze, è proprio un’accelerazione in transizione, all’esordio con la maglia della Roma al Bernabeu contro il Real Madrid. Zaniolo prende palla vicino alla propria area e lo porta fino all’area avversaria. Nel mezzo riesce a superare Gareth Bale con un cambio di passo.
Il primo pensiero di Zaniolo una volta ricevuto il pallone, è di scombinare le difese avversarie. E non è da sottovalutare la sua rapidità di lettura delle tracce offensive: se Zaniolo non spicca per una sensibilità al velcro nell’ultimo passaggio, almeno non al livello dei migliori in quel ruolo, vede però molto bene il gioco in profondità. Nella recente partita dell’U-21, ad esempio, ha messo in scacco tutta la difesa della Germania con un grande filtrante che taglia la difesa avversaria e mette Orsolini in condizione di giocarsi l’uno contro uno.
L’arte di arrangiarsi in un calcio senza spazi
Quindi Zaniolo si ispira a Kakà almeno per la sua visione verticale, a partire dalle zone centrali del campo. Se però il brasiliano usava soprattutto la sua tecnica in velocità per superare i suoi avversari, non entrandoci mai in contatto, Zaniolo, che non è lento ma non ha certo quel cambio di passo, e soprattutto non ha lo stesso controllo di palla, deve per forza di cose manipolare i suoi avversari con il corpo. Non è mai del tutto in controllo, anzi, sembra amare perdere il contatto col pallone, fino ad arrivare sul punto di perderlo, per poi riprenderselo con un guizzo imprevisto o con una dimostrazione di forza e determinazione sempre superiore a quella degli avversari.
Come quando, contro l’Inter, sembrava ormai essersi chiuso in un vicolo cieco, prima di saltare Borja Valero con un tunnel di suola. La sgraziatezza e l’efficacia con cui Zaniolo si muove dentro l’area di rigore racconta di un talento che per molti aspetti è il contrario dell’idea di purezza e di eleganza che cerchiamo in un numero 10 ma che, in fondo, ci dice di più sulle esigenze del calcio dei nostri giorni che sul talento di chi lo gioca.
Zaniolo non sembra aver bisogno di spazi per esprimere il proprio talento. Anzi, più il campo gli si stringe attorno, più sembra a suo agio. In questo aspetto, più che Kakà, ricorda quei centrocampisti messi dietro le punte per sfruttare la loro presenza fisica, nell’attacco dell’area di rigore o sulle seconde palle (eccellenze fisiche come Vidal, Fellaini o, in modo ancora diverso, Milinkovic-Savic). Un’attitudine che la Roma sfrutta ancora poco, soprattutto perché pressa in maniera meno coordinata rispetto allo scorso anno, ed è meno efficace sulla conquista delle seconde palle.
Con Zaniolo in campo, però, la squadra di Di Francesco sembra riuscire a pressare con più facilità, grazie alla sua predisposizione al contatto fisico e all’intensità: spesso attacca in pressione i suoi avversari anche quando il recupero del pallone sembra impossibile, con una concentrazione quasi da pazzo, e spesso la squadra alle sue spalle non lo segue. Zaniolo sembra sempre genuinamente convinto di poter riconquistare palla, e l’esempio migliore è la palla che ha recuperato su una rimessa del Real Madrid, per poi servirla a Cengiz Under al centro dell’area.
Zaniolo ha giocato dietro le punte tutta la sua carriera giovanile. Eppure nell’intervista a l’Ultimo Uomo ha dichiarato che il suo futuro non è quello del trequartista ma della mezzala.
Il primo a vederlo in quella posizione è stato Stefano Vecchi, che lo ha allenato nella primavera dell’Inter. Il tecnico è tornato sul suo talento di recente, dicendo che se vuole esprimersi ad alti livelli deve diventare una mezzala box-to-box come Lampard o Gerrard. «Per giocare trequartista devi fare qualcosa di determinante ad ogni palla che tocchi, da mezzala no» ha dichiarato, dando quasi per scontato che lui non abbia le qualità per essere sempre pericoloso vicino alla porta.
Un futuro da mezzala?
Zaniolo finora è stato usato solo come trequartista, in un 4-2-3-1 che in effetti per lui che non può giocare fra i due mediani non prevede molte altre alternative, ma non è detto che in futuro non possa trovare spazio in un 4-3-3 nella posizione di mezzala. Un ruolo che sta già ricoprendo in U-21 con ottimi risultati. In quella posizione dovrebbe provare a ragionare di più, con e senza palla, non andando sempre e comunque in verticale. Ma è pur sempre la tensione verso la porta avversaria che rende Zaniolo un giocatore speciale.
In alcuni scorci di gioco in cui si è trovato a occupare una zona di campo più arretrata, Zaniolo ha mantenuto una certa attitudine a provare a correre nei corridoi centrali, provando a spezzare le linee avversarie.
Zaniolo però sembra diminuire di precisione e sensibilità tecnica man mano che i ritmi si abbassano e il suo gioco deve farsi un po’ più riflessivo. Per questo, per esprimersi al meglio, avrà bisogno sempre di giocare in un contesto tattico ad alti ritmi e con una forte impronta verticale, che non si facciano problemi a lasciarsi a volte disordinare dalle sue corse col pallone e che lo mettano in condizione di difendere sempre in avanti e mai all’indietro. Per sua fortuna, il calcio oggi sembra andare sempre più verso questa direzione.