Zion Suzuki, il portiere dei quattro continenti

Allargando quelle braccia, dall’alto del suo metro e novanta per novantuno kg, idealmente, Zion Suzuki è capace di creare un ponte talmente lungo da unire occidente e oriente, da creare una strana e impensabile connessione tra Whitney Houston e Shusaku Nishikawa. Ma ci arriveremo con calma. Suzuki è il portiere dei quattro continenti. Il suo nome, scelto dalla mamma e derivante dalla lingua ebraica, significa speranza, salvezza o meglio ancora rifugio. Il cognome invece riconduce immediatamente a quel marchio che partendo dal Giappone ha fatto la storia dei motori e - di conseguenza - il giro del mondo. Se li metti insieme uno dopo l’altro, nome e cognome, si incastrano così alla perfezione da dare al personaggio un gusto speciale. E in effetti, il 21enne nuovo portiere del Parma Zion Suzuki, quattordicesimo giapponese della storia della Serie A, pescato dal Sint-Truiden, è il classico colpo esotico che cattura l’attenzione e che viene accompagnato da quella che sui social oggi va di gran moda col nome di aura”. “Forte, giovane, promettente, portiere moderno bravo anche con i piedi”, è stata la scheda fatta a voce ai nostri microfoni dal direttore sportivo Mauro Pederzoli. Da Newark a Parma col sorriso Nato negli States a Newark da madre giapponese e padre di origini ghanesi, Suzuki si è affermato nell’ultima stagione in Belgio. A guardarlo dall’alto, con lo sguardo aperto su tutta la cartina geografica, il suo è un meraviglioso viaggio intercontinentale: dall’America all’Asia, con un po’ d’Africa e l’Europa nel presente. Un viaggio che attraversa quattro continenti per un mix di culture che affascina, almeno tanto quanto quel sorriso spontaneo che ha mostrato subito dalle sue prime immagini a Parma. Pagato sette milioni e mezzo Suzuki, che ha firmato un contratto di cinque anni, è uno tutto da scoprire. Basti sapere che il giorno della sua presentazione ufficiale con il Parma ci ha tenuto a prepararsi un messaggio - rigorosamente in italiano - per ringraziare in chiusura di conferenza stampa tutti i giornalisti che avevano scelto di spendere una parte del loro tempo per conoscerlo. Classy. Quando invece pochi minuti più tardi il nostro Marco Nosotti ha concluso l’intervista – accompagnata da un interprete – con un “in bocca al lupo”, non c’è stato bisogno di tradurre: “crepi!”, ha risposto Suzuki immediatamente, con riflessi da grande portiere, prima di scoppiare in una simpatica risata. Il ragazzo cresciuto molto in fretta Sorprendente, sì, ma fino a un certo punto, visto lo spessore umano di un ragazzo che si è messo subito a studiare la nostra lingua, capendo l’importanza dell’immergersi nel nuovo ambiente e soprattutto quella di facilitare il più possibile la comunicazione, aspetto chiave per uno che ricopre un ruolo che ne richiede tanta. Una dimostrazione di maturità superiore rispetto alla sua età anagrafica. D’altronde Suzuki è cresciuto molto velocemente: a soli sedici anni e cinque mesi firmò il suo primo contratto da professionista con il primo club della sua vita, gli Urawa Reds, squadra con cui anni dopo avrebbe vinto la Champions asiatica. Su quelle spalle grosse inoltre ha già dovuto portare – insieme alla maglia della nazionale - il peso del razzismo. E’ successo durante la Coppa d’Asia 2023 quando, dopo una gara in cui aveva commesso degli errori evidenti contro l’Iran, una parte del popolo giapponese aveva scatenato nei suoi confronti una becera shitstorm razzista, soprattutto tramite l’utilizzo del termine “hafu”, che in giapponese significa “metà”, a sottolineare insomma le sue origini non puramente nipponiche. Un brutto episodio che Suzuki ha superato grazie a una personalità già ben formata, solida. Quella con cui l’estate scorsa – ad esempio – ha rifiutato il Manchester United perché non disposto a fare il secondo dietro Onana. Quella con cui più recentemente ha preferito il Parma al Chelsea, che aveva provato ad inserirsi nella trattativa con un’offerta anche più alta dal punto di vista economico. La stessa identica personalità con la quale uno che arriva a difendere una porta protetta per anni dalle mani di Gianluigi Buffon ti dice che il suo idolo di sempre si chiama… Shusaku Nishikawa… Chi? Eccolo che ritorna. Nishikawa – obiettivamente una scelta di nicchia se parliamo di idoli – portiere classe ’86, è una leggenda nel club in cui è cresciuto Suzuki, con oltre 300 presenze negli Urawa Reds che si sommano a una trentina nella nazionale giapponese, dove non è mai riuscito a mettersi in luce, chiuso da Kawashima. Con lui Suzuki ha condiviso lo spogliatoio degli Urawa Reds trovando evidentemente una figura di riferimento della quale non ha dimenticato gli insegnamenti, ricordandosi così di portarlo con sé nei suoi racconti europei, lontano dalla fama che Nishikawa ha in patria, facendolo così conoscere meglio anche all’altra parte del mondo. Insomma, avrete capito che a Suzuki le scelte banali non piacciono. L’unicità – d’altronde - dovrebbe essere un valore quasi intrinseco per un numero uno, eppure non sempre è così. E’ per questo che Zion Suzuki accompagnato da tutte le sue particolarità ha subito scatenato i tifosi del Parma, che gasati dal loro nuovo portiere hanno riempito di commenti entusiastici gli account social del club. Da qui in poi il resto sarà tutto da dimostrare sul campo, ma per ora è bastato poco tempo a Zion Suzuki per creare un sano hype. Merito di ciò che dicevamo all’inizio, l’aura che circonda un ragazzo sorridente ed educato, un cosmopolita capace di unire quattro continenti nella sua storia e di abbracciare - senza togliersi i guanti - una serie di scelte non scontate. Di incuriosire grazie a un biglietto da visita diverso dal normale, che te lo fa rimanere impresso, che lo rende subito riconoscibile. Un po’ come un acuto di Whitney Houston.