La prima volta di Daniele De Rossi

Sembra faccia l'allenatore da una vita. In realtà è la prima volta che De Rossi comincia una stagione da allenatore dal primo giorno di raduno. Un fatto nuovo e molto interessante da approfondire. Un cambiamento totale. Un De Rossi 2.0. 30 ottobre 2001 Roma-Anderlecht, Champions League. Ero a bordocampo per la pay-tv Stream accanto alla panchina di Fabio Capello. Sembra ieri. Era metà del secondo tempo, minuto 71 per l'esattezza. Capello si girò verso i panchinari: "Esce Tomic, Daniele entri tu adesso, subito!". Daniele aveva 18 anni, prodotto del vivaio della Roma, cresciuto in Curva Sud. Era arrivato il momento tanto sognato. Esordio in Champions League, senza ancora un minuto di Serie A. Quello che fece in quei 20' era quello che voleva Capello. Pressare gli avversari, recuperare palloni e ripartire. Non si fermò un secondo, adrenalina a mille. Fece tutto benissimo. Senza tradire emozioni, con quel fuoco dentro che lo avrebbe accompagnato in vent'anni di Roma. Conclusi con la fascia da capitano in una serata d'addio strappalacrime. Due decenni da tifoso della Curva in campo, comunicando emozioni con il linguaggio della sua gente. Sentimento e spessore umano. "L'unico rimpianto è poter donare alla Roma una sola carriera", confessò un giorno. Un rimpianto che però il destino ha voluto alleviare, donandogli una seconda carriera: da allenatore della sua squadra. Carisma e personalità, le doti che aveva sul campo, sono le stesse che non lo hanno mai abbandonato. Anche oggi. Il Dna da allenatore ricevuto dal papà è servito. Alberto, maestro di calcio giovanile e soprattutto educatore splendido. Il resto è la sintesi che ha saputo filtrare dai grandi allenatori avuti in carriera. Solo per citarne alcuni: da Capello a Lippi, da Conte a Ranieri, da Spalletti a Luis Enrique. Un'alchimia tra diverse filosofie da maneggiare in base alle risorse tecniche. Dopo le due esperienze in corsa, con la Spal e a gennaio nel post Mourinho, stavolta è arrivata dunque la prima esperienza da allenatore dal primo giorno di ritiro. Una modalità diversa per andare più in profondità nella lettura tattica. Aumentando l'addestramento con una formazione più specifica sul piano tecnico con alcuni giocatori, in particolare i nuovi acquisti. Esperienza inedita, intrigante per chi come lui ama sperimentare per crescere. Circondato da un nuovo corso dirigenziale con cui ha condiviso energia e idee. Un organigramma giovane e motivato: 39 anni il ds Ghisolfi, 34 il vicepresidente Ryan Friedkin, 41 la Ceo Lina Souloukou, coetanea dell'allenatore. Un gruppo di alto profilo, ognuno con le proprie competenze, tutti super motivati. Per essere sempre presente, De Rossi ha azzerato le ferie estive. Ha visionato i potenziali acquisti, partecipato alle riunioni operative per rinforzare la squadra, ha condiviso giornalmente la visione per costruire un modello duraturo. Hanno azzerato la dicotomia precedente tra Tiago Pinto e Mourinho, due mondi contrapposti. Hanno invece gestito un progetto scandito da alcune linee guida irrinunciabili: stop ai prestiti, zero rinnovo agli over 30, acquisti sostenibili, ricerca di talenti futuribili, costruzione di un valore di squadra abbassando il monte ingaggi. Un aumento dei ricavi che ha permesso di investire su alcuni grandi colpi di mercato. Come Dovbyk, Soulé e Le Fée, tre acquisti mirati che in totale hanno sfiorato i 100 milioni di costo cartellini. De Rossi si è speso telefonicamente con i nuovi acquisti nel momento più caldo delle trattative e ha spiegato loro il senso di appartenenza che pretende. Non è stato difficile per uno che da giocatore un giorno disse: "Io sono di proprietà dei tifosi della Roma". Oppure: "Dobbiamo ringraziare di essere romanisti anche dopo il 7-1". Daniele, come familiarmente lo chiamano a Roma tutti i tifosi, oggi rimane l'unica vera garanzia. Per tutti. Anche per chi ha già rinnovato 40.000 abbonamenti dopo l'ultimo 6° posto. La Champions League manca a Roma da 6 anni. Negli ultimi 4 anni i punti in campionato non hanno mai superato quota 62 o 63. Mai oltre il sesto o settimo posto. De Rossi, e il nuovo corso, rappresentano la speranza. C'è uno scudo, una bandiera per provare a rialzare la testa. Nel giorno del suo addio da calciatore aggiunse questo: "Mi troverete in qualche parte dello stadio con un panino e una birra per tifare i miei amici'. In realtà, e per fortuna, lo troveremo in panchina e per la prima volta da inizio stagione. Lo seguiremo nelle interviste, conferenze stampa e nel cammino su Sky Sport dell'Europa League. Serate in cui servirà il suo carisma. La comunicazione mai banale. La personalità nel dare profondità alle parole e poi forza sul campo. Il compito è duro. Difficile. Il compito ricevuto è risollevare la Roma. Per rialzare un gigante fiaccato dalla comfort zone occorre seguire l'allenatore fino in fondo. Ora o mai più. Anche quando parla dei social: “Non critico i social in sé, ma critico il fatto che diventi una ragione di vita. In ogni allenamento tutti entrano in campo pettinati, lucidi, perché ti fanno le foto che poi finiscono sui social. Io quando la mattina ci alleniamo alle 10 entro con le caccole agli occhi, spettinato, perché l'importante è allenarsi bene e non pensare troppo ad apparire”. Idiosincrasia social che lo accomuna a Jannik Sinner che un giorno disse: "Vorrei che i giovani diventassero consapevoli che la vita reale non è quella dei social". Jannik e Daniele, allergici alla finzione dei social. Non l'unico elemento che unisce due profili così vicini nella serietà e nella cultura del lavoro. Mi piacerebbe se un giorno si incontrassero. Sono convinto che si ritroverebbero in tanti percorsi della loro vita e del loro modo di concepire gli allenamenti. Un'intervista doppia con Sinner e De Rossi sarebbe un patrimonio per lo sport. Due modelli, con modi e strade diverse. L'esempio dei valori più sani da inseguire per le nuove generazioni.