Verona-Napoli story: quando Briegel rovinò l'esordio di Maradona

Eravamo andati a vedere Maradona, tornammo a casa con gli occhi pieni di Briegel. Hans-Peter Briegel, tedesco, alle soglie dei 29 anni, il centrocampista che il Verona aveva preso sotto traccia insieme con il formidabile danese Elkjaer, mentre i titoli dei giornali andavano dietro alla trattativa più estenuante nella storia della Serie A: i cinquanta giorni spesi dal Napoli per convincere il Barcellona a controfirmare la volontà di Diego di andarsene. Eravamo andati a vedere se quel Napoli dalle ambizioni improvvisamente giganti potesse essere credibile nella corsa verso lo Scudetto. Tornammo a casa con gli occhi pieni della squadra di Osvaldo Bagnoli, senza immaginare che era cominciata una corsa storia verso un impensabile titolo di campione d’Italia. Impensabile oggi, non allora. Il Verona '85 sarebbe stato in primavera un’appendice del Cagliari '70 e della Lazio '74, del Vicenza '78 e del Perugia '79 che avevano mancato di poco il traguardo. La stagione dei sogni accessibili, arrivata fino al '91, lo scudetto di Vialli e Mancini alla Sampdoria. Non era arrivato solo Maradona, nella pazzesca estate di calciomercato. La Fiorentina aveva convinto il brasiliano Socrates, il Torino sempre in Brasile aveva preso Junior, l’Inter in Germania Rummenigge. Nella patria del catenaccio e del difensivismo, dove lo 0-0 era venerato da giudizi eccellenti come il risultato perfetto, entravano campioni di ogni scuola e di ogni ruolo, a due anni di distanza dal Mundial vinto in Spagna dalla Nazionale di Bearzot. Un meraviglioso allineamento di pianeti che cominciava a rendere ricchissimi i calciatori con la contemporanea caduta del vincolo, la possibilità cioè di cambiare squadra a fine contratto senza trattativa fra i club . Fu così che per esempio Claudio Gentile lasciò la Juventus dopo 11 campionati, per andare a Firenze all’età di 31 anni. Uno dei più turbolenti avversari dialettici della tradizione italiana era a quel tempo Luis César Menotti, il cittì dell’Argentina nel '78 e nell'82. Quando vide finire Maradona in Italia, disse: "Sarebbe un delitto non giocar bene nel campionato più bello del mondo". Questa era l’etichetta appiccicata alla Serie A, alle quattro di pomeriggio del 16 settembre '84. Il Times in Inghilterra pubblicò quella domenica un inserto interamente dedicato al campionato italiano. A colori. Il teatro Walker a Brooklyn cancellò gli spettacoli domenicali per poter trasmettere una partita della Serie A, e quel giorno la partita era Verona-Napoli, una prima giornata anticipata da una fase preliminare di Coppa Italia mai vista. Quindici miliardi di lire di incasso, 124mila spettatori in più rispetto alla stagione precedente. Maradona aveva segnato a Pescara un gol marziano da terra, era caduto e tirò così. In amichevole a Pistoia aveva fatto gol alla Sampdoria dando le spalle alla porta di Bordon, controllando la palla con il petto e calciandola forte dopo una piroetta da ballerino. Grandi erano le aspettative intorno al suo sinistro. Un segnale avremmo dovuto prendere sul serio, il mese prima. Al Palio di Siena la contrada del Bruco si presentò con il suo grande acquisto, una specie di Maradona dei fantini, si chiamava Aceto, ma non bastò per vincere, non bastò per spezzare un digiuno iniziato nel 1955. Michel Platini era il divo calcistico più celebrato del tempo. Aveva appena vinto quasi da solo un Europeo con la maglia della Francia e la Juventus aveva lo scudetto sul petto, nella stagione che si sarebbe chiusa con la tragedia dell’Heysel. Alla vigilia del campionato scrisse una lettera aperta per i suoi avversari sulla Gazzetta. Cominciava con "Carissimi nemici" e compativa il povero Maradona "che non trova casa perché si porta dietro una squadra di rugby, noi invece in famiglia siamo solo quattro". Michel tra le righe gli mandò un messaggio che era una freccia avvelenata: "E poi a Verona ho sempre perso". Tre mesi prima aveva sentito dire che pure la Juventus aveva fatto un tentativo per Diego e proprio in quelle ore aveva letto un’intervista a Umberto Agnelli: "Se Platini andasse via, vorrei Maradona". Tutti volevano Maradona, tutti volevano toccarlo, vederlo. Per l’amichevole della vigilia al Martelli di Mantova si presentarono in cinquemila, solo cinquecento all'Arena per quello del Verona. Diego uscì dal campo dopo la rifinitura dicendo: "Mi ha colpito l'enorme rispetto dimostrato dal pubblico mentre giocavo. Con lo stesso rispetto risponderò. Meritano una mia grande esibizione". I veronesi si sarebbero accontentati di qualcosa di meno. Una partita normale, da 5 e mezzo in pagella, secondo la Gazzetta d’allora. Diego aveva perso la partita del suo esordio con l’Argentinos Juniors, aveva perso in Spagna quella del debutto con il Valencia, avrebbe perso anche la prima in Italia. Osvaldo Bagnoli si era logorato per tre giorni al pensiero del marcatore a cui affidare Maradona. Briegel lo aveva marcato tre anni prima in Germania-Argentina al Mundialito, e nel lungo avvicinamento alla partita ne parlò pure: "Quel giorno in Uruguay — disse — Maradona non mi entusiasmò. Aveva una pancia terribilmente gonfia e poca voglia di battersi. Senza far grandi cose feci in modo di anticiparlo. Però era giovanissimo, era inesperto. Dimostrò solo una rapidità impressionante quando gli arrivava la palla. Poche volte, per la verità". Poche volte gli arrivò la palla anche a Verona, e quando ce l’aveva tra i piedi ci pensò Briegel a cancellare i pericoli. La notte prima della partita, Bagnoli aveva vinto le ultime resistenze. Temeva di perdere il contributo del tedesco in altre parti del campo, se lo avesse piazzato alle spalle di Diego. Ma per l’intera settimana lo aveva comunque allenato a controllare Galderisi, attaccante dalle altezze simili, detto per questo 'Nanu'. Briegel si dedicò a Maradona con una partita da invasato, trovando perfino modo e tempo di andare a segnare il primo dei tre gol veronesi. La più grande firma del tempo, Gianni Brera, lo definiva "Un armadio volante", "Un decatleta di mole", scrivendo che "l’unico aspetto sgradevole nella sua morfologia stilistica" consisteva nell’esimersi "dal corazzarsi gli stinchi" per giocare "con le calze a cacaiola". I calzettoni abbassati, insomma. Eravamo andati a vedere Maradona, tornammo a casa con un segno, una profezia, su quel meraviglioso scudetto del Verona. Non potevamo sapere che, 38 anni dopo, proprio da Verona sarebbe partita la corsa di un altro Napoli verso uno Scudetto, il terzo titolo, quello di 'Kvara-dona'. Per vedere il primo scudetto di Diego dovettero invece passare altri tre anni dopo il pomeriggio di Verona. Andò bene. Il Bruco alla fine attese di più. Avrebbe vinto il Palio solo nel '96 lasciando alla Torre il triste primato di 'nonna', la contrada da più tempo a secco. Ma col giorno del trionfo Aceto non c'entrava. Il Bruco vinse con il fantino Salvatore Ladu, detto Cianchino. Di Maradona davvero ce n’era solo uno.