Una Roma a due volti e in crisi di identità: o attacca o difende

Quei venti minuti del primo tempo sembravano aver tracciato l’inizio di una fase evolutiva. La Roma era apparsa una squadra solida, sicura nel tenere alta la linea difensiva e con diverse interessanti variabili offensive. Tante le note positive: Mancini e Angelino che da centrali difensivi non fanno mai mancare l’aiuto nel possesso palla; Koné che porta il passo giusto, differente, in mezzo al campo; Saelemaekers affidabile e continuo; Dybala pronto a proporre giocate di qualità insieme a una migliore comunicazione con Dovbyk. Almeno quattro palle gol in venti minuti certificano un evidente salto di qualità nella proposta offensiva. Poi, però, si va negli spogliatoi e al ritorno in campo tutto viene cancellato. Errori tecnici, pallone che scotta e basta un semplice e prevedibile cambio di sistema di gioco dell’avversario per far sparire la Roma dal campo. La squadra è sembrata incapace di uscire dalla pressione del Genoa e nessun leader in campo è stato in grado di invertire una tendenza ben evidente dalla ripresa del gioco. Il Genoa si impossessa così della partita e la Roma pensa solo a difendere. “Abbiamo fatto quello che si fa di solito negli ultimi 3/4 minuti quando si difende un vantaggio”. Eccellente il commento di De Rossi, meno le soluzioni che spettano all’allenatore. E’ lui che deve risolvere il problema principale attuale della Roma, vale a dire riuscire a fare tutti insieme le due fasi. La Roma attuale non ci riesce. O attacca o difende. Era già accaduto allo Stadium contro la Juventus, quando la Roma aveva sì disputato un’ottima prestazione difensiva ma senza riuscire mai a impensierire la difesa avversaria. Il secondo tempo del Ferraris alza il livello di attenzione verso una squadra incapace di sfruttare un calendario favorevole. In quattro giornate la Roma ha affrontato soltanto una squadra di alta classifica, la Juventus. Cagliari, Empoli e Genoa rappresentano un’altra dimensione come valore della rosa e obiettivi stagionali. Sono però soltanto due i punti raccolti in queste tre partite, in cui sono venuti a galla diversi problemi. Intanto l’affanno nella costruzione di un gruppo da rinnovare affidato a un direttore sportivo straniero assunto dal primo giugno, data in cui l’Inter campione d’Italia aveva praticamente già concluso la propria campagna acquisti. La questione Dybala, che ha ritardato e complicato il lavoro di un allenatore convinto di non averlo a disposizione con le fisiologiche conseguenze del caso. Tutta l’estate a lavorare a un sistema di gioco senza Dybala per poi ritrovarsi a dover smontare tutto e ricominciare. E poi le scorie finali del caso Zalewski, che certamente non ha aiutato l’allenatore, sempre costretto a consumare energie nel provare a distribuire spiegazioni che non gli competono. Ma nonostante il poco aiuto ricevuto, esistono anche le responsabilità di De Rossi, che ancora non riesce a strutturare un calcio fluido e riconoscibile. Le partite con Juve e Genoa avevano lasciato un senso di solidità difensiva, spazzato via dalla libertà lasciata a De Winter nell’ultima azione. La forza mentale di un gruppo capace di difendere un risultato nella sofferenza poteva sembrare un validissimo elemento su cui strutturare la risalita in classifica. La gravissima distrazione finale rimette però tutto in discussione e tiene la Roma già distante da Napoli Juventus e Inter. Ma al di là della classifica, già poco brillante dopo quattro giornate, l’aspetto da cancellare in fretta rimane quello legato alla rinuncia al gioco manifestata a Torino e nel secondo tempo di Genova.