Una moratoria sui rigorini: il calcio è uno sport di contatto

Una moratoria sui rigorini. Ecco l’umile ma accorato appello che ci sentiamo di rivolgere alle Autorità Arbitrali, approfittando della tregua alle solite polemiche consentita dalla sosta per le Nazionali. Facciamo che i rigori tornino a essere una cosa seria. Che vengano fischiati come si faceva una volta. Sia detto senza alcuna volontà di rientrare nella categoria dei passatisti. A scanso di equivoci: evviva il Var e tutte le innovazioni tecnologiche e non, presenti e future! Ma i rigori sono, dovrebbero essere, scusate di nuovo il ricorso a un linguaggio d’antan, la massima punizione. Una mano o un braccio malandrino che intercettano un pallone destinato a finire direttamente in rete oppure un potenziale assist. Un attaccante sgambettato mentre si dirige verso la porta. Un saltatore trattenuto o affossato quando sta per colpire di testa il cross di un compagno. Questi sì che sono rigori. Tutto il resto è moviola. Sì, una sorta di accanimento terapeutico, una voglia di scoprire qualcosa di patologico in azioni a pieno titolo appartenenti alla dinamica di un gioco che non dovrebbe mai essere interrotto in caso di contrasti genuini. Ecco, potrebbe essere un’idea approfittare di queste due settimane senza Serie A per appendere in tutti gli stadi, negli spogliatoi degli arbitri, ma anche nel Centro Var di Lissone, un bel cartello con scritto: “Il calcio è uno sport di contatto”. Così, giusto per memento. Capita che due giocatori si avventino sullo stesso pallone e magari uno arrivi qualche frazione di secondo prima dell’altro e che quindi venga colpito dal piede del contendente subito dopo aver calciato o mentre sta calciando. Una contesa, non una scorrettezza: tanto che a occhio nudo non si riesce a distinguere chi è arrivato prima. Nel calcio non c’è il fotofinish. C’è il Var che serve a correggere gli errori chiari ed evidenti. E invece troppo spesso viene ormai utilizzato come un microscopio che ingigantisce l’entità di un ingaggio . Un esempio per intenderci meglio: nel caso del secondo rigorino concesso al Milan a Firenze , se andate a riascoltare le dirette radiofoniche e televisive, entrambi i tele e radiocronisti, sentito il fischio dell’arbitro, hanno subito detto: fallo in attacco. Già, perché una volta era così. Per una sorta di convenzione, si applicava al calcio vero la regola del calcio-balilla: palla contesa, palla alla difesa. Ricordate i falli di confusione? Era un modo, discutibile ma sensato, per sbrogliare situazioni complicate, abbastanza inestricabili, nelle quali però era evidentemente sproporzionato, e perciò ingiusto, assegnare alla squadra attaccante un rigore che avrebbe indirizzato in modo diverso la partita, senza che si fosse creata per la squadra difendente una situazione di vero pericolo. Adesso si è presa una piega sostanzialmente opposta. In questi casi vengono premiati gli attaccanti anche se non hanno fatto molto per impensierire gli avversari. Ma il rigore continua a essere, stante la media dei gol segnati, un episodio troppo determinante nello sviluppo di una gara per essere concesso tanto facilmente, senza sostanziali meriti di chi ne viene beneficiato. All’estero comunque non è così. E, a voler spaccare il capello, a questo punto non si capisce perché allora non sia sempre così in Italia. Se lo step on foot - ma chiamatelo pestone, please, in questo caso l’italiano è molto più efficace dell’inglese - è sempre fallo, come gli addetti ci hanno spiegato, allora che sempre fallo sia . Non è giusto, sempre se si ragiona nello spirito del gioco, ma che almeno ci sia uniformità anche nell’ingiustizia. Dopo sette giornate di campionato, in Serie A sono già stati assegnati 32 rigori. Quasi mezzo a partita. Per la precisione, una media di 0,46 a gara. L’anno scorso era stata di 0,33. Una dato che conferma il nuovo uso del Var, non più solo strumento di correzione degli errori. Nel resto d’Europa questo non accade e allora è inutile che ci stupiamo se a Juventus e Milan in Champions League non vendono assegnati i rigori ‘all’italiana’. Per dire, in Premer League, dopo le stesse sette giornate di campionato, la media di rigori a partita è soltanto di 0,17 e nella Liga spagnola, dopo nove giornate, è di 0,31. Incide molto anche il protocollo italiano sui falli di mano. Qui ormai vale solo il metodo geometrico, e cioè quanto distano dal tronco la mano o il braccio che hanno incocciato il pallone. Non conta se il pallone subisce o meno una deviazione, se la posizione degli arti è congrua rispetto alla necessità di mantenere equilibrio in elevazione, se l’arto colpisce il pallone o ne viene colpito, se si tratta di un tiro in porta o di una palla vagante. E i rigorini fioccano. Meno male, verrebbe da dire, che poi se ne sbagliano tanti. La percentuale di rigori non trasformati in questa stagione è finora del 31,2%, forse la più alta di sempre. Un po’ per merito dei portieri che arrivano più preparati a fronteggiare i tiri dal dischetto: sono forniti, anche grazie alle nuove tecnologie, agli algoritmi e allo studio dei preparatori, di tutti i dati, tecnici e psicologici, necessari per entrare nella testa dei tiratori e anticiparne le mosse. Ma molto anche perché la decisione su chi il rigore lo deve calciare è sempre meno frutto della volontà e della scelta dell’allenatore e sempre più di discussioni fra giocatori in campo. Si assiste ormai frequentemente a delle speci di assemblee condominiali, condite di tanto in tanto di urla, alterchi e strattoni tipici appunto delle assemblee condominiali. A voler pensar male, tutto ciò è conseguenza del fatto che adesso i gol, quindi anche quelli su rigore, valgono a fine stagione per fare scattare bonus destinati ad aumentare in modo considerevole la retribuzione individuale. A voler essere buonisti, la retorica del “gruppo” induce talvolta i calciatori a considerare il rigore come strumento per aiutare il compagno in difficoltà o che comunque magari non segna da tanto, piuttosto che l’amico del capitano. Il risultato? Chiedetelo a Fonseca. Una sorta di correzione naturale, per quanto del tutto involontaria, del peccato originale. Ma per liberarsi da questo peccato originale non c’è altra strada che la moratoria sui rigorini…

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