Roma, la domanda che preoccupa i tifosi: Juric e la rosa sono compatibili?

Se Dybala rincorre Bastoni a tutto campo prendendosi l’applauso del pubblico al 47’ dopo un tackle vinto nella propria metà campo oppure è costretto a una lunga ed estenuante rincorsa su Dimarco come in occasione del contropiede che ha deciso Roma-Inter è quantomeno necessario porsi una domanda. Sempre la stessa che viene da farci se in campo vediamo un sistema di gioco che prevede esterni a tutta fascia in un gruppo che in quella zona del campo risulta essere privo di eccellenze. La domanda, dicevamo. Eccola: esiste un livello minimamente sufficiente di compatibilità tra le idee dell’allenatore e le caratteristiche del gruppo? Il compito di una società dovrebbe essere quello di mettere insieme i pezzi giusti per creare una struttura dotata di una logica riconoscibile. Si costruisce un gruppo con caratteristiche ben precise da affidare a un allenatore adatto ad esaltarle. Ma va bene anche il contrario. Prima si prende un allenatore, poi i calciatori idonei a rappresentarne l’idea di calcio. Ebbene, la partita tra Roma e Inter ha dato una sua risposta alla sopracitata domanda esponendo un chiaro problema agli occhi degli spettatori: il basso livello di compatibilità tra le idee di Juric e le caratteristiche del gruppo. La squadra non era stata costruita per duellare fisicamente a tutto campo. E se i migliori giocatori, quelli che dovrebbero accendere la luce in attacco, Dybala e Pellegrini per intenderci, sono chiamati a dedicare tante energie a un lavoro così intenso di marcatura a uomo a tutto campo gli effetti collaterali sono facilmente decifrabili. Smettono di essere pericolosi negli ultimi trenta metri e si ritrovano dopo due mesi a zero gol su azione. Due che in carriera hanno realizzato rispettivamente 188 e 63 gol possono aver improvvisamente disimparato a tirare in porta? O c’è dell’altro? Tra Elfsborg, Monza e Inter la Roma ha segnato un solo gol, nonostante, tra l’altro, una discreta produzione offensiva, quantomeno contro le prime due. 23 le conclusioni contro l’Elfsborg, solo 5 delle quali però nello specchio, per un valore di 1.77 xgoal ; 15 i tentativi invece contro il Monza, anche qui con un’efficacia irrisoria, considerato i soli 4 finiti nello specchio della porta. Ed è proprio questo, se si vede più in generale, il dato più preoccupante, quello dell’incapacità di trasformare delle potenziali e ottime occasioni in gol effettivi. In Serie A la Roma è la squadra che ha tirato di più verso la porta con 132 conclusioni, ma è solo la sesta per tiri nello specchio, appena 37; statistica che non rende merito della qualità dei tiri, alla quale va dunque associata quella degli xgoals, per avere un quadro ancora più fosco: a fronte degli 11,32 gol che avrebbero dovuto segnare i giallorossi ne hanno realizzati solo 8 e sono gli unici insieme a Empoli, Venezia, Lecce e Cagliari ad avere un differenziale negativo in Serie A. Insomma, le occasioni arrivano anche , i gol no. Il dispendio di energie nel lavoro individuale difensivo degli uomini più talentuosi certamente contribuisce a questa cifra decisamente sproporzionata in negativo rispetto alla qualità offensiva del gruppo. Rimanendo all’interno del concetto di compatibilità torniamo su uno dei temi di apertura. Il sistema di gioco. Fermo restando che quando subentra il concetto di marcatura a uomo il sistema diventa meno definibile, la Roma rimane comunque una squadra messa a tre dietro con due laterali a tutta fascia. Una scelta discutibile perché se c’è un reparto debole a disposizione di Juric è proprio quello degli esterni. Saelemaekers ed El Shaarawi infortunati. Abdulhamid, Dahl e Sangaré non ancora pronti. Rimangono Angelino, Celik, Soulé e Zalewski. Lo spagnolo, nonostante l’arrivo di Hermoso e Hummels, viene preferito come centro sinistra della difesa a tre, Celik non ha attitudini offensive e gli allenatori avversari gli lasciano sempre giocare il pallone per andare a raddoppiare altre zone del campo. Soulé è un attaccante e non ha la gamba a tutta fascia e Zalewski fa bene con la sua Polonia perché sempre nella difesa a tre nel centro sinistra gioca un difensore vero, spesso Dawidowicz, molto più adatto a proteggerlo rispetto ad Angelino. E allora, ecco l'altra doman: una linea difensiva a quattro con tre centrocampisti un trequartista e due attaccanti non potrebbe rappresentare una soluzione più adatta a valorizzare le caratteristiche del gruppo? Sempre lì si torna. Aumentare il livello di compatibilità tra i calciatori e la filosofia dell’allenatore. Magari la società poteva riflettere con più razionalità al momento della scelta perché le idee di Juric sono conosciute così come le attitudini della squadra. Ma è inutile, oramai, pensare al passato. La Roma fatica enormemente a fare gol e la responsabilità passa all’allenatore. Tra le qualità di chi siede in panchina ci deve essere per forza quella di saper fare un passo indietro. Trovare la sintesi tra convinzioni personali e valorizzazione degli uomini a disposizione. Senza un salto di qualità in questo senso sarà sempre più probabile vedere Dybala rincorrere difensori a tutto campo relegando a malinconico ricordo i momenti in cui ha fatto sognare ogni amante di calcio con le sue perle da formidabile fantasista e finalizzatore.