Ho segnato anch'io nel Derby d'Italia

Ci ho pensato e ripensato. Un po’ perché il mio lavoro mi impone di farlo, un po’ perché queste partite le ho vissute in prima persona. “Juventus-Inter è davvero il Derby d’Italia?”. Sì. La risposta è sì. Non c’è dubbio. E non c’è, perché credo abbia ragione Matthäus dopo aver letto la sua intervista a Sky: una partita così non aspetti altro se non di giocarla. La vivi già settimane prima, non vedi l’ora che arrivi. Non conta la classifica: è una questione di prestigio e sai che non ti stai contendendo solo una posizione, dei punti. Ma il ‘dominio’ sportivo dell’Italia intera. Mica male, no? Comunque, rivedere Matthäus mi ha aperto un mare di ricordi di queste partite, che in otto anni di Juve mi hanno fatto salire l’adrenalina parecchie volte. Anche perché lui in qualche modo è stato protagonista dei Derby d’Italia che più mi ricordo, a partire da quello in cui ho segnato una rete, cosa di per sé già clamorosa. Era il 1989, settembre. Giocavamo a San Siro che come sempre era una bolgia. Apro una parentesi: lo sapevate che ai tempi, il riscaldamento dovevamo farlo nella palestra dello stadio? Ne scrive proprio lo Zio. Ecco, quella stanza era grossa bene o male come un’area di rigore e ci dovevano stare dentro due squadre. In contemporanea. Quindi potete già ben capire che clima ci fosse. Chiusa parentesi. Torno alla partita: stavamo perdendo 2-0 con un gran gol proprio di Matthäus e uno di Klinsmann. Erano fortissimi, direi proprio ingiocabili, e si vedeva. A metà del secondo tempo ricevo un cross da destra e tiro al volo di sinistro. Gol. Quando ci vediamo a Sky, ancora lo prendiamo in giro, Zenga. “Ma come hai fatto a prendere gol da lui?”, gli dice Bergomi. “Ma come hai fatto a prendere gol da me”, gli dico io. Non sono mai stato un bomber riconosciuto… Anzi, nemmeno un terzino. Eppure Trapattoni provò a schierarmi lì: era proprio un’Inter-Juventus, aprile 1992. Il risultato fu bianconero: 3-1 con doppietta di Baggio e rete di Schillaci. La gioia fu tanta, ma l’esperimento di mettermi in quella parte del campo fallì senza appello e me lo ricordo ancora. Come mi resta in mente quanto fosse difficile affrontare proprio Bergomi in quegli anni. Penso che la nostra Juventus fosse un po’ più tecnica, ma loro avevano quella linea che non riuscivi mica tanto a superare. Tra lui e Ferri… oltre a quella linea valeva tutto e sì, ce le davamo di brutto. Mi ricordo che quei derby rappresentavano per me anche la sfida nella sfida, quella con Berti. Rispetto a me con la Juventus, era arrivato all’Inter prima, diventando subito forte e famoso. Purtroppo, era ed è sempre stato simpatico. Non sono mai riuscito ad arrabbiarmi con lui, anche se in campo mi faceva penare, perché dovevo cambiare di nuovo ruolo: lui era un attaccante prestato al centrocampo, io diventavo un centrocampista prestato alla difesa. Era un duello vero tra noi due e io lo vivevo molto. Che poi, a dirla tutta, la carica non arrivava solo da dentro. Percepivi che lo spogliatoio era diverso. Nei derby in cui capitano era Vialli, per esempio, mi ricordo che il ritiro prepartita fosse completamente un’altra cosa rispetto al solito, quasi come se lui ci obbligasse a prepararle in modo particolare. Parlavamo dell’importanza della gara, di quello che rappresentasse. E come lui lo facevano anche gli allenatori, ma ciascuno a modo suo. Zoff era di ghiaccio, ma lo è sempre stato: era capace di normalizzare qualsiasi grande sfida, penso abbia fatto così pure nella finale di Coppa del Mondo. Il Trap invece era più acceso: all’Inter era stato benissimo e ci teneva a fare bella figura anche con la Juve. Ma quello più carico era Lippi: aggiungeva sempre qualcosa di suo, provava a mettere un ulteriore carico di grinta e adrenalina, quando non è che noi ne avessimo poca. Anzi, a pensarci bene una volta mi ha ribaltato come un calzino a fine partita. Mi riferisco all’Inter-Juventus del marzo 1995, nella stagione del nostro Scudetto. Fare punti contro di loro questa volta, sì, valeva anche per la classifica. E invece io avevo pensato bene di farmi espellere per proteste al 68’, per una cretinata che era successa in mezzo al campo. Un secondo giallo veramente inutile, anche se per fortuna ininfluente visto che alla fine è finita 0-0. La telecronaca dell’epoca disse che ero “andato a dirne quattro al guardalinee”. Pensate a quante, invece, me ne aveva dette il mio allenatore… In tutti i casi, avevo aperto con Matthäus e devo chiudere con lui. Perché lui e, di nuovo, anche Klinsmann erano finiti nel tabellino dei marcatori del derby del 1990, quello che al Delle Alpi riuscimmo a vincere per 4-2. Quel pomeriggio il vero protagonista fu Schillaci. Dopo 2’, si era procurato il rigore dell’1-0 realizzato da Baggio. Poi al 57’ era stato proprio il suo momento, con un gol che cercava da un sacco di tempo: Zenga respinge un tiro da fuori, lui stoppa, inciampa, si rialza e segna. Gli mancava la rete da quasi 600 minuti, non vedeva l’ora di esultare: l’ha fatto nel modo più testardo di tutti, Totò. Con quella grinta che l’ha sempre accompagnato in questi anni. Il Derby d’Italia per tutti noi era questo: passione, grinta, voglia di superare i limiti. E se eravamo amici dei nostri avversari fuori dal campo, dentro questo non contava. Io non so chi abbia coniato questa espressione, ‘Derby d’Italia’. Ma voglio ringraziarlo: nessuno ha mai saputo rinominare una partita meglio di così.