Il 4-4 e il totem dell’intensità

Ma allora è vero oppure no che in Italia si gioca troppo piano? La risposta, verrebbe da dire, è 4-4. Il risultato che non ti aspetti dopo un tipo di partita che non ti aspetti. Una girandola di emozioni che ha divertito tutto il pubblico neutrale e fatto letteralmente impazzire i tifosi delle sue squadre. Proprio nel Derby d’Italia, la vetrina del pallone di casa nostra, la partita storicamente più tattica di un calcio riconosciuto nel mondo proprio per la sua sapienza tattica. E invece sono stati 95 minuti e 12 secondi, 52’ di gioco effettivo, occhio a questi dati, poi ne riparleremo, di contesa a viso aperto, con l’idea di provare a vincere e la capacità di far male da parte di tutte e due le squadre, senza ostruzionismi, con la voglia di rialzarsi dopo ogni caduta e ricominciare a combattere, con un coraggio persino eccessivo. “Due pugili con la guardia abbassata” ha detto Del Piero, uno che di Inter-Juventus se ne intende. Grande spettacolo. Applausi. Un’eccezione per la Serie A? Speriamo di no. Diciamo piuttosto una rarità, altrimenti non si sarebbe sollevato tanto entusiasmo dopo un’esibizione costellata anche di errori da matita blu, come hanno onestamente ammesso gli allenatori delle due squadre. Vedremo che cosa succederà d’ora in poi. Il calcio è meraviglioso perché ti offre spesso quello che non ti aspetti proprio nel momento in cui meno te lo aspetti. Ma quel 4-4 rischia di essere ingannevole più di ogni altra cosa. Ricapitoliamo. L’allarme era stato lanciato da Fabio Capello dopo l’ultimo turno di Champions League, tutt’altro che esaltante per le nostre squadre: “Ho visto un problema che riguarda tutto il calcio italiano: si gioca troppo piano. Quando ci si trova di fronte avversari che corrono e pressano, anche se non tecnicamente eccelsi, come lo Stoccarda, si va in difficoltà”. Poco dopo, il nuovo allenatore del Liverpool, Arne Slot, parlando delle difficoltà di inserimento di Chiesa, aveva rincarato la dose, con toni insolitamente crudi per un tecnico in attività: “Federico è venuto a giocare in un campionato con un’intensità maggiore rispetto alla Serie A - e avendo già affrontato due squadre italiane in stagione, lo posso affermare con cognizione di causa - e quindi è difficile per lui raggiungere i livelli del resto del gruppo”. Così, senza perifrasi. In generale, si tratta di un tema ricorrente, ma spesso respinto con un certo fastidio dagli addetti ai lavori, più propensi a sottolineare il recupero di competitività europea delle squadre italiane negli ultimi quattro-cinque anni e a indicare nella mancanza di fuoriclasse, che ancora non ci possiamo permettere, le ragioni del gap esistente almeno ai massimi livelli. Ma quando la questione viene riproposta da due osservatori così diversi, e se permettete ancora diversamente autorevoli ma degni della massima attenzione, è forse il momento di affrontarla più approfonditamente. Uno studio pubblicato nei giorni scorsi dalla Gazzetta dello Sport ci dice che la Serie A, rispetto agli altri quattro principali campionati europei, Premier League, Liga spagnola, Bundesliga e Ligue 1 francese, è all’ultimo posto per sequenze di pressing, recuperi offensivi in seguito a pressing, palloni recuperati nell’ultimo terzo di campo e contrasti vinti. Mentre è al penultimo posto per attacchi verticali. Tutte voci nelle quali si trova al primo posto della classifica comparata, quasi inutile sottolinearlo, la Premier League, preceduta dalla Ligue1 francese soltanto per i contrasti vinti. Si tratta di parametri che individuano con una certa precisione statistica e scientifica, per quanto la scienza possa essere accostata al calcio, proprio quello che, con una sintesi ormai diventata una sorta di totem pallonaro, s’intende per intensità. Ma allo stesso tempo sono parametri che certificano anche, rispetto alla concorrenza, una certa mancanza di aggressività. Come a supportare la tesi che la preparazione fisico-atletica delle squadre italiane non sia all’altezza delle necessità del calcio contemporaneo, in quanto gli allenamenti sarebbero troppo blandi, cioè rallentati dalle soste necessarie ad affrontare e risolvere i problemi tattici che i tecnici di Serie A prediligono. In altre parole non sufficientemente intensi, appunto. Secondo un’altra corrente di pensiero, ben rappresentata dalle parole di Gian Piero Gasperini a Sky Calcio l’Originale, dopo Atalanta-Verona, “uno dei nostri limiti nasce dal fatto che ci sono troppe interruzioni, troppe simulazioni, troppa gente ferma durante le partite. Non solo per i troppi fischi degli arbitri, ma perché c’è chi appena sfiorato rotola per il campo, chiama i massaggiatori e così via”. Insomma, si gioca troppo poco. E anche questo è vero. I dati lo confermano. In questa stagione, le partite di Premier League hanno una durata media effettiva di 57’06”; quelle della Ligue 1 francese di 56’06”; quelle di Bundesliga di 55’48”; quelle di Serie A di 54’54”. Solo in Spagna, altro Paese latino, si gioca poco meno: 54’36”. Ma quel che più inquieta in Italia è la differenza fra partita e partita. Nell’ultima giornata, la nona, Atalanta-Verona ha visto il pallone in gioco per 58’27”, Monza-Venezia solo per 48’, una differenza di oltre dieci minuti. In assoluto, dall’inizio del campionato la partita più ‘lunga’ è stata Juventus-Napoli, con 64’10” di gioco effettivo, la più ‘corta’ Empoli-Monza, con 44’43” di gioco effettivo. Cioè è durata venti minuti in meno! Eppure, stranamente, neanche Gasperini si è detto favorevole all’introduzione del tempo effettivo, cioè due tempi di 30 minuti con pallone in gioco. Pensa che così le partite correrebbero il rischio di essere interminabili. Evidentemente, ritiene che il tempo in campo venga perso più per riposarsi e spezzare il ritmo, che per ostruzionismo teso a non modificare il risultato. Qualcosa però andrebbe tentato per modificare la tendenza. Se torniamo a Inter-Juventus, partita apparsa comunque più ‘intensa’ del solito, quasi del tutto priva di sceneggiate, non può non stupire che il tempo effettivo sia stato soltanto di 52’12”. Cosa che chiama in causa il modo in cui gli arbitri determinano il tempo di recupero. Domenica sera a San Siro soltanto due minuti nel primo tempo e tre nella ripresa, nonostante ad esempio le due lunghe soste per la concessione, controllo Var ed esecuzione dei calci di rigore, nonostante i tempi di verifica degli altri sei gol e di altre azioni dubbie, nonostante i sei slot utilizzati dalle due squadre per i cambi . Troppo pochi. Anche questo è un indice della mancanza di intensità. Per cui ancora grazie a Inter e Juventus, ma è meglio non nascondere la polvere dei problemi ancora irrisolti del calcio italiano sotto il morbido tappeto di un 4-4 indimenticabile.

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