"Pantani": la triste storia del Pirata rivive a teatro
CiclismoGiro d'Italia al via: il regista Marco Martinelli porta a Milano, città del ciclismo per antonomasia, uno spettacolo che ripercorre le vicende dello scalatore romagnolo scomparso il 14 febbraio 2004
di Gianluca Maggiacomo
Tre ore e mezzo con Marco Pantani. Al teatro. Lo spettacolo di Marco Martinelli, che fa tappa a Milano dal 3 all’8 maggio all’Elfo Puccini, ricostruisce la vita dello scalatore romagnolo attraverso i racconti di famigliari ed ex compagni di squadra. Quella che va in scena è una rappresentazione a tutto tondo della storia del Pirata: le vittorie, gli incidenti, il declino, la depressione, la morte. Sul palco si alternano oltre venti personaggi, ma c'è un assente: Pantani. Che, però, dice il regista, “vive in ogni parola pronunciata dagli attori“. Martinelli ha scritto e rappresentato un “rito della memoria” che ha come nucleo centrale Tonina (Ermanna Montanari) e Paolo (Luigi Dadina), i genitori del ciclista scomparso il 14 febbraio 2004. Lo spettacolo si chiama semplicemente “Pantani”
Martinelli, perché un titolo così breve secco?
“Perché il mio intento era duplice: da una parte alludere al cognome del campione, dall’altra volevo far riferimento ai pantani, con la lettera minuscola, intesi come quelli della nostra repubblica, ai fanghi e alle paludi in cui la nostra società è immersa da decenni. Con questa rappresentazione vogliamo raccontare una storia sportiva e, allo stesso tempo, parlare di noi, dell’Italia degli ultimi vent’anni.”
Perché proprio ora uno spettacolo su Pantani?
“Perché credo che ancora oggi sia utile capire come andarono le cose. E poi perché quella di Marco è una storia da cui possiamo imparare tutti. L’idea, però, non è di adesso. È maturata circa cinque anni fa. Ero all’estero e mi sono imbattuto nel libro del giornalista de L’Equipe, Philippe Brunel (“Gli ultimi giorni di Marco Pantani”, ndr): ne sono rimasto sedotto ed affascinato. Questo testo mi ha fatto precipitare nella vicenda di Marco. Lo spettacolo, poi, ha alle spalle due anni di ricerca in cui ho letto di tutto, mi sono immerso nel mondo del ciclismo, ho parlato con gli amici di Marco e, soprattutto, con i suoi genitori.”
Com’è stato il rapporto con il padre e la madre di Pantani?
“Sono stati preziosissimi. In questo spettacolo mettiamo in scena un rito della memoria, con al centro due personaggi che recitano la parte di Paolo e Tonina Pantani, i genitori di Marco. Avevo bisogno di loro e dei loro racconti. Per averli mi sono avvicinato in punta dei piedi. Ricordo ancora il primo contatto con la signora Tonina. Le scrissi una mail, lei mi rispose e con una schiettezza tutta romagnola mi disse: ‘Vienimi a trovare. Ci guarderemo negli occhi e se mi piacerai parleremo’. Con lei e c Paolo si è instaurato un bel rapporto. Mi hanno fatto conoscere il Marco pubblico e quello privato.”
Lei ha scelto di non portare in scena un attore che recitasse il ruolo di Pantani. Perché?
“Perché, come detto, ho sempre pensato a questo spettacolo come un rito della memoria. Marco è assente fisicamente ma è una presenza costante: in ogni parola detta sul palco, in ogni filmato che proiettiamo lui c’è. Non presentare un attore nelle vesti di Pantani mi è sembrata una scelta forte ed incisiva per evocare questa figura che ci è stata tolta.”
Oltre ai genitori e ai compagni di Pantani lei fa recitare anche un personaggio che cattura l’attenzione del pubblico: L’inquieto.
“Questa è una figura multiforme. Da una parte è Philippe Brunel, perché si presenta in scena come un giornalista francese, pur non dicendo mai il suo nome. Dall’altra ho deciso di chiamarlo L’inquieto perché vorrei che fosse tutti noi. Vorrei che fosse lo spettatore che si sforza di non accettare la versione canonica della fine di Marco. L’inquieto è uno che ricostruisce le vicende, che fa cronaca e che si pone domande in continuazione sulla storia di Pantani e sul perché le cose sono andate così.”
Il Pantani che emerge dal suo spettacolo sembra quasi un eroe. Era questa la sua idea iniziale?
“Non del tutto. Marco è stato sicuramente un eroe nel suo sport. È stato l’ultimo ciclista che, assieme a Bartali e Coppi, ha fatto sognare e appassionare anche i non amanti delle due ruote. Con lui vinceva la fantasia, lo scatto anarchico e selvatico. Però, al di là di questo, Marco fugge dall’essere eroe perché era un ragazzo con le sue generosità e con le sue fragilità. Per lui la cocaina ha rappresentato l’incapacità di accettare quel verdetto ingiusto a Madonna di Campiglio. In 24 ore è passato dall’essere quello che con le sue gesta stava togliendo visibilità al calcio e alla Formula 1, a quello dopato e non ha saputo reggere."
Secondo lei cosa ha lasciato Pantani al ciclismo?
“Ha lasciato il sogno di uno sport proletario. Marco era amato anche per i tanti infortuni in carriera. La sua storia, dall’incidente alla Milano-Torino (frattura di tibia e perone, ndr) al gatto che attraversò la strada in una tappa del Giro del 1997 e lo fece cadere dalla bici (lacerazione delle fibre muscolari della coscia sinistra e abbandono delle corse, ndr), era per tutti la dimostrazione che si poteva superare il dolore e andare anche oltre le sfortune.”
Domani comincia il Giro. Lo guarderà?
“Sì, prima non lo facevo, ma da quando ho cominciato a studiare per questo spettacolo mi sono appassionato.”
Tiferà per Wiggins o per Nibali? Pare che quest’anno sarà affar loro.
“Guardi, lo seguo ma non tifo, quindi per nessuno dei due.”
Tre ore e mezzo con Marco Pantani. Al teatro. Lo spettacolo di Marco Martinelli, che fa tappa a Milano dal 3 all’8 maggio all’Elfo Puccini, ricostruisce la vita dello scalatore romagnolo attraverso i racconti di famigliari ed ex compagni di squadra. Quella che va in scena è una rappresentazione a tutto tondo della storia del Pirata: le vittorie, gli incidenti, il declino, la depressione, la morte. Sul palco si alternano oltre venti personaggi, ma c'è un assente: Pantani. Che, però, dice il regista, “vive in ogni parola pronunciata dagli attori“. Martinelli ha scritto e rappresentato un “rito della memoria” che ha come nucleo centrale Tonina (Ermanna Montanari) e Paolo (Luigi Dadina), i genitori del ciclista scomparso il 14 febbraio 2004. Lo spettacolo si chiama semplicemente “Pantani”
Martinelli, perché un titolo così breve secco?
“Perché il mio intento era duplice: da una parte alludere al cognome del campione, dall’altra volevo far riferimento ai pantani, con la lettera minuscola, intesi come quelli della nostra repubblica, ai fanghi e alle paludi in cui la nostra società è immersa da decenni. Con questa rappresentazione vogliamo raccontare una storia sportiva e, allo stesso tempo, parlare di noi, dell’Italia degli ultimi vent’anni.”
Perché proprio ora uno spettacolo su Pantani?
“Perché credo che ancora oggi sia utile capire come andarono le cose. E poi perché quella di Marco è una storia da cui possiamo imparare tutti. L’idea, però, non è di adesso. È maturata circa cinque anni fa. Ero all’estero e mi sono imbattuto nel libro del giornalista de L’Equipe, Philippe Brunel (“Gli ultimi giorni di Marco Pantani”, ndr): ne sono rimasto sedotto ed affascinato. Questo testo mi ha fatto precipitare nella vicenda di Marco. Lo spettacolo, poi, ha alle spalle due anni di ricerca in cui ho letto di tutto, mi sono immerso nel mondo del ciclismo, ho parlato con gli amici di Marco e, soprattutto, con i suoi genitori.”
Com’è stato il rapporto con il padre e la madre di Pantani?
“Sono stati preziosissimi. In questo spettacolo mettiamo in scena un rito della memoria, con al centro due personaggi che recitano la parte di Paolo e Tonina Pantani, i genitori di Marco. Avevo bisogno di loro e dei loro racconti. Per averli mi sono avvicinato in punta dei piedi. Ricordo ancora il primo contatto con la signora Tonina. Le scrissi una mail, lei mi rispose e con una schiettezza tutta romagnola mi disse: ‘Vienimi a trovare. Ci guarderemo negli occhi e se mi piacerai parleremo’. Con lei e c Paolo si è instaurato un bel rapporto. Mi hanno fatto conoscere il Marco pubblico e quello privato.”
Lei ha scelto di non portare in scena un attore che recitasse il ruolo di Pantani. Perché?
“Perché, come detto, ho sempre pensato a questo spettacolo come un rito della memoria. Marco è assente fisicamente ma è una presenza costante: in ogni parola detta sul palco, in ogni filmato che proiettiamo lui c’è. Non presentare un attore nelle vesti di Pantani mi è sembrata una scelta forte ed incisiva per evocare questa figura che ci è stata tolta.”
Oltre ai genitori e ai compagni di Pantani lei fa recitare anche un personaggio che cattura l’attenzione del pubblico: L’inquieto.
“Questa è una figura multiforme. Da una parte è Philippe Brunel, perché si presenta in scena come un giornalista francese, pur non dicendo mai il suo nome. Dall’altra ho deciso di chiamarlo L’inquieto perché vorrei che fosse tutti noi. Vorrei che fosse lo spettatore che si sforza di non accettare la versione canonica della fine di Marco. L’inquieto è uno che ricostruisce le vicende, che fa cronaca e che si pone domande in continuazione sulla storia di Pantani e sul perché le cose sono andate così.”
Il Pantani che emerge dal suo spettacolo sembra quasi un eroe. Era questa la sua idea iniziale?
“Non del tutto. Marco è stato sicuramente un eroe nel suo sport. È stato l’ultimo ciclista che, assieme a Bartali e Coppi, ha fatto sognare e appassionare anche i non amanti delle due ruote. Con lui vinceva la fantasia, lo scatto anarchico e selvatico. Però, al di là di questo, Marco fugge dall’essere eroe perché era un ragazzo con le sue generosità e con le sue fragilità. Per lui la cocaina ha rappresentato l’incapacità di accettare quel verdetto ingiusto a Madonna di Campiglio. In 24 ore è passato dall’essere quello che con le sue gesta stava togliendo visibilità al calcio e alla Formula 1, a quello dopato e non ha saputo reggere."
Secondo lei cosa ha lasciato Pantani al ciclismo?
“Ha lasciato il sogno di uno sport proletario. Marco era amato anche per i tanti infortuni in carriera. La sua storia, dall’incidente alla Milano-Torino (frattura di tibia e perone, ndr) al gatto che attraversò la strada in una tappa del Giro del 1997 e lo fece cadere dalla bici (lacerazione delle fibre muscolari della coscia sinistra e abbandono delle corse, ndr), era per tutti la dimostrazione che si poteva superare il dolore e andare anche oltre le sfortune.”
Domani comincia il Giro. Lo guarderà?
“Sì, prima non lo facevo, ma da quando ho cominciato a studiare per questo spettacolo mi sono appassionato.”
Tiferà per Wiggins o per Nibali? Pare che quest’anno sarà affar loro.
“Guardi, lo seguo ma non tifo, quindi per nessuno dei due.”