Ecco perché scocca di nuovo l'ora dei record dell'ora
CiclismoA Melbourne ci prova Bobridge: dopo anni nel dimenticatoio si riparte con i tentativi, con altre fatiche senza respiro. Dal giovane australiano a tanti altri. Prima della discesa in pista dei pezzi da novanta che si chiamano Wiggins, Cancellara, Martin
Come ciliegie, come noccioline o patatine, insomma uno tira l’altro… sono i record dell’ora del ciclismo. Sono scosse telluriche che, una volta attivate, quasi non si fermano. Per poi ritornare nel dimenticatoio, relegate nella statistica cartacea. Si passa da antichi e memorabili ricordi di coppiana memoria, anni Quaranta, con incroci romantici nei Cinquanta tra Anquetil, Baldini e Riviere, per salire sempre più nel chilometraggio del boom degli anni Sessanta con Bracque, Ritter e il cannibale Eddy Merckx.
Il tutto con bici normali, da negozio, con velodromi dal tocco storico e sempre calato nella memoria dei nostri nonni. Ma quei nonni, quei signori, si son girati dall’altra parte o hanno alzato la testa guardando in alto, salendo le altitudini improbabili per raccogliere, negli anni Ottanta, i frutti della rarefazione dell’aria e della megatecnologia infarcita di studi medici per il grande Moser e le sue barriere del quasi muro del suono ciclistico. Posizioni assurde, posture spezza schiena, ricerca sfrenata dell’aerodinamica, della leggerezza, dei materiali ultima generazione con anche situazioni ridicole come trovare un pezzo della lavatrice di casa, vero Graeme Obree?
Tutto, poi, per essere cancellato dall’esasperazione quasi circense dello stare in bicicletta con assurde pretese. Si è tornati al commerciale, alla fatica iniziale, quella vera … e per ritornare al Coppi del '42, di quel correre con immense difficoltà aggiungendo, all’omino di Castellania, anche la guerra.
Ecco, proprio quella fatica, immensa, ha fatto rallentare e di molto il gioco dei record. Uno ogni 5 anni. Nel 2000 Boardman riesce a superare il Merckx del '72, poi 5 anni dopo lo sconosciuto ceco Ondrej Sosenka. Ancora silenzio, ancora il vuoto pneumatico nei moderni velodromi. 2014 è l’anno giusto, l’anno che lancia la conclusione carrieristica del signor tanti chilometri, Jens Voigt. Il passistone tedesco lascia la strada per inserirsi nell’annuario dei 60 minuti.
Uno spettacolo di potenza che resiste per un mese e mezzo: 51 km e 852 metri sono percorsi da un altro sconosciuto, Matthias Brandle, austriaco. Ora si riparte nuovamente con altri tentativi, altre fatiche del senza respiro… dal giovane australiano Bobridge a tanti altri prima della discesa in pista dei calibri da novanta che si chiamano Wiggins, Cancellara, Tony Martin.
Ma perché? Perché tanto interesse…. Semplice, effetto mediatico. Si parla di bici, nuovamente di cronotecnologia, di sfide affascinanti e, quando sarà il momento, di grandi personaggi. Mettete anche quel leggero romanticismo dentro un ripetitivo budello ed ecco condito il nuovo scorrere delle lancette e di quelle ruote che macinano chilometri.