Ciclismo, le pagelle del Mondiale di Zurigo: Rainbow Pogi

Tadej Pogacar – voto 100, anzi 110 e lode 100 come i suoi chilometri di fuga, cum Laude in storia all’università del Ciclismo. Anzi: dello Sport. Superlativi finiti per il fenomeno sloveno che per primo rifiuta, sempre in modo cordiale e con il suo proverbiale sorriso, i paragoni con il passato. Eppure, il passato torna sempre. Perché lui lo eguaglia, lo oltrepassa, lo ridefinisce. Tripletta Giro, Tour e maglia iridata nella stessa stagione come Eddy Merckx nel 1974 e Stephen Roche nel 1987. Ma se per l’irlandese fu l’anno perfetto e irripetibile , con il Cannibale belga è un discorso diverso. Ha ragione Tadej: i confronti sono impossibili e possono pure infastidire. Le celebrazioni no, invece. E in questi casi sono quasi inevitabili. Celebriamo quindi non i paragoni, bensì la capacità di due campioni di definire un’epoca del ciclismo, dello sport, di suscitare emozioni e stupore. Parte ai -100 km, che fa? È impazzito? Per un attimo, tutti lo abbiamo pensato. Forse persino lui, che all’arrivo ha dichiarato: «Non so che cosa mi sia passato per la testa».Poi, inesorabile, la legge di Tadej ci ha ancora una volta definitivamente stregati, convinti, estasiati. Nel finale è parso quasi sofferente. Macché: solo un’illusione ottica, o meglio la caparbietà nel riprendere in mano il proprio destino, quello di vincere, regalare emozioni e spettacolo, anche in quei pochi chilometri in cui sembrava aver perso un po’ di smalto. Questa maglia la voleva, l’ha inseguita con una programmazione stagionale perfetta, senza sbavature. Dopo il traguardo, il “solito” bacio con la fidanzata Urška Žigart, il consueto affetto del team e degli inseparabili manager Johnny e Alex Carera , quasi in lacrime. Sono immagini che abbiamo visto e stravisto, perché Pogačar vince e stravince. Ha più successi stagionali lui che intere squadre rivali: 23 nel 2024. Abbiamo assistito a una delle imprese più grandi nella storia del ciclismo? Probabilmente sì. Anche per gli avversari che ha battuto, fenomeni assoluti come Mathieu van der Poel e Remco Evenepoel. La grandezza di Pogačar sta anche nell’enorme valore dei suoi rivali. Uno così nasce ogni cinquanta, forse cento anni, per forza poi si guarda al passato. Gli dona il rosa, gli dona il giallo, l’azzurro, il verde e il bianco. Era naturale gli donasse anche la maglia che tiene dentro tutti i colori del mondo. Perché Tadej è ciclismo in bianco e nero e a colori. Essenza pura. RAINBOW POGI Ben O’Connor – voto 9 Se lo ricorderà questo argento, per tutta la vita. Perché conquistare un secondo posto mondiale dietro Pogačar è qualcosa di storico. Soprattutto battendo van der Poel ed Evenepoel. L’australiano è sempre stato lì, attentissimo a non sprecare energie. Ha saputo gestirsi e capire la corsa meglio di altri. E poi ha piazzato forse l’unico scatto della sua giornata, quello però decisivo, anticipando i compagni di inseguimento. Ci vuole anche un po’ di sana e agonistica furbizia e lui ne ha avuta.. E chiude una stagione in cui si è piazzato 2° alla Vuelta e 4° al Giro, mica male. GUIZZO AUSTRALIANO Mathieu van der Poel – voto 8 ½ L’olandese si era tirato a lucido, aveva perso un chilo e mezzo per affrontare un percorso poco adatto a lui, in cui non poteva dominare come sui muri del Fiandre o sul pavé della Roubaix, i suoi due monumenti vinti in stagione. Ma quando hai di fronte un campione di quel livello, puoi aspettarti di tutto. E infatti VDP è stato uno degli ultimi ad arrendersi, a provarci fino alla fine, per almeno provare a ribellarsi alla implacabile legge di Tadej. Ha rispettato fino all’ultimo metro quella maglia che ha indossato fino al giorno prima. Anche l’anno prossimo, a Kigali, in Rwanda, il percorso sarà per passisti-scalatori e con un dislivello ancora maggiore. Ma la maglia iridata VDP cercherà di indossarla ancora e magari ci riuscirà. A Zurigo ha comunque compiuto qualcosa di esemplare, conquistando il bronzo battendo in volata Toms Skujiņš , uno dei migliori di giornata, sempre davanti, con una gamba ragguardevole. Il lettone forse il bronzo l’avrebbe meritato, ma può consolarsi per aver perso, di poco, in volata contro un mostro come van der Poel. Al cospetto dell’olandese ci si toglie il cappello, se non altro per come ha onorato la corsa. All’Olimpiade di Parigi aveva deluso, al mondiale ha addirittura sorpreso. CHAPEAU BAS, VDP Remco Evenepoel — voto 5 Come la sua posizione nell’ordine d’arrivo. Giudizio forse troppo severo, ma da Remco ci si aspettava forse qualcosina di più. Anche il belga inseguiva la Storia: doppietta crono-linea olimpica e mondiale. Gli è mancato l’ultimo assolo in una stagione comunque straordinaria. A soli 24 anni, è il più giovane di questa generazione di fenomeni e il tempo gioca dalla sua parte. Però alcune piccole intemperanze sembrano come limitarlo. È inutile prendersela, soprattutto in un Mondiale che è un tutti contro tutti, con altri corridori perché non collaborano, o fare gesti platealmente polemici, più di una volta. È parso troppo nervoso. Sa di essere sempre uno da battere, dunque marcatissimo, e che quindi difficilmente troverà collaborazione, da chi contro di lui ha solo da perdere. A volte si ha come la sensazione che quella consapevolezza ogni tanto la perda per strada. Aveva forse la squadra più forte ma il Belgio è sembrato spiazzato dall’azione di Pogačar. Detto con sincera ammirazione, forse gli manca ancora un piccolo step per diventare quasi imbattibile. Poi bisogna anche capire che, in certe giornate, semplicemente la gamba non gira al meglio. Per Evenepoel probabilmente è andata così, e ci può stare, specie dopo le energie spese per i due ori olimpici e per quello nella crono mondiale. Remco però è già uno dei quattro-cinque che stanno scrivendo la storia del ciclismo e scriverà anche quella dei prossimi anni. CAPITAN FUTURO Hirschi, Healy, Simmons, Mas e Bardet — voto 7 Se la corsa non è stata una passerella infinita per Pogačar lo si deve anche a loro. Lo svizzero Marc Hirschi ha corso in modo generoso e in alcuni momenti una medaglia nella sua Elvezia è parsa alla sua portata. Veniva da un finale di stagione clamoroso con cinque vittorie in fila e ha confermato quella forma e quei valori, nel 2025 cambierà squadra con l’ambizione di non essere più un gregario, per quanto di lusso, di Pogačar. In bocca al lupo. Ben Healy, portabandiera irlandese, ha ancora una volta confermato il suo carattere di indomito attaccante, con l’inevitabile contraltare però di aver esaurito le energie proprio quando sarebbe servito l’acuto finale . Quinn Simmons come i suoi compagni USA sono stati tra i migliori per come hanno interpretato la corsa, il nono posto ne è la naturale conseguenza. E forse meritava persino qualcosa di più. Enric Más e Romain Bardet hanno mostrato come Spagna e Francia, anche quando si presentano in difficoltà, riescono in qualche modo a esserci. Pronti-via, gli spagnoli Pello Bilbao e Mikel Landa si ritirano. Il Ct francese Thomas Voeckler perde subito Julian Alaphilippe per una lussazione alla spalla sinistra. Más e Bardet però, zitti-zitti, finiscono coi migliori. GLI OUTSIDER Italia — voto 6 di incoraggiamento C’erano cinque debuttanti su otto e la tattica è stata giusta finché il vento dalla Slovenia di Tadej non ha soffiato su Zurigo, sparecchiando via tutto. Cattaneo nella fuga di giornata, poi, per tre km, Bagioli è stato a ruota di Pogačar in fuga. Ciccone è stato con i migliori fin quasi all’ultimo, chiudendo poi 25° ma a 6’36”. Non si può essere soddisfatti. Ma i rapporti di forza in gara non consentivano neppure di sperare in qualcosa di meglio. Va dato atto al Ct Daniele Bennati di aver buttato nella mischia debuttanti e giovani. Un’iniezione di esperienza che farà bene per il futuro. Una scelta a conti fatti giusta, sensata e speriamo lungimirante. Resta da fare una riflessione sull’intero movimento, perché la vittoria di Lorenzo Mark Finn fra gli juniores non può bastare. ADDIO ZURIGO BELLA

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