Sudore, gloria e lacrime: storie (e leggende) dal Giro di Lombardia

La Madonna del Ghisallo. Il Muro di Sormano. Bergamo Alta. Il lungolago di Como. Flash, immagini e momenti che rimandano al Giro di Lombardia, il Mondiale d’autunno come veniva chiamato fino a qualche anno fa. 'La Classica delle foglie morte' ha tante leggende da raccontare, vista la sua ultracentenaria storia nata nel 1905. Una corsa più forte del primo conflitto mondiale, ideata dal giornalista Tullo Morgagni ed entrata nel cuore di tifosi e corridori anche per questi racconti, tra la realtà e la fantasia, che alimentano il mito di una corsa unica al mondo. Alfonsina, un “diavolo in gonnella” tra gli uomini Alfonsina Morini, coniugata Strada, è stata la prima ciclista donna a partecipare al Giro d’Italia. Per questo è iscritta di diritto nei libri di storia dello sport italiano. Non tutti però sanno che la ragazza, sarta e magliaia nella vita di tutti i giorni e già ciclista di ottimo livello, sia su strada che su pista, si iscrive prima al Giro di Lombardia del 1917. E’ il 2 novembre, nove giorni dopo la disfatta di Caporetto, quando Alfonsina si presenta alla redazione della "Gazzetta dello Sport" a Milano e chiede di partecipare alla corsa. Il regolamento formalmente non lo vieta e così all'alba c'è anche lei al via, previsto al Parco Trotter di Milano, indossando il dorsale numero 74. La concorrenza è di livello altissimo e Alfonsina arriva al traguardo in ultima posizione, staccata di un'ora e mezza dal vincitore, il belga Thys. Nel 1918 ritenta e questa volta riesce a superare in volata Carlo Colombo, chiudendo al penultimo posto. A prescindere dal risultato, il suo mito si alimenta in quel momento: la “regina della pedivella”, il “diavolo in gonnella”, come veniva soprannominata dall’opinione pubblica, era pronta a fare la storia dello sport italiano. Binda: "Una volta ho bevuto ventotto uova..." Alfredo Binda nel 1926 sta facendosi la nomea che lo porterà da lì a pochi anni a diventare il primo Campionissimo, ma anche l’Imbattibile. Il varesino, trasferitosi a Nizza da ragazzo in cerca di fortuna arriva a quella 'Classica delle foglie morte' con una bacheca impressionante di successi, tra cui spiccano sei tappe vinte al Giro d’Italia. Binda non ha rivali in quel Lombardia, in cui giunge sul traguardo, posto al velodromo del Parco Sempione a Milano, con un vantaggio di mezz’ora sui primi inseguitori. Fin qui la cronaca, che poi sfocia in leggenda, come spesso accade per il ciclismo degli eroici. Si narra che mentre era sul treno per Varese, Binda vede un gruppetto di ciclisti su un cavalcavia: erano gli ultimi che stavano ancora andando verso l’arrivo di Milano. Un episodio che si lega a un’altra storia tra il reale e il fantastico. Binda infatti afferma in un’intervista postuma di aver bevuto al rifornimento ben ventotto uova. “A Grantola, al rifornimento, le aveva portate mia mamma, erano quelle delle nostre galline”. Una dichiarazione poi mitigata negli anni a seguire, quando ammise di aver un po’ gonfiato il numero, suscitando l’ira e lo scandalo di medici e dietologi. “Ma se serviva per la leggenda…”, disse con un sorriso sornione. Imbattibile anche giù dalla bici. Il gesto dell’ombrello della Dama Bianca: e Coppi finisce in lacrime… Nel 1956 Fausto Coppi è sul viale del tramonto. Ha 37 anni, non corre più per la Bianchi e comincia a pensare al futuro: produce le proprie biciclette e crea una sua squadra, la Carpano-Coppi. Dopo aver abbandonato il Giro d’Italia a causa di una caduta, ripone tutte le aspettative della stagione sull’amato Lombardia, corsa già vinta in cinque occasioni. Il Campionissimo quel giorno sembra in palla, raggiunge Ronchini in quella che può essere la fuga decisiva, anche perché da dietro non si muove nessuno. Resta in gruppo anche Fiorenzo Magni, che però a un certo punto comincia a tirare come un forsennato. Il vantaggio dei fuggitivi scende inesorabilmente, il Vigorelli stracolmo si illude fino all’ultimo di poter celebrare il proprio campione in quello che per molti è il canto del cigno dell'Airone. Ma al velodromo milanese entra un gruppo compatto, con Magni sempre in testa e senza mai risparmiarsi. La volata premia il francese Andrè Darrigade , che batte di pochi centimetri Fausto Coppi e lo stesso Magni. L’Airone non trattiene le lacrime e si lascia andare a un pianto disperato: rabbia e delusione per un’occasione mancata che non tornerà più. Si scoprirà solo in seguito cosa successe realmente in gruppo. Magni, fino a quel momento nella pancia del gruppo, fu raggiunto da una macchina dell’organizzazione, da cui spuntò la Dama Bianca, con cui non era in buoni rapporti. Secondo quanto testimoniato dal corridore toscano, Giulia Occhini lo apostrofò facendogli il gesto dell’ombrello. Da qui la reazione d’orgoglio che consentì al gruppo di tornare sui due fuggitivi, bruciando le ultime speranze di Coppi di conquistare il suo 6° Lombardia. Moser e quella doccia fredda del 1975 E’ l'11 ottobre 1975 e il Lombardia si corre con il tipico meteo autunnale. Il cambiamento climatico non è ancora d’attualità: ad attendere i corridori da Milano a Como sono 266 km di freddo, pioggia e nebbia. Le condizioni sono al limite del proibitivo, tanto che sui 106 partenti, ne arriveranno a malapena 18. E’ quello l’anno della definitiva esplosione di Francesco Moser, passista straordinario, uomo da Roubaix e dalla gamba d’acciaio, capace di far saltare il banco anche in un’edizione della 'Classica delle foglie morte' in cui alla firma si erano presentati campioni del calibro di Roger De Vlaeminck, Eddy Mercckx, Freddy Maertens, tutti staccati di oltre un minuti dal giovane virgulto trentino. Moser batte in volata altri due italiani, Paolini e Chinetti. Al termine della corsa ci sono premiazioni e interviste con la stampa, riservate al vincitore. Tutti vogliono saperne di più su questo 24enne dal gran talento e ugual temperamento. Francesco arriva così allo stadio di Como per una meritata doccia, quando si accorge che l’acqua calda è ormai terminata. Il vincitore dovrà così lavarsi con l’acqua ghiacciata, dopo sette ore e mezza passate nel gelo lombardo. Si ripeterà nel 1978, assicurandosi questa volta di arrivare per tempo… Bettini, impresa da sudore e lacrime La vita sa essere crudele e beffarda. Così può capitare che nel giro di poche settimane vinci il Mondiale e finisci nel baratro per un lutto tanto assurdo quanto inaspettato. Il 2006 per Paolo Bettini è un’altalena di emozioni. A Salisburgo batte Zabel e indossa la maglia arcobaleno, quella sognata fin da bambino da ogni corridore. Poi perde il fratello Sauro, vittima di un incidente stradale a poche centinaia di metri dalla sua abitazione. Il suo primo istinto è quello di mollare, ma per onorare la memoria dell’amato fratello, decide di correre il Lombardia, in quella che è senza dubbio la prova più complicata della carriera. Dieci giorni dopo quel lutto, Paolo si ritrova all’arrivo con le lacrime che gli coprono il viso. E’ scattato sul Ghisallo, ha contrattaccato sul Civiglio, nessuno lo ha preso più. Ad attenderlo sul traguardo di Como il nipote Francesco, appena 11 anni: “Non ero solo, oggi eravamo in due a pedalare”, gli dice lo zio. Sudore e lacrime, per un’impresa da campione del mondo. Evenepoel, l’inferno a Ferragosto Cosa ci fa il Giro di Lombardia al 15 agosto? In tempo di Covid e bollettini, tutto è possibile. In quella stagione maledetta dalla pandemia, anche il calendario ciclistico viene stravolto, tanto da spostare la 'Classica delle foglie morte' nel giorno del Capodanno estivo. Partenza da Bergamo e arrivo a Como dopo 243 chilometri. Tra i favoriti per la vittoria finale c’è Remco Evenepoel. Il belga, scendendo ad alta velocità dalla Colma di Sormano, tocca con la bicicletta il parapetto e finisce in una scarpata. Il mezzo resta parcheggiato sulla strada, ma di Remco non c’è traccia. E accovacciato in posizione fetale, una decina di metri più in basso. E’ cosciente ma dolorante e sanguinante. Immediatamente soccorso e immobilizzato, viene trasportato d’urgenza all’ospedale Sant’Anna di Como. Si teme il peggio, poi il comunicato della Deceunick-QuickStep che parla di "una frattura al bacino e una contusione al polmone destro”. Qualche mese dopo, Remco ricostruirà in un’intervista ‘Sporza’ quei drammatici momenti: “Sono caduto da un’altezza di 10 o 12 metri, qualche metro più in là e sarei scivolato giù per almeno 30 o 40 metri. C'erano anche massi intorno a me, posso dire di essere caduto nel migliore dei modi. Non so se dalle immagini si poteva vedere bene, ma sono caduto su un fagiano morto, che con il becco ha bucato la mia spalla”. Pogacar batte tutti, anche i crampi Binda, Coppi e Tadej. Nel 2023 lo sloveno delle meraviglie ha raggiunto i due Campionissimi nel ristretto club di chi ha vinto il Lombardia per tre volte consecutive. L’attuale campione del mondo è stato capace di vincere anche quando non era il più forte. Non avendo la gamba per far saltare in banco in salita, Pogacar ha deciso di attaccare… in discesa! Già, il fuoriclasse della UAE Team Emirates è partito sulla discesa del Passo Ganda, dopo aver fatto selezione dei rivali nella precedente ascesa, con punte del 15%. Staccati Evenepoel e Roglic, Tadej si invola verso il traguardo di Bergamo, sembra una trama già vista. Ma come nei film, nel finale ecco il colpo di scena. A 11,5 km dal traguardo, Pogacar comincia a faticare. Ha un minuto di vantaggio, ma anche 230 km sulle gambe. Smorfie di dolore sul volto solitamente concentrato ma rilassato dello sloveno, ampie chiazze di sali minerali sui pantaloncini. Qualcosa non va, si tira qualche pugno sul quadricipite. Tadej ha i crampi. Dietro nel frattempo non c’è accordo, Pogacar perde qualcosa ma non troppo. Continua a voltarsi per verificare gli inseguitori, l’ammiraglia gli passa un integratore. Le smorfie si placano nel momento in cui un bagno di folla lo trasporta letteralmente sullo strappo di Colle Aperto, verso Bergamo Alta. Arriverà mani al cielo e sorriso stampato, come suo solito. Crampi o non crampi, Pogacar non abdica: il re del Lombardia è sempre lui.

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