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MotoGP, GP Spagna. Dai limiti ai punti di forza: l'evoluzione della Ducati

MotoGp

Giulio Bernardelle

La Desmosedici GP 2018 (foto: Getty Images)

Nelle ultime stagioni la Ducati ha mostrato di essere al top della categoria, in lotta per il ruolo di prima della classe con Honda e Yamaha ufficiali. Alle Rosse manca ancora un po’ per poter mostrare di aver definitivamente raggiunto la competitività assoluta su tutti i circuiti. Il GP di Jerez è un primo esame importante per capire come evolverà la stagione. La pista è un banco di prova importante per valutare la competitività delle moto. Chi va forte a Jerez, di solito, non ha particolari problemi nemmeno sugli altri circuiti. Domenica sera, quindi, ne sapremo sicuramente di più

Il GP di Spagna è in diretta esclusiva su Sky Sport MotoGP HD (canale 208): gara di MotoGP domenica alle 14.00

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Ducati e il progetto “unico” per entrare in MotoGP

Nel 2003 i tecnici di Borgo Panigale guidati da Filippo Preziosi avevano fatto debuttare nella Classe Regina una moto assolutamente innovativa, addirittura rivoluzionaria in alcuni aspetti. Il tema del motore portante, il suo layout a 4 cilindri a “elle”, la distribuzione desmodromica erano i tre aspetti più rappresentativi di un progetto decisamente unico e, per certi versi, coraggioso. Questa prima fase della storia di Ducati in MotoGP toccò il suo punto più alto nel 2007 quando Casey Stoner vinse il titolo di Campione del Mondo con un grande distacco sui rivali. Oltre allo stato di grazia del campione australiano, a quel titolo avevano contribuito le Bridgestone, in un’epoca in cui non c’era ancora il mono-gomma e le gomme giapponesi avevano mostrato di eccellere in più di qualche circuito, e l’interpretazione che in Ducati avevano saputo dare al nuovo regolamento con la cilindrata ridotta a 800cc che li aveva portati a creare un motore nettamente più veloce dei rivali. Da allora la Ducati non è più riuscita a portare al titolo un suo pilota, anzi è iniziata una fase di declino prestazionale culminata con le due stagioni in rosso del nostro Valentino, assolutamente avare di risultati e di vittorie di gara.

Il corso in Ducati di Gigi Dall’Igna

Negli ultimi anni a competere in gara c’è la Ducati del nuovo corso, quello che vede Gigi Dall’Igna alla guida del reparto corse bolognese. A Dall’Igna va sicuramente dato il merito di aver saputo operare un’inversione di tendenza; nel 2016 la Desmosedici è tornata a vincere, prima in Austria con Iannone e poi in Malesia con Dovizioso. L’anno scorso Ducati ha vissuto una stagione fantastica con Dovizioso vincitore di sei GP e unico serio rivale di Marquez nella lotta al titolo. Quest’anno Dovizioso è ripartito vincendo in Qatar per poi vivere due fine settimana di scarsa competitività in Argentina ed in Texas. La moto del nuovo corso è meno vistosamente innovativa di quella della prima era, anche se non sono mancate le soluzioni ad effetto, come le carenature con le ali, che poi sono state seguite da tutti in MotoGP. Dall’Igna ha impostato il lavoro con un piglio più razionale, non riuscendo ancora però a fare della rossa di Borgo Panigale una MotoGP vincente in assoluto.

Fino ad adesso rimane, infatti, quella caratteristica che ha sempre contraddistinto l’avventura della Ducati nella Classe Regina e cioè quella di aver saputo vincere con un unico pilota nei vari periodi. La squadra globalmente più competitiva delle ultime stagioni è stata quella con Dovizioso e Iannone, entrambi vincenti nel 2016, dopo anni passati a crescere con la stessa moto; l’arrivo di Lorenzo non ha portato sino ad ora i risultati che si sperava di ottenere e lo sconforto che si leggeva in faccia al pilota dopo i due ultimi GP non lascia presagire granché di buono per le prossime gare. E’ vero che Dovizioso è primo in classifica, ma la competitività messa in mostra da Marquez lascia intendere che la Honda quest’anno ha fatto fare un salto in avanti notevole alla sua moto. E’ in questo contesto che alla Ducati sono ritornate le solite critiche, anche dal suo pilota di riferimento, quelle che parlano di una moto difficile da far girare e da far rendere bene in tutti i circuiti.

Vediamo allora di analizzare, settore per settore, le caratteristiche tecniche che influenzano il comportamento in gara della Desmosedici GP18.

Motore V4 ed elettronica i punti di forza

È da un po’ che a Bologna i motori li sanno fare ed il 4 cilindri della Desmosedici è un eccellente esempio di questa tradizione.

Il progetto è molto evoluto negli anni restando sempre fedele solo al sistema di distribuzione desmodromica. Ora il 4 cilindri è un vero V4, con le due bancate a formare un angolo di 90 gradi con l’asse verticale, soluzione praticamente analoga a quella della Honda e ben diversa dallo schema ad “elle” delle prime versioni. Dal 2015 è stato adottato l’albero motore contro-rotante e la fasatura di scoppio sembra essere oramai consolidata nello schema che prevede l’albero motore con tre supporti di banco e due soli perni di manovella a 70 gradi per quanto ci è dato sapere. L’elettronica è sviluppata al massimo livello e Ducati è risultata la più pronta al momento del passaggio all’ultimo regolamento che prevede dal 2016 hardware e software unici.

Il motore è sicuramente l’elemento migliore della Ducati attuale: è dotato di un’erogazione di coppia molto sostenuta sin dai regimi medio-bassi cosa che favorisce l’utilizzo di una rapportatura del cambio leggermente più lunga e facilita la vita alla gomma posteriore. La potenza massima è decisamente ai vertici anche se la rossa non è più così nettamente più rapida delle moto rivali come accadeva qualche anno fa. L’accelerazione è da riferimento e lo è anche la capacità dei tecnici elettronici nello sviluppare le mappature al meglio per garantire al pilota un eccellente controllo dell’usura della gomma posteriore in gara. Nulla di più da aggiungere quindi, Ducati è ancora adesso il motore di riferimento in MotoGP.

Telaio e ciclistica le aree da migliorare ancora

Nonostante da anni sia stata abbondonata la soluzione a traliccio in tubi di acciaio così come la soluzione della monoscocca in carbonio per un più consolidato schema a doppio trave perimetrale in lega di alluminio di ispirazione giapponese, il telaio della Desmosedici è ancora l’elemento della moto che sembra più bisognoso di sviluppo. La difficoltà che manifesta la moto nel chiudere le curve da percorrere con il gas in mano, la difficoltà ad adattarsi agli asfalti non perfettamente regolari e la ancora scarsa attitudine del setting ciclistico di base a garantire prestazioni di buon livello su tutti i circuiti, sono le caratteristiche della moto di cui i piloti si lamentano ancora troppo spesso. Il problema è che quando non va le prestazioni calano ancora troppo marcatamente per una moto che lotta per il titolo. D’altronde quello ciclistico è un equilibrio molto delicato e difficile da raggiungere. Oltre un certo livello, ancora adesso, di calcoli non se ne possono fare molti e bisogna insistere con le prove.

La ciclistica Ducati ha, comunque, anche dei punti molti forti che sono rappresentati dall’efficacia in frenata e ingresso curva e dalla trazione. Bisognerà saper correggere i limiti descritti poco fa senza perdere l’eccellenza in questi fondamentali.

Aereodinamica: qui si gioca una delle sfide con le altre case costruttrici

Ducati è stata la Casa che ha fatto di più negli ultimi anni in questo settore. Nel 2015 sono arrivate le carenature con le ali e anche dopo le restrizioni applicate con il regolamento tecnico del 2017 la nuova soluzione di carenatura con le ali scatolate introdotta a metà della scorsa stagione ha fatto scuola tanto che tutti i rivali hanno pensato e sviluppato qualcosa di simile. Il problema, però, è che le ali permesse dal nuovo regolamento sono meno efficaci delle ali libere alla vecchia maniera. La Desmosedici del 2016 era la moto più evoluta attorno al concetto delle ali: in questa maniera era stata trovata una distribuzione dinamica dei carichi tra avantreno e retrotreno ottimale. Ovvio che le restrizioni regolamentari imposte a fine 2016 abbiamo colpito la rossa in modo particolare ed il fatto che Dovizioso abbia corso nel 2017 quasi sempre con una carenatura priva di appendici aereodinamiche non vuol dire che le ali erano ininfluenti, quanto piuttosto che lui aveva raggiunto un equilibrio quasi perfetto con la moto che non ha voluto rischiare di compromettere tentando di mettere a punto l’ultima soluzione aereodinamica arrivata oltre la metà della stagione.