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Harden: "MVP? Contano le vittorie, non i record"

NBA

James Harden, pur riconoscendo quanto di straordinario fatto dall’amico Russell Westbrook, ha pochi dubbi su quale sia l’aspetto più importante da tenere in considerazione nell’assegnare il premio di MVP. E anche Daryl Morey sembra essere d’accordo con lui

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Nella notte in cui Russell Westbrook riscrive la storia NBA, a commentare a fine gara la corsa al premio di MVP ci pensa il suo più temibile rivale, quel James Harden che con 21 triple doppie avrebbe conquistato per settimane titoli e copertine in qualsiasi regular season, tranne in questa. Per il Barba non ci sono dubbi: ciò che più conta nel valutare il miglior giocatore della stagione non sono di certo le super prestazioni personali: “Nella corsa al premio di MVP quello che dovrebbe contare più di tutto sono le vittorie”, commenta nello spogliatoio di Sacramento, dopo aver messo a referto 35 punti, 11 rimbalzi e 15 assist. “Non voglio di certo dilungarmi con questo discorso, ma credo che vincere sia quello che deve fare la differenza. Riuscire a portare la tua squadra ad avere una chance di giocarsi la vittoria è certamente la cosa più importante”.

Morey sta (ovviamente) con Harden

A supportare la star dei Rockets ci ha pensato poi Daryl Morey, che già più volte si era pronunciato sulla questione. Via Twitter infatti il GM di Houston ha prima sottolineato come in tutto ciò che circonda il mondo NBA (All-Star Game, la corsa alla lottery e ovviamente il premio di MVP) si stia perdendo di vista l’aspetto più importante: “Il basket sta perdendo il suo focus sulla vittoria”, chiosa alla fine dei 140 caratteri Morey. A stretto giro poi arriva anche il secondo cinguettio, qualora non fosse ben chiara la questione, citando la corsa al premio di MVP del 1962, in cui Oscar Robertson nonostante la tripla doppia di media, arrivò soltanto terzo dietro i due mostri sacri Bill Russell e Wilt Chamberlain che avevano vinto più partite di “Big O” quell’anno. Che il vincere sia una discriminante fondamentale è storicamente provato visto che, secondo quanto riportato da ESPN Stats&Info, negli ultimi 34 anni il premio di MVP è sempre andato a un giocatore che ha terminato la regular season con la sua squadra in una delle prime tre posizioni della propria Conference. In questo periodo, gli unici due a non essere nella Top-2 sono stati Steve Nash nella stagione 2005-06 e Michael Jordan in quella 1988-89. Infatti, in 45 dei 61 casi il premio di MVP è andato al giocatore di una squadra che ha terminato al primo posto la regular season, mentre solo in 12 casi a quello che ha raccolto più triple doppie. 

Amici “nemici” 

Contesa a parte, Harden e Westbrook restano ottimi amici sia dentro che fuori dal campo e il numero 13 non nasconde la sua ammirazione per i traguardi tagliati dal suo rivale: “È un enorme riconoscimento – confida il Barba commentando le 42 triple doppie di Westbrook -, ha giocato in maniera meravigliosa durante tutto l’arco della stagione, facendo qualcosa che non si era mai visto prima. È un obiettivo personale immenso, è fantastico”. Anche la regular season della point guard dei Rockets però, non scherza in quanto a record individuali. Harden infatti grazie alla 21^ tripla doppia messa a referto nella gara vinta contro Sacramento ha realizzato o assistito ben 56.3 punti di media in ogni match giocato da Houston, secondo soltanto ai 56.8 fatti registrare da Tiny Archibald nella stagione 1972-73. “È soltanto un’altra incredibile statistica personale, ma come ho già sottolineato, il mio lavoro è quello di scendere in campo e coinvolgere il più possibile i miei compagni, aiutarli nell’acquisire sicurezza nei propri mezzi e farli sentire a loro agio. Questa è la cosa più importante. Se nessuno di quelli che mi sta attorno si sente coinvolto, ho fallito il mio obiettivo e difficilmente riusciremmo ad andare molto lontano nella post-season. Credo invece che la maggior parte dei miei compagni si sentano coinvolti e a noi non dobbiamo fa altro che proseguire lungo questa strada”.